incenerimento una non soluzione



da larivista del manifesto
Il fallimento dell'esperienza pilota dell'Asm di Brescia L'INCENERIMENTO:
UNA NON SOLUZIONE
Marino Ruzzenenti

Il Dossier rifiuti pubblicato sul n. 54 dell'ottobre scorso della «rivista»
presenta un limite di fondo nell'affrontare il tema controverso
dell'incenerimento: ne discute ancora su di un piano sostanzialmente
teorico, riproponendo gli stessi dilemmi di 10 anni fa, come se nel
frattempo in Italia non fosse successo assolutamente nulla. Si ignora,
quindi, che da un canto sono state realizzate esperienze significative
capaci di chiarire la questione al di là di ogni ragionevole dubbio e che
dall'altro si è scatenata la corsa senza freni all'incenerimento (almeno un
impianto per ogni provincia!) come alternativa alla riduzione e alla
raccolta differenziata. In sostanza si sta cercando di sostituire al `tutto
alla discarica' il `tutto all'incenerimento', bypassando una corretta
gestione del problema rifiuti. La vicenda dell'inceneritore Asm di Brescia,
da questo punto di vista, è di straordinario interesse, sia perché viene
proposta come modello dai grandi mezzi di informazione («La Repubblica» del
25 ottobre 2004; Rai3, Ambiente Italia del 30 ottobre 2004), sia perché ha
visto impegnati direttamente nella sua progettazione esponenti di spicco di
Legambiente (uno dei suoi più illustri esperti, membro del Comitato
scientifico nazionale, ha presieduto la Commissione tecnico-scientifica
dell'Asm che ha elaborato il progetto, mentre della stessa ha fatto parte
anche l'attuale presidente di Legambiente Brescia). Dopo sei anni di
funzionamento dell'inceneritore Asm si possono tirare fondate e conclusive
valutazioni su quest'esperienza pilota. Quando oltre 10 anni fa si decise di
installare l'inceneritore a Brescia, si partì con le migliori intenzioni (le
stesse riproposte peraltro nel Dossier di cui stiamo discutendo). Si
proclamò solennemente, mobilitando esperti da tutto il mondo, docenti
universitari, ambientalisti di chiara fama, che questo impianto si sarebbe
collocato a valle della riduzione dei rifiuti e di una raccolta
differenziata spinta, secondo il modello del `sistema integrato' (formula
proposta oggi come una sorta di vangelo), fondato sul cosiddetto `doppio
binario': da un canto, più del 50% dei rifiuti da differenziare, dall'altro
il residuo secco `non altrimenti riciclabile' da incenerire. Inoltre,
trattandosi di un impianto dell'ultima generazione, non vi sarebbe stato
alcun problema di emissioni inquinanti. Come sono andate in realtà le cose?
Innanzitutto, l'inceneritore ha prodotto una formidabile impennata nella
produzione dei rifiuti pro capite, collocando Brescia ai vertici della
graduatoria delle province `immondezzaie' (nel 2002, Kg/giorno 1,62 in
provincia e addirittura 2,01 Kg nel comune capoluogo, un 50% in più della
media nazionale di Kg/g 1,34, esattamente il doppio dei bacini `virtuosi'
del Veneto, che fanno la raccolta domiciliare `porta a porta', quasi tre
volte l'obiettivo europeo di Kg/g 0,82) ed ha richiamato a Brescia
l'importazione di rifiuti da tutta Italia (solo quelli speciali diretti
all'inceneritore pari a oltre 120.000 tonnellate nel 2001). Per quanto
riguarda la raccolta differenziata, Brescia, da una posizione di primo piano
che occupava meno di un decennio fa, è andata a collocarsi con un modesto
26,5%, al penultimo posto della graduatoria della Lombardia, che vantava già
nel 2000 una media del 32%. Anche l'aumento che si è registrato nel 2002 con
il 30,24% in provincia e il 37,30% in città (o 39% per il 2003) è del tutto
irrilevante, perché è stato sostanzialmente annullato dal corrispettivo
aumento del rifiuto prodotto. Così, a partire dal 1995, il quantitativo
globale di rifiuti conferiti non differenziati non solo non è stato
scalfito, ma è continuamente aumentato (da 431.497 tonnellate nel 1995 a
467.715 nel 2002), per cui a Brescia di fatto è come se non si fosse fatta
la raccolta differenziata, in quanto a mala pena questa è riuscita ad
assorbire l'aumento abnorme dei rifiuti assimilati agli urbani. Basterebbe
il confronto con i bacini Padova 1, Treviso 2 e Treviso 3, dove si pratica
il `porta a porta', con una produzione del rifiuto pro capite a solo 1
kg/giorno e una raccolta differenziata oltre il 60%, per dar conto del
fallimento su tutta la linea dell'esperienza bresciana. Applicando il
`modello Veneto' a Brescia dovremmo smaltire poco più di 150.000 tonnellate
di rifiuti all'anno, mentre il `sistema integrato', installando un
inceneritore di 500.000 tonnellate, induce uno smaltimento aggiuntivo di
350.000 tonnellate di rifiuti (parte per sovrapproduzione interna, parte per
importazione da fuori provincia), giustificato solo dal fatto che un simile
impianto a tecnologia complessa, per risultare remunerativo sul piano
economico, deve essere di grandi dimensioni (tendenza che si va affermando
ovunque). Per alimentarlo allora, non solo bisogna aumentare a dismisura la
produzione di rifiuti, in clamorosa contraddizione con le priorità del
decreto Ronchi e dell'Ue, ed importare rifiuti da ogni parte d'Italia, ma
bisogna anche scoraggiare il più possibile la raccolta differenziata che
sottrarrebbe prezioso combustibile alla `megamacchina'. Certo,
l'incenerimento è un formidabile business. È un sogno di ogni imprenditore,
infatti, disporre di una centrale termoelettrica che opera in regime di
monopolio, con un combustibile che non è un costo, ma addirittura un ricavo
(già questa voce di entrata ammonta a oltre 2 milioni di euro!), a cui si
aggiungono ingenti guadagni dall'energia elettrica e dall'acqua calda e
soprattutto incentivi `impropri' dallo Stato (i rifiuti sono considerati
energie rinnovabili, per cui l'energia prodotta viene pagata all'Asm ad un
prezzo praticamente triplicato). Ma se sul piano economico i risultati
appaiono positivi, non altrettanto si può dire sul piano del bilancio di
materia-energia: solo per esemplificare gli sprechi colossali di materie
pregiate, si pensi che con le ceneri dell'inceneritore vengono
irreversibilmente disperse circa 5 mila tonnellate di ferro all'anno, grosso
modo la stessa quantità che viene recuperata. Un lusso che un paese come il
nostro, povero di materie prime, non può davvero permettersi. E veniamo ora
all'impatto ambientale, considerato irrilevante per gli impianti di ultima
generazione. Stiamo parlando dell'inceneritore più grande d'Europa collocato
nella città che `vanta', in una zona adiacente all'impianto, una
contaminazione ambientale storica da Pcb e diossine (qui ha operato l'unica
azienda produttrice di Pcb in Italia, la Caffaro), probabilmente superiore a
quella registrata a Seveso, per cui a oltre 10.000 abitanti è stato
interdetto qualsiasi contatto con il terreno (giardini, orti, parchi, ecc.
Cfr. www.zonacaffaro.it). Ebbene, questo inceneritore sta funzionando senza
che vi sia mai stata una valutazione di impatto ambientale (Via); anzi, la
Via non è stata effettuata neppure per la recente installazione della terza
linea (e per questo l'Unione europea, come è noto, ha attivato la procedura
di infrazione). Nel dettaglio tecnico, ci limitiamo in questa sede a
considerare le emissioni dei Pcb, parenti stretti delle diossine,
contaminanti supertossici, non biodegradabili, bioaccumulabili, di cui
Brescia, come si è già detto, soffre una contaminazione eccezionale.
L'Arpa recentemente ha indagato i Pcb presenti nelle polveri dell'aria di
Brescia (ma analogo discorso si può ipotizzare anche per le diossine):
innanzitutto si nota che le concentrazioni medie di Pcb nelle polveri della
città sono almeno 100 volte più elevate di quelle di controllo di tre
località non industriali della provincia; è quindi più di un'ipotesi che un
contributo a questo inquinamento da Pcb dell'aria della città venga proprio
dall'inceneritore, se i Pcb rilevati mediamente nell'aria di una zona della
stessa risultano essere 75 Pg/Nm3 (picogrammi per metro cubo di aria),
mentre dall'inceneritore escono, secondo la media delle rilevazioni fatte
dall'Istituto Negri nel 2003, ben 40.080 Pg/Nm3 di Pcb, quindi quasi 600
volte di più della concentrazione presente nell'aria cittadina, circa 60.000
volte di più dell'aria delle tre località di controllo. Ma quelle emissioni
di Pcb (come pure quelle delle diossine pari a circa 8 Pg/Nm3) vanno
moltiplicate per oltre 3 miliardi di Nm3 all'anno in uscita dal camino
dell'inceneritore per dare l'idea di quanti se ne accumulino ogni anno in
ambiente. Ma la cosa che appare ancor più sconcertante è che l'Unione
europea, nel quadro della Direttiva Ippc, sulla «prevenzione e riduzione
integrate dell'inquinamento» ha indicato recentemente il valore limite per
impianti di combustione finalizzati alla produzione di energia e funzionanti
con combustibile solido, del tutto analoghi quindi all'inceneritore Asm di
Brescia, in 50 Ng/Nm3 (nanogrammi per metro cubo di aria) di Pcb. Ebbene
questo limite di 50 Ng/Nm3 è stato abbondantemente superato con emissioni di
Pcb fino a 108,30 Ng/Nm3 nel novembre 2002 e 188,8 nel luglio 2003 (dati
due-tre volte superiori, quindi, a quel valore limite).
Considerazioni altrettanto preoccupanti si potrebbero sviluppare per le
emissioni di polveri ultrasottili, di ossidi di azoto o altri contaminanti
(Ma per ulteriori approfondimenti si rinvia al testo recentemente edito da
Jaca Book, L'Italia sotto i rifiuti).
In conclusione, se l'esperienza pilota di Brescia rappresentava anche nelle
intenzioni di Legambiente una lezione su come dovesse essere gestito il
problema rifiuti, sarebbe a questo punto opportuno che dal confronto sui
dati di fatto si riconsiderasse un'ipotesi che nel concreto si è dimostrata
fallimentare. Nel momento in cui a fine ciclo si colloca un inceneritore,
l'esperienza di Brescia dimostra che si innesca inevitabilmente il
cortocircuito che porta ad un'impennata della produzione dei rifiuti e alla
mortificazione della raccolta differenziata, con il corollario di enormi
sprechi di materia e di un carico inquinante che il fragile ambiente del
Belpaese non è in grado di sopportare.
D'altro canto, anche l'alternativa di una corretta gestione del problema non
è più solo teoria, ma esperienza realizzata, come insegna ad esempio il
Consorzio Priula nel Veneto, che si sta muovendo concretamente verso l'unica
prospettiva accettabile, quella del progressivo prosciugamento del flusso
dei rifiuti.
Marino Ruzzenenti