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punti critici delle città posfordiste
- Subject: punti critici delle città posfordiste
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 23 Nov 2004 06:43:45 +0100
il manifesto - 11 Novembre 2004 Punti cardinali della rivolta urbana Nell'ultimo saggio di Agostino Petrillo, Città in rivolta. Los Angeles, Buenos Aires, Genova , uscito per ombrecorte, uno studio su città postfordiste tra loro lontane ma accomunate da sommosse che offrono lo sfondo su cui leggere le sfide della contemporaneità FERDINANDO FASCE L'ultimo apprezzabile tentativo di Agostino Petrillo - sociologo urbano con esperienza teorica e di indagine già ampiamente collaudata in lavori come Max Weber e la sociologia della città - di applicare la propria sensibilità di ricercatore e di militante a uno «studio delle città centrato sulle due grandi questioni dell'epoca, tra loro strettamente intrecciate, la globalizzazione e il lavoro migrante è uscito con il titolo Città in rivolta. Los Angeles, Buenos Aires, Genova (ombrecorte, pp. 115, euro 10). È uno studio che assume le «rivolte urbane» del decennio 1992-2001 come cartina di tornasole alla luce della quale leggere problemi, sfide e opportunità di cambiamento della città postfordista. Allineare realtà apparentemente lontane e irriducibili quali la megalopoli losangelina della rivolta del 1992, che costò la Casa Bianca al padre di George W., la Buenos Aires del tracollo finanziario del dicembre 2001 e la Genova sede del G-8 nel luglio di quello stesso anno può sembrare (ed è) una forzatura. Lo stesso Petrillo se ne dichiara pienamente consapevole, riconoscendo in apertura del libro che «per alcuni degli eventi qui accennati, il termine `rivolta' potrebbe sembrare eccessivo (in effetti sembra più facile rubricarli sotto il nome generico di 'violenza urbana'), così come per altri inadeguato (è il caso dell'Argentina del dicembre 2001, in cui la rivolta ha assunto la dinamica di un vero e proprio moto rivoluzionario)». Ma si può dire subito che questo sforzo di sottrarre a uno sguardo «localistico» e proiettare in una dimensione comparata e internazionale vicende «che appaiono sostanzialmente incomprese», non manca di dare i suoi frutti, anzitutto come innovativo inventario di problemi sui quali lavorare più in profondità in futuro. Punto di partenza della ricognizione, la Mecca del cinema californiano, che dodici anni fa fornì lo scenario per una settimana di durissimo riot multietnico (circa 60 morti, 3.000 feriti, 300 negozi devastati e incendiati), scatenato dall'inqualificabile verdetto di assoluzione riservato ai poliziotti bianchi responsabili del pestaggio dell'automobilista afroamericano Rodney King. Lavorando sulla più recente letteratura in materia, e soprattutto sulle ricerche di Roger Keil, Petrillo riconduce il caso di Los Angeles - e in particolare gli scontri fra afroamericani e coreani che lo attraversarono e che configurano «un tipo nuovo di violenza collettiva...in uno spazio che sempre meno ricorda l'immagine consueta di città» - alle trasformazioni economiche, demografiche e migratorie (con flussi di 5-600.000 nuovi arrivi annui) a cavallo degli anni `80. Nell'intreccio perverso tra postfordismo e sweatshops, nuove e vecchie ricchezze, legate ai settori della moda e dell'entertainment, garantite dalle barriere esclusive della security privata, e «fabbriche del sudore» con salari da terzo mondo, tali trasformazioni hanno fatto della «città degli angeli» una megalopoli «da un lato sospinta tra le più importanti città globali», dall'altro costretta a sperimentare «un'ulteriore (rispetto a quella, storica, che aveva alimentato la rivolta del ghetto nero del 1965) polarizzazione» sociale e spaziale. Con il conseguente, enorme interrogativo, osserva Petrillo, relativo al come «fare città» in condizioni assolutamente inedite di frammentazione pulviscolare del tessuto sociale. Non meno complesso, del resto, si presenta il caso della Buenos Aires del disastro finanziario d'inizio millennio. L'autore ne illustra efficacemente la contraddittoria condizione, sospesa fra l'assunzione «nel novero delle città globali o una sua riduzione a megacittà terzomondiale» - come impone il cospicuo afflusso di migranti, principalmente dai paesi limitrofi; con conseguente «ruralizzazione e indigenizzazione della regione metropolitana». Tali migranti, in specie boliviani e peruviani, emergono, assieme al resto della popolazione, nel vasto movimento di blocchi stradali, di assemblee di quartiere, di saccheggi (concentrati contro i grandi supermercati), di allestimento di mense collettive, che investono la città, nel turbine del crollo di borsa e della disperazione diffusa del dicembre 2001. E sono ancora una volta migranti, soprattutto nordafricani e latinos, coloro che popolano lo spazio urbano a Genova nel decennio che precede il G8. Nella «poliziottopoli» ultrablindata, allestita per rendere sicuro l'incontro fra i «grandi della terra» a palazzo Ducale, le usuali segmentazioni spaziali fra centro storico e periferie deindustrializzate paiono risolversi e cristallizzarsi, come Petrillo sottolinea nella sua testimonianza personale, scritta a caldo e già pubblicata due anni fa, che costituisce l'ultimo capitolo del volumetto: un capitolo redatto, a differenza degli altri, «con la passione ... del militante, più che del sociologo o dello spettatore.» Animano il diario gli echi delle intense sedute di dibattito, le manifestazioni, la «strategia di confronto duro, pianificata e diretta con il preciso obiettivo di rendere plausibile...l'occupazione militare della città», il «piccolo riot dei perdenti, parentesi di guerriglia da stadio all'interno di violenze ben altrimenti e diversamente organizzate», le «sorprendenti capacità di reazione e autonomia di giudizio» della città (i cui intellettuali invece, «sono stati splendidamente assenti dalle giornate del G8»). E, soprattutto, «lo spazio per la politica dischiuso dalle giornate genovesi». Come e sicuramente più che negli altri due casi, quest'ultima vicenda sollecita evidentemente una riflessione di più ampio respiro e più controllata, nell'analisi e nei giudizi (sulle dinamiche e sulla direzione dei processi), di quella, dichiaratamente parziale, contenuta nel breve libro di Petrillo. Ma con le osservazioni provocatorie e stimolanti di Città in rivolta dovrà comunque misurarsi chiunque decida in futuro di ripensare più distesamente il globale e il locale che si incrociarono a Genova in quei giorni, metterli in relazione al passato e alla vita quotidiana delle città nelle quali viviamo e abbiamo vissuto, interrogare, senza scorciatoie e in tutta la sua complessità, il geroglifico sociale presente.
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