punti critici delle città posfordiste



il manifesto - 11 Novembre 2004


Punti cardinali della rivolta urbana

Nell'ultimo saggio di Agostino Petrillo, Città in rivolta. Los Angeles,
Buenos Aires, Genova , uscito per ombrecorte, uno studio su città
postfordiste tra loro lontane ma accomunate da sommosse che offrono lo
sfondo su cui leggere le sfide della contemporaneità

FERDINANDO FASCE

L'ultimo apprezzabile tentativo di Agostino Petrillo - sociologo urbano con
esperienza teorica e di indagine già ampiamente collaudata in lavori come
Max Weber e la sociologia della città - di applicare la propria sensibilità
di ricercatore e di militante a uno «studio delle città centrato sulle due
grandi questioni dell'epoca, tra loro strettamente intrecciate, la
globalizzazione e il lavoro migrante è uscito con il titolo Città in
rivolta. Los Angeles, Buenos Aires, Genova (ombrecorte, pp. 115, euro 10). È
uno studio che assume le «rivolte urbane» del decennio 1992-2001 come
cartina di tornasole alla luce della quale leggere problemi, sfide e
opportunità di cambiamento della città postfordista. Allineare realtà
apparentemente lontane e irriducibili quali la megalopoli losangelina della
rivolta del 1992, che costò la Casa Bianca al padre di George W., la Buenos
Aires del tracollo finanziario del dicembre 2001 e la Genova sede del G-8
nel luglio di quello stesso anno può sembrare (ed è) una forzatura. Lo
stesso Petrillo se ne dichiara pienamente consapevole, riconoscendo in
apertura del libro che «per alcuni degli eventi qui accennati, il termine
`rivolta' potrebbe sembrare eccessivo (in effetti sembra più facile
rubricarli sotto il nome generico di 'violenza urbana'), così come per altri
inadeguato (è il caso dell'Argentina del dicembre 2001, in cui la rivolta ha
assunto la dinamica di un vero e proprio moto rivoluzionario)». Ma si può
dire subito che questo sforzo di sottrarre a uno sguardo «localistico» e
proiettare in una dimensione comparata e internazionale vicende «che
appaiono sostanzialmente incomprese», non manca di dare i suoi frutti,
anzitutto come innovativo inventario di problemi sui quali lavorare più in
profondità in futuro. Punto di partenza della ricognizione, la Mecca del
cinema californiano, che dodici anni fa fornì lo scenario per una settimana
di durissimo riot multietnico (circa 60 morti, 3.000 feriti, 300 negozi
devastati e incendiati), scatenato dall'inqualificabile verdetto di
assoluzione riservato ai poliziotti bianchi responsabili del pestaggio
dell'automobilista afroamericano Rodney King.

Lavorando sulla più recente letteratura in materia, e soprattutto sulle
ricerche di Roger Keil, Petrillo riconduce il caso di Los Angeles - e in
particolare gli scontri fra afroamericani e coreani che lo attraversarono e
che configurano «un tipo nuovo di violenza collettiva...in uno spazio che
sempre meno ricorda l'immagine consueta di città» - alle trasformazioni
economiche, demografiche e migratorie (con flussi di 5-600.000 nuovi arrivi
annui) a cavallo degli anni `80. Nell'intreccio perverso tra postfordismo e
sweatshops, nuove e vecchie ricchezze, legate ai settori della moda e
dell'entertainment, garantite dalle barriere esclusive della security
privata, e «fabbriche del sudore» con salari da terzo mondo, tali
trasformazioni hanno fatto della «città degli angeli» una megalopoli «da un
lato sospinta tra le più importanti città globali», dall'altro costretta a
sperimentare «un'ulteriore (rispetto a quella, storica, che aveva alimentato
la rivolta del ghetto nero del 1965) polarizzazione» sociale e spaziale. Con
il conseguente, enorme interrogativo, osserva Petrillo, relativo al come
«fare città» in condizioni assolutamente inedite di frammentazione
pulviscolare del tessuto sociale.

Non meno complesso, del resto, si presenta il caso della Buenos Aires del
disastro finanziario d'inizio millennio. L'autore ne illustra efficacemente
la contraddittoria condizione, sospesa fra l'assunzione «nel novero delle
città globali o una sua riduzione a megacittà terzomondiale» - come impone
il cospicuo afflusso di migranti, principalmente dai paesi limitrofi; con
conseguente «ruralizzazione e indigenizzazione della regione metropolitana».
Tali migranti, in specie boliviani e peruviani, emergono, assieme al resto
della popolazione, nel vasto movimento di blocchi stradali, di assemblee di
quartiere, di saccheggi (concentrati contro i grandi supermercati), di
allestimento di mense collettive, che investono la città, nel turbine del
crollo di borsa e della disperazione diffusa del dicembre 2001. E sono
ancora una volta migranti, soprattutto nordafricani e latinos, coloro che
popolano lo spazio urbano a Genova nel decennio che precede il G8. Nella
«poliziottopoli» ultrablindata, allestita per rendere sicuro l'incontro fra
i «grandi della terra» a palazzo Ducale, le usuali segmentazioni spaziali
fra centro storico e periferie deindustrializzate paiono risolversi e
cristallizzarsi, come Petrillo sottolinea nella sua testimonianza personale,
scritta a caldo e già pubblicata due anni fa, che costituisce l'ultimo
capitolo del volumetto: un capitolo redatto, a differenza degli altri, «con
la passione ... del militante, più che del sociologo o dello spettatore.»
Animano il diario gli echi delle intense sedute di dibattito, le
manifestazioni, la «strategia di confronto duro, pianificata e diretta con
il preciso obiettivo di rendere plausibile...l'occupazione militare della
città», il «piccolo riot dei perdenti, parentesi di guerriglia da stadio
all'interno di violenze ben altrimenti e diversamente organizzate», le
«sorprendenti capacità di reazione e autonomia di giudizio» della città (i
cui intellettuali invece, «sono stati splendidamente assenti dalle giornate
del G8»). E, soprattutto, «lo spazio per la politica dischiuso dalle
giornate genovesi». Come e sicuramente più che negli altri due casi,
quest'ultima vicenda sollecita evidentemente una riflessione di più ampio
respiro e più controllata, nell'analisi e nei giudizi (sulle dinamiche e
sulla direzione dei processi), di quella, dichiaratamente parziale,
contenuta nel breve libro di Petrillo.

Ma con le osservazioni provocatorie e stimolanti di Città in rivolta dovrà
comunque misurarsi chiunque decida in futuro di ripensare più distesamente
il globale e il locale che si incrociarono a Genova in quei giorni, metterli
in relazione al passato e alla vita quotidiana delle città nelle quali
viviamo e abbiamo vissuto, interrogare, senza scorciatoie e in tutta la sua
complessità, il geroglifico sociale presente.