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incenerimento una non soluzione
- Subject: incenerimento una non soluzione
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 10 Dec 2004 21:57:35 +0100
da larivista del manifesto Il fallimento dell'esperienza pilota dell'Asm di Brescia L'INCENERIMENTO: UNA NON SOLUZIONE Marino Ruzzenenti Il Dossier rifiuti pubblicato sul n. 54 dell'ottobre scorso della «rivista» presenta un limite di fondo nell'affrontare il tema controverso dell'incenerimento: ne discute ancora su di un piano sostanzialmente teorico, riproponendo gli stessi dilemmi di 10 anni fa, come se nel frattempo in Italia non fosse successo assolutamente nulla. Si ignora, quindi, che da un canto sono state realizzate esperienze significative capaci di chiarire la questione al di là di ogni ragionevole dubbio e che dall'altro si è scatenata la corsa senza freni all'incenerimento (almeno un impianto per ogni provincia!) come alternativa alla riduzione e alla raccolta differenziata. In sostanza si sta cercando di sostituire al `tutto alla discarica' il `tutto all'incenerimento', bypassando una corretta gestione del problema rifiuti. La vicenda dell'inceneritore Asm di Brescia, da questo punto di vista, è di straordinario interesse, sia perché viene proposta come modello dai grandi mezzi di informazione («La Repubblica» del 25 ottobre 2004; Rai3, Ambiente Italia del 30 ottobre 2004), sia perché ha visto impegnati direttamente nella sua progettazione esponenti di spicco di Legambiente (uno dei suoi più illustri esperti, membro del Comitato scientifico nazionale, ha presieduto la Commissione tecnico-scientifica dell'Asm che ha elaborato il progetto, mentre della stessa ha fatto parte anche l'attuale presidente di Legambiente Brescia). Dopo sei anni di funzionamento dell'inceneritore Asm si possono tirare fondate e conclusive valutazioni su quest'esperienza pilota. Quando oltre 10 anni fa si decise di installare l'inceneritore a Brescia, si partì con le migliori intenzioni (le stesse riproposte peraltro nel Dossier di cui stiamo discutendo). Si proclamò solennemente, mobilitando esperti da tutto il mondo, docenti universitari, ambientalisti di chiara fama, che questo impianto si sarebbe collocato a valle della riduzione dei rifiuti e di una raccolta differenziata spinta, secondo il modello del `sistema integrato' (formula proposta oggi come una sorta di vangelo), fondato sul cosiddetto `doppio binario': da un canto, più del 50% dei rifiuti da differenziare, dall'altro il residuo secco `non altrimenti riciclabile' da incenerire. Inoltre, trattandosi di un impianto dell'ultima generazione, non vi sarebbe stato alcun problema di emissioni inquinanti. Come sono andate in realtà le cose? Innanzitutto, l'inceneritore ha prodotto una formidabile impennata nella produzione dei rifiuti pro capite, collocando Brescia ai vertici della graduatoria delle province `immondezzaie' (nel 2002, Kg/giorno 1,62 in provincia e addirittura 2,01 Kg nel comune capoluogo, un 50% in più della media nazionale di Kg/g 1,34, esattamente il doppio dei bacini `virtuosi' del Veneto, che fanno la raccolta domiciliare `porta a porta', quasi tre volte l'obiettivo europeo di Kg/g 0,82) ed ha richiamato a Brescia l'importazione di rifiuti da tutta Italia (solo quelli speciali diretti all'inceneritore pari a oltre 120.000 tonnellate nel 2001). Per quanto riguarda la raccolta differenziata, Brescia, da una posizione di primo piano che occupava meno di un decennio fa, è andata a collocarsi con un modesto 26,5%, al penultimo posto della graduatoria della Lombardia, che vantava già nel 2000 una media del 32%. Anche l'aumento che si è registrato nel 2002 con il 30,24% in provincia e il 37,30% in città (o 39% per il 2003) è del tutto irrilevante, perché è stato sostanzialmente annullato dal corrispettivo aumento del rifiuto prodotto. Così, a partire dal 1995, il quantitativo globale di rifiuti conferiti non differenziati non solo non è stato scalfito, ma è continuamente aumentato (da 431.497 tonnellate nel 1995 a 467.715 nel 2002), per cui a Brescia di fatto è come se non si fosse fatta la raccolta differenziata, in quanto a mala pena questa è riuscita ad assorbire l'aumento abnorme dei rifiuti assimilati agli urbani. Basterebbe il confronto con i bacini Padova 1, Treviso 2 e Treviso 3, dove si pratica il `porta a porta', con una produzione del rifiuto pro capite a solo 1 kg/giorno e una raccolta differenziata oltre il 60%, per dar conto del fallimento su tutta la linea dell'esperienza bresciana. Applicando il `modello Veneto' a Brescia dovremmo smaltire poco più di 150.000 tonnellate di rifiuti all'anno, mentre il `sistema integrato', installando un inceneritore di 500.000 tonnellate, induce uno smaltimento aggiuntivo di 350.000 tonnellate di rifiuti (parte per sovrapproduzione interna, parte per importazione da fuori provincia), giustificato solo dal fatto che un simile impianto a tecnologia complessa, per risultare remunerativo sul piano economico, deve essere di grandi dimensioni (tendenza che si va affermando ovunque). Per alimentarlo allora, non solo bisogna aumentare a dismisura la produzione di rifiuti, in clamorosa contraddizione con le priorità del decreto Ronchi e dell'Ue, ed importare rifiuti da ogni parte d'Italia, ma bisogna anche scoraggiare il più possibile la raccolta differenziata che sottrarrebbe prezioso combustibile alla `megamacchina'. Certo, l'incenerimento è un formidabile business. È un sogno di ogni imprenditore, infatti, disporre di una centrale termoelettrica che opera in regime di monopolio, con un combustibile che non è un costo, ma addirittura un ricavo (già questa voce di entrata ammonta a oltre 2 milioni di euro!), a cui si aggiungono ingenti guadagni dall'energia elettrica e dall'acqua calda e soprattutto incentivi `impropri' dallo Stato (i rifiuti sono considerati energie rinnovabili, per cui l'energia prodotta viene pagata all'Asm ad un prezzo praticamente triplicato). Ma se sul piano economico i risultati appaiono positivi, non altrettanto si può dire sul piano del bilancio di materia-energia: solo per esemplificare gli sprechi colossali di materie pregiate, si pensi che con le ceneri dell'inceneritore vengono irreversibilmente disperse circa 5 mila tonnellate di ferro all'anno, grosso modo la stessa quantità che viene recuperata. Un lusso che un paese come il nostro, povero di materie prime, non può davvero permettersi. E veniamo ora all'impatto ambientale, considerato irrilevante per gli impianti di ultima generazione. Stiamo parlando dell'inceneritore più grande d'Europa collocato nella città che `vanta', in una zona adiacente all'impianto, una contaminazione ambientale storica da Pcb e diossine (qui ha operato l'unica azienda produttrice di Pcb in Italia, la Caffaro), probabilmente superiore a quella registrata a Seveso, per cui a oltre 10.000 abitanti è stato interdetto qualsiasi contatto con il terreno (giardini, orti, parchi, ecc. Cfr. www.zonacaffaro.it). Ebbene, questo inceneritore sta funzionando senza che vi sia mai stata una valutazione di impatto ambientale (Via); anzi, la Via non è stata effettuata neppure per la recente installazione della terza linea (e per questo l'Unione europea, come è noto, ha attivato la procedura di infrazione). Nel dettaglio tecnico, ci limitiamo in questa sede a considerare le emissioni dei Pcb, parenti stretti delle diossine, contaminanti supertossici, non biodegradabili, bioaccumulabili, di cui Brescia, come si è già detto, soffre una contaminazione eccezionale. L'Arpa recentemente ha indagato i Pcb presenti nelle polveri dell'aria di Brescia (ma analogo discorso si può ipotizzare anche per le diossine): innanzitutto si nota che le concentrazioni medie di Pcb nelle polveri della città sono almeno 100 volte più elevate di quelle di controllo di tre località non industriali della provincia; è quindi più di un'ipotesi che un contributo a questo inquinamento da Pcb dell'aria della città venga proprio dall'inceneritore, se i Pcb rilevati mediamente nell'aria di una zona della stessa risultano essere 75 Pg/Nm3 (picogrammi per metro cubo di aria), mentre dall'inceneritore escono, secondo la media delle rilevazioni fatte dall'Istituto Negri nel 2003, ben 40.080 Pg/Nm3 di Pcb, quindi quasi 600 volte di più della concentrazione presente nell'aria cittadina, circa 60.000 volte di più dell'aria delle tre località di controllo. Ma quelle emissioni di Pcb (come pure quelle delle diossine pari a circa 8 Pg/Nm3) vanno moltiplicate per oltre 3 miliardi di Nm3 all'anno in uscita dal camino dell'inceneritore per dare l'idea di quanti se ne accumulino ogni anno in ambiente. Ma la cosa che appare ancor più sconcertante è che l'Unione europea, nel quadro della Direttiva Ippc, sulla «prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento» ha indicato recentemente il valore limite per impianti di combustione finalizzati alla produzione di energia e funzionanti con combustibile solido, del tutto analoghi quindi all'inceneritore Asm di Brescia, in 50 Ng/Nm3 (nanogrammi per metro cubo di aria) di Pcb. Ebbene questo limite di 50 Ng/Nm3 è stato abbondantemente superato con emissioni di Pcb fino a 108,30 Ng/Nm3 nel novembre 2002 e 188,8 nel luglio 2003 (dati due-tre volte superiori, quindi, a quel valore limite). Considerazioni altrettanto preoccupanti si potrebbero sviluppare per le emissioni di polveri ultrasottili, di ossidi di azoto o altri contaminanti (Ma per ulteriori approfondimenti si rinvia al testo recentemente edito da Jaca Book, L'Italia sotto i rifiuti). In conclusione, se l'esperienza pilota di Brescia rappresentava anche nelle intenzioni di Legambiente una lezione su come dovesse essere gestito il problema rifiuti, sarebbe a questo punto opportuno che dal confronto sui dati di fatto si riconsiderasse un'ipotesi che nel concreto si è dimostrata fallimentare. Nel momento in cui a fine ciclo si colloca un inceneritore, l'esperienza di Brescia dimostra che si innesca inevitabilmente il cortocircuito che porta ad un'impennata della produzione dei rifiuti e alla mortificazione della raccolta differenziata, con il corollario di enormi sprechi di materia e di un carico inquinante che il fragile ambiente del Belpaese non è in grado di sopportare. D'altro canto, anche l'alternativa di una corretta gestione del problema non è più solo teoria, ma esperienza realizzata, come insegna ad esempio il Consorzio Priula nel Veneto, che si sta muovendo concretamente verso l'unica prospettiva accettabile, quella del progressivo prosciugamento del flusso dei rifiuti. Marino Ruzzenenti
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