dall parte di darwin evoluziismo colto da dubbi



il manifesto - 26 Novembre 2004


Un'evoluzione colta dal dubbio

L'evoluzionismo è diventato il terreno di conflitto tra una cultura
oscurantista che vorrebbe cancellarlo dall'insegnamento nelle scuole e una
cultura aperta al dubbio e all'invenzione. Pubblichiamo la relazione che
l'autore, docente di genetica all'Università di Firenze, terrà oggi a un
convegno romano «Dalla parte di Darwin»
MARCELLO BUIATTI

Isegnali premonitori della crisi di una civiltà sono molti. Fra i più
inequivocabili l'allentamento dei rapporti interindividuali, la perdita del
senso della collettività, della memoria della storia e delle culture. Ma
forse più sintomatici di tutti sono la frammentazione ed il crollo del
pensiero individuale e collettivo inteso come elaborazione di idee e
concetti derivanti dal patrimonio culturale in cambiamento permanente.
Prevalgono, nelle crisi, i dogmi, le favole, le magie, e quindi i leader, le
bandiere, i proclami. La frammentazione impedisce di ricordarsi del passato
e quindi della storia, il che a sua volta annulla il futuro. Si vive nel
presente, un presente sradicato, individuale e quindi dolorosamente povero.
Tutti questi segnali sono presenti nelle nostre società occidentali e in
particolare in Italia, in cui alla crisi «mentale» e sociale si unisce
quella economica in una dialettica in cui è difficile distinguere causa ed
effetto. Una società che si fonda sempre di più su un lavoro a basso
contenuto di conoscenza, precario, senza localizzazione e quindi senza
apprendimento, comunicazione, aggregazione. Una società che non può non dare
prodotti anch'essi a basso contenuto di conoscenza e quindi scadenti,
perdenti nella competizione. Al declino mentale si unisce quello economico
con prodotti a basso costi e bassa qualità. Ad una società come questa non
servono teste pensanti, cultura, invenzione, non servono cioè gli strumenti
peculiari che differenziano la strategia di adattamento della nostra specie
da quelle degli altri animali. Anzi, le teste pensanti, che si ricordano
della storia, conoscono il presente, progettano il futuro, sono un pericolo
serio. Ecco perché questa società somministra slogan e non concetti, oppure
addirittura favole, come ha suggerito lo stesso ministro Moratti adducendo
come motivo la incapacità degli alunni di capire altro che fole.

Le parole inutili

Ecco perché siamo affogati dalle parole simbolo, senza significato
materiale, per le quali ci schieriamo in fazioni, senza entrare nel merito.
Alcune di queste parole come «Ogm», «clonazione», «gene», «genoma» vengono
dalla scienza, altre, come «flessibilità», «riformismo», «sviluppo», «Pil»,
dalla società in generale, dalla economia , dalla politica. Lo stesso
termine «scienza» viene confuso con «verità», «magia» , «tecnologia» ,
«sperimentazione». Ci si schiera pro o contro anche su questa «scienza»
indefinita, che per alcuni è l'unica ancora di salvezza, per altri la
ragione di tutti i mali, per altri ancora un inutile giochino.

Ai diversi significati della parola corrispondono, una immagine diversa
degli operatori di questa. Pochi ormai si chiedono veramente cosa si intenda
per ricerca, chi siano e cosa facciano gli «scienziati», come si svolga il
processo della acquisizione della conoscenza. E' in questo quadro di attacco
al pensiero, che si colloca la eliminazione dalla scuola dello studio non di
Darwin ma della evoluzione, che per questo assume valore di simbolo e di
esemplificazione di quanto succede in questo disgraziato paese. E' perfino
in questo caso si tenta la costruzione di schieramenti pro o contro
«Darwin», anche lui, senza alcuna colpa assurto a parola simbolo della
sempre generica «scienza».

E' in questo quadro si colloca un convegno nazionale dal titolo provocatorio
«Dalla parte di Darwin», organizzato da Legambiente con l'intenzione di
lanciare la discussione non solo su Darwin ma in genere sul significato
della abolizione, con l' evoluzione, di almeno una parte degli strumenti
conoscitivi che derivano dal pensiero scientifico.

Nel convegno verrà presentato e discusso dagli autori un volume a più mani
che si vorrebbe innesco di un dibattito che ancora langue (Dalla parte di
Darwin, edito da Legambiente). Non a caso la «provocazione» parte, come
sottolinea il coordinatore della iniziativa, Vittorio Cogliati, da
quell'ambientalismo che è stato più volte accusato di essere oscurantista ed
antiscientifico e che invece da sempre, anche se con ben poco lodevoli
eccezioni , chiama ad una discussione concreta proprio sul pensiero
scientifico. Certo, come affermano Cogliati e Vincenzo Terreni nel volume,
l'attacco all'insegnamento delle scienze nella scuola non è di ora né si
limita alla abolizione della evoluzione. Come hanno spesso fatto notare
anche se con scarso successo, le associazioni degli insegnanti di materie
scientifiche, l'insegnamento in questo campo è stato sempre limitato in
termini di tempo disponibile e povero di contenuti, spesso solo descrittivi,
nozionistici e vecchi di decenni rispetto alla scienza attuale. Tuttavia lo
studio della evoluzione ha uno statuto epistemologico tale renderlo oggetto
più di altro, di discussione permanente per le sue implicazioni in termini
di approccio e metodo scientifico e per i riflessi sulla concezione delle
origini, natura e storia della vita umana, individuale e sociale.

L'evoluzione si occupa infatti della narrazione della vita dei rapporti fra
essa e l'ambiente, fra le specie, le popolazioni , gli individui. Dato che
noi siamo vivi questa riflessione è di fatto rivolta a noi stessi, al nostro
rapporto con la natura e con gli altri esseri umani. E dei nostri
comportamenti individuali e collettivi la scienza , i suoi metodi ed i suoi
dati sono elemento fondante. Si badi bene: tutto questo va molto al di là
del dibattito fra creazionismo ed evoluzionismo, comunque non risolvibile in
quanto confronta due posizioni non paragonabili, una data per atto di fede e
non discutibile, la seconda frutto di una scienza in continuo cambiamento e
basata su dati materiali.

Una cultura oscurantista

Del resto non vi è dubbio che la radice vera dell'atto sconsiderato della
ministra Letizia Moratti non va cercata in un tentativo di ritorno al
creazionismo ma nella mutazione globale in corso nella concezione stessa
della cultura nel nostro paese, anch'essa oscurantista ma davvero non per
fede. Infatti la chiesa cattolica da molto tempo ha abbandonato le posizioni
antievoluzioniste, anche se considera il cambiamento degli esseri viventi
nel tempo come un «muoversi verso» (Galleni) l'uomo prima, la nuova venuta
del Cristo poi. Non è nemmeno della chiesa la responsabilità del convegno
organizzato a Milano, quasi in concomitanza con la modificazione dei
programmi, da una frangia della estrema destra. Ben diversa è la situazione
negli Usa di Bush seconda versione, percorsi da una ventata oscurantista e
reazionaria che è poi quella che lo ha fatto vincere, come testimonia la
introduzione, nelle scuole di molti stati , della «teoria» creazionista con
pari dignità di quelle evoluzioniste.

Le ragioni delle diffidenze ministeriali verso le discipline evolutive vanno
anche oltre l'ostentato disprezzo verso docenti e ricercatori impegnati in
quella scienza che non è direttamente brevettabile e vendibile da parte
delle «imprese» (altra parola-simbolo). Sono invece consciamente o no
direttamente collegate con la ricchezza del pensiero evoluzionistico
discusso con rigore da Marcello Cini nel volume che sarà presentato durante
il convegno.

L'evoluzionismo è per antonomasia parte centrale e insieme sintetica delle
scienze della vita e Darwin nell'approccio e anche nei comportamenti ci
offre un modello di scienza che confligge con quello propagandato dalla
divulgazione dominante e dagli stessi testi scolastici. La scienza corrente
è infatti scienza delle certezze e chi vi opera purtroppo si presenta spesso
privo di dubbi sulla natura assoluta della sua verità e sulla capacità di
predire senza errore le dinamiche della vita. Questa scienza non prevede
limite in quanto considera i viventi equivalenti a macchine assemblabili o
smembrabili a volontà con effetti prevedibili. Ciò deriva dai successi del
metodo riduzionista di semplificazione dello studio del tutto attraverso lo
studio delle parti, a cui si devono gran parte della scienza contemporanea,
che però è stato trasformato in una ideologia per la quale gli esseri
viventi non vengono semplificati per studiarli meglio ma sono realmente
semplici, simili a computer che si auto-costruiscono sulla base di un
progetto unico per ogni individuo, non modificabile dalle storie di vita.
Per cui, essendo i computer fatti di pezzi indipendenti ed assemblati,
possono essere modificati a volontà alterando elementi del programma con
risultati del tutto prevedibili e quindi magari vendibili senza tema di
«effetti collaterali».

Ebbene, Darwin, lungi dall'essere pieno di certezze era persona modesta,
disposta a cambiare le proprie opinioni e restia a schierarsi con una o
l'altra verità assoluta. Ci dice nella autobiografia: «Nel complesso non ho
dubbi sul fatto che il mio lavoro è stato continuamente sopravvalutato....
Ho una decente capacità di invenzione e di buon senso comune come un
qualsiasi avvocato o medico di discreto successo ma non più di questo. Per
quanto posso giudicarmi ... sono sempre riuscito a mantenere la mia mente
libera in modo da poter abbandonare qualsiasi ipotesi per quanto amata...
Non mi ricordo di aver formulato mai una ipotesi che io poi non abbia
abbandonata o profondamente modificata». Questo atteggiamento mentale, la
straordinaria capacità di osservazione, il rispetto profondo della diversità
e del suo valore adattativo hanno fatto sì che Darwin, oltre ad essere
disposto a cambiare idea, aveva chiaro che ogni processo vitale ha molte
cause e molte facce che tutte reali anche se apparentemente contrastanti.

In questo, Darwin era molto diverso dalla immagine che ne esce dai nostri
libri di scuola. Intanto, a differenza dei neo-darwinisti della «sintesi
moderna» era un po' lamarckiano nel senso che non escludeva la azione di
modificazione del programma degli esseri viventi da parte dell'ambiente ma
anzi pensava anche ad un effetto diretto dell'ambiente sulla eredità: «Il
cambiamento di abitudini produce un effetto ereditario, come quelli relativi
al periodo della fioritura nelle piante che sono state trasportate da un
clima ad un altro. Negli animali il maggior uso delle parti ha una influenza
ancora maggiore». E in un altro passo: «Considerazioni come queste mi
inducono ad attribuire minor peso alla azione diretta delle condizioni
ambientali che ad una tendenza a cambiare, dovuta a cause che ignoriamo
completamente». Mentre il Darwin dell'immaginario collettivo è determinista
(tale il gene tale il carattere), quello vero no perché attribuisce
all'ambiente non solo la funzione di filtro selettivo ma anche quella di
causa di cambiamenti rilevanti durante vite non programmate in partenza. Non
solo, ma Darwin implicitamente rifiuta l'assimilazione degli esseri viventi
a macchine quando introduce il concetto di «variazione correlata» fra le
parti, che ne indica la interdipendenza dinamica. Per cui «per usare
l'espressione di Goethe, `per largheggiare da una parte la natura è
costretta ad economizzare dall'altra'». Siamo quindi, in sintesi, noi esseri
viventi, per dirla con linguaggio contemporaneo, sistemi fatti a rete di
componenti collegati, in continuo cambiamento sotto la azione di
modificazioni interne e di risposta adattativi all'esterno. Va sottolineato
che multiversità, storicità, plasticità della natura erano vive in Darwin e
lo sono di nuovo , prepotentemente, nella biologia contemporanea dopo essere
state «rimosse», dalla biologia moderna, quella che passa dal neodarwinismo
più rigido e dal «Dogma centrale della Genetica molecolare» di Francis Crick
che ha codificato la versione «computer» dei sistemi viventi. Quest'ultima è
tuttavia ancora l'immagine della vita e quindi di noi stessi che dà,
evoluzione o no, la nostra scuola e anche in parte la nostra università.

Consumare per vendere

Per il vero questa immagine è estranea, come dimostra Marcello Sala,
all'innato senso della vita, quella vera, che hanno i ragazzi, che però, in
mancanza di una impostazione pedagogica innovativa, discussa da Fornasa, e
di un adeguamento della scienza insegnata alla scienza contemporanea,
vengono gradatamente omologati al processo di alienazione in corso. Perdono
così parte almeno della gioia che portano istintivamente la diversità, il
cambiamento vitale del proprio corpo e del proprio pensiero, per adeguarsi a
un mondo senza limiti in cui le merci, come dice Cini, diventano sempre più
immateriali e talvolta, come avviene della musica o dei pensieri, sono solo
danaro sotto forma di brevetti, mentre la tecnologia soppianta la scienza e
produce beni il cui valore fondamentale non è essere usati ma essere
venduti. E' questo processo forse, che è alla base della tentazione suicida
della nostra specie sottolineata da Giuliano Cannata, dimentica dei processi
reali di distruzione del pianeta che fa finta di non notare, dalla più
veloce estinzione della biodiversità mai vista, al mutamento del clima, a
tutti i macrofenomeni che, se non completamente indotti sono senza dubbio
accelerati dalla perdita di coscienza della materia e della energia che
contraddistingue la nostra continua corsa senza meta.

Essere dalla parte di Darwin, significa stare dalla parte della scienza
senza dogmi, del libero pensiero scientifico, della razionalità basata sulla
invenzione e sulla scoperta. Sui modi per far rinascere pensiero, scienza,
ricerca e formazione, è duqnue urgente il confronto e la discussione non
solo nella comunità scientifica ma anche tra le forze sociali e politiche,
le persone di questo paese ancora individualmente ma poco collettivamente
capace di discutere, studiare, inventare.