famiglia cristiana e biotech un dossier



da greenplanet.net
mercoledi 17 novembre 2004

FAMIGLIA CRISTIANA SUL BIOTECH

Il settimanale cattolico riepiloga la questione OGM ai suoi lettori:
Attenti, non cancelleranno la fame nel mondo, ma aumenteranno la dipendenza
dei Paesi poveri da quelli ricchi. Amen.

L'Italia dice sì alle colture transgeniche dal 2006, ma a rigide condizioni
per evitare contaminazioni.
Gli agricoltori e i consumatori sono soddisfatti, alcuni scienziati un po'
meno.
Ma secondo il presidente della Coldiretti, «è una guerra tra Usa ed Europa».

Mischiando capra e cavoli si ottiene un organismo geneticamente modificato?
La battuta è rimbalzata a lungo tra i manifestanti che, per giorni, hanno
protestato sotto Palazzo Chigi chiedendo l'approvazione del decreto Alemanno
sulla coesistenza tra colture Ogm e colture tradizionali o biologiche.
Tra i bersagli centrati dalla battuta, quegli scienziati, tra cui l'oncologo
Umberto Veronesi, firmatari di un documento con cui criticavano chi «con un'
insensata caccia alle streghe» si oppone all'agricoltura transgenica, mentre
«accetta lo stesso identico processo quando si tratta di ricavarne
medicinali innovativi».
«Capra e cavoli, appunto», commenta Ivan Verga, vicepresidente dell'
associazione "Verdi ambiente e società".
«La scienza ha il diritto, anzi il dovere, di fare ricerca. Ma questo cosa c
'entra con il decreto Alemanno chiesto a gran voce da quasi tutti gli
agricoltori italiani, dai consumatori, dalle associazioni ambientaliste e
dalle 13 Regioni italiane che si sono già dichiarate contrarie all'
agricoltura transgenica? La verità è che ci sono troppi interessi in gioco
perché si possa fare un discorso sereno sul tema degli Ogm. Le industrie
farmaceutiche che finanziano il mondo della ricerca sono spesso collegate
con le industrie chimiche, che hanno puntato molto sull'agricoltura
transgenica e premono per i loro prodotti. Altro che libero mercato: i
consumatori europei non vogliono gli Ogm, ma qualcuno glieli vuole imporre e
ogni occasione è buona. Il decreto Alemanno ne è un esempio».

Via libera a partire dal 2006
Il provvedimento del ministro per le politiche agricole Gianni Alemanno,
comunque, che era stato bloccato dal Consiglio dei ministri circa un mese fa
ed era stato fortemente criticato come illiberale dallo stesso presidente
del Consiglio Berlusconi, è stato infine approvato.
Stabilisce che la coesistenza tra agricoltura biotech e agricoltura
tradizionale, in Italia, sarà possibile a partire dal gennaio del 2006, ma
solo seguendo criteri che garantiscano la non contaminazione dei diversi
generi.
Entro la fine del 2005 le Regioni dovranno adottare un piano di coesistenza
che stabilisca le regole alle quali gli agricoltori, che vorranno coltivare
piante geneticamente modificate, dovranno attenersi.
Per chi non rispetterà la moratoria è previsto anche il carcere.
Dopo, per chi non si atterrà alle regole anticontaminazione, multe fino a
25.000 euro.
«Spostare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla ricerca scientifica è
stato un tentativo, non so quanto consapevole o frutto di un equivoco, di
deviare il significato del dibattito», dice il ministro Alemanno.
«Ma avremo modo di affrontare il problema della ricerca. Mi sono impegnato
con l'Assobiotech e con il mondo scientifico per aprire un tavolo di studio
con tutte le parti in causa per valutare le forme di finanziamento per le
ricerche in campo biotecnologico».

La scienza non è concorde
«Ricerche che sono necessarie perché in realtà la scienza non è concorde
sugli Ogm, soprattutto in agricoltura», dice Luca Colombo, agronomo e
consulente del "Consiglio dei diritti genetici", un'associazione scientifica
e culturale indipendente che si occupa di ricerca e informazione sulle
applicazioni e gli impatti delle biotecnologie.
«Ben venga maggiore attenzione alla ricerca, ma accompagnata da un
avanzamento tecnologico più cauto e attento al principio della precauzione.
Anche perché la scienza ha delle ricadute politiche, economiche e sociali
che possono essere devastanti».

Ed erano queste, principalmente, a preoccupare gli agricoltori italiani o,
almeno, quelli riuniti nella Coldiretti e nella Cia (Confederazione italiana
agricoltori), che si sono schierati a fianco del ministro Alemanno. «L'
approvazione di questo decreto è un grande successo per la nostra economia
agricola», dice il presidente della Coldiretti Paolo Bedoni.
«Altro che problemi di ricerca scientifica, questa è una vera e propria
guerra commerciale tra Usa ed Europa. L'agricoltura italiana, che
rappresenta il 30 per cento del prodotto interno lordo, si basa sulla
qualità delle produzioni agroalimentari, sull'unicità del nostro patrimonio
tradizionale. Abbiamo 142 denominazioni di origine protetta già approvate e
4.000 in attesa di approvazione. È la grande ricchezza del "made in Italy" e
non a caso siamo spesso imitati e contraffatti. Se passasse la linea a
favore degli Ogm, o se anche solo fosse consentita la contaminazione tra Ogm
e Ogm-free (e senza regole severe la contaminazione potrebbe avvenire in
maniera accidentale, mettendoci di fronte a un fatto compiuto), sarebbe la
fine perché perderemmo il marchio di qualità. E se omologano noi, sul
mercato resterebbero solo gli Usa, visto che grazie alla grande estensione
del loro territorio - una media di 200 ettari per azienda agricola, contro i
nostri 6 - possono coltivare, e infatti coltivano, anche produzioni
Ogm-free. Noi, invece, non potremmo più tornare indietro».

Di diverso avviso sono gli scienziati e gli intellettuali che avevano
aderito a una lettera aperta a Berlusconi perché bloccasse il decreto di
Alemanno.

Nella lettera, promossa dall'Istituto Bruno Leoni e dall'Osservatorio sulla
bioetica della Fondazione Luigi Einaudi, scrivono: «Il bando degli Ogm è
illiberale, sia verso i produttori sia verso i consumatori, che verrebbero
privati della possibilità di scelta messa a disposizione dal progresso
tecnologico.

Gli agricoltori che volessero investire nel biotech per aumentare la propria
competitività sui mercati globali, si vedrebbero condannati a restare ben
lontani dai sistemi agricoli più avanzati che da anni si avvalgono delle
conquiste dell'ingegneria genetica».
Chi ha ragione?
Ai consumatori l'ardua sentenza.

Barbara Carazzolo

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I SEMI TRANSGENICI NON CANCELLERANNO LA FAME

«Le colture Ogm aumenteranno la dipendenza dei Paesi poveri da quelli
ricchi», dice un'esperta della Focsiv.

Gennaio 2003: il presidente americano Bush manda un messaggio al Forum di
cooperazione commerciale fra Usa e Paesi dell'Africa subsahariana in corso
alle Mauritius.
Nel documento scrive che gli Stati Uniti sono pronti ad aumentare del 50 per
cento gli aiuti allo sviluppo per tre anni, a condizione che i Paesi del
continente nero aprano le frontiere ai prodotti agricoli geneticamente
modificati.
Il messaggio arriva nel pieno di una crisi alimentare, iniziata sei mesi
prima, che coinvolge 14 milioni di persone nell'Africa australe.

Maggio 2003: i vescovi delle Filippine chiedono una moratoria sul commercio
di granturco geneticamente modificato, perché preoccupati dell'impatto sull'
ambiente.
La posizione dei vescovi nasce da alcuni studi sul mais denominato Bt
(Bacillus thuringiensis), da cui risulta che a lungo andare può ridurre
pesantemente la fertilità del suolo.

Settembre 2003: una folla di contadini assalta e distrugge i laboratori di
ricerca della Monsanto (una delle grandi multinazionali biotecnologiche) a
Bangalore, nel Sud dell'India.
L'esplosione di violenza è dovuta al fatto che nei tre mesi precedenti 70
agricoltori si sono suicidati a causa della crisi, dovuta anche - secondo i
manifestanti - alla crescente dipendenza dell'agricoltura della regione
dalle sementi Ogm, per l'uso delle quali i contadini sono legati a contratti
e vincoli molto rigidi.

Fatti passati quasi inosservati

Giugno 2004: il Governo americano organizza una "tre-giorni" a Ouagadougou,
in Burkina Faso, invitando 400 delegati di 15 Paesi africani per dimostrare
l'utilità delle colture transgeniche nella lotta alla fame e combattere i
pregiudizi sulle biotecnologie.

Sono fatti di cronaca, passati quasi inosservati, segnalati via via dall'
agenzia di stampa missionaria Misna.
Ma raccontano un fenomeno in atto, cruciale per i Paesi poveri e soprattutto
per l'Africa: la pressione per favorire la penetrazione degli Ogm e,
insieme, la resistenza di molti Governi dei Paesi in via di sviluppo ad
accettarne la diffusione.

Può davvero il transgenico essere utile per il problema della fame?

Alberta Guerra, responsabile per le campagne di Focsiv (le Ong di matrice
cristiana), risponde di no.
«Per diverse ragioni», dice. «La prima è che gli Ogm sono un pericolo per la
biodiversità. I Paesi poveri sono anche i più ricchi di varietà e specie.
Gli organismi transgenici sono più forti e potrebbero rapidamente
soppiantare e far scomparire molte varietà naturali».

Non porterebbero, però, a un miglioramento dei raccolti?
«Queste sementi sono sotto brevetti, controllati per oltre il 90 per cento
da quattro aziende multinazionali: nei Paesi poveri il loro uso
provocherebbe ulteriore dipendenza dai Paesi ricchi, e non sviluppo».

Si può escludere a priori che la ricerca transgenica possa contribuire all'
autosufficienza alimentare delle aree povere?

«Nella situazione attuale sì, perché è dimostrato che la fame non dipende
dall'insufficienza di cibo, ma dal fatto che i poveri non hanno accesso alle
risorse. Il pianeta potrebbe produrre cibo abbondante per tutti, ma milioni
di persone non hanno accesso alla terra, all'acqua, al credito, ai mercati
locali. Queste sono le ragioni della fame, oltre ai conflitti. Chi sostiene
l'utilità degli Ogm, spesso porta la "prova" di alimenti transgenici come il
golden rice: questo riso, arricchito attraverso modifiche genetiche di
vitamina A, eviterebbe il dramma della cecità. Ebbene, Greenpeace nel 2001
ha condotto uno studio dal quale risulta che una donna di corporatura media
carente di vitamina A, per assimilarne a sufficienza, dovrebbe mangiare 3,6
chili di riso al giorno, ossia nove chili di riso cotto. È un esempio per
dire che non si vede attualmente alcun risvolto etico nelle campagne in
favore Ogm, ma una colossale operazione commerciale».

Luciano Scalettari
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COSÌ FINISCE SULLA TAVOLA...

L'avvertenza in etichetta è: "questo prodotto contiene organismi
geneticamente modificati", come ha stabilito il regolamento CE n. 1829/2003,
ma non si vede in nessun prodotto.
Se ne potrebbe dedurre che, almeno in Italia, gli alimenti con gli Om non ci
sono, eppure è sicuro che li mangiamo da anni.
Intanto, perché non ci sono ancora sanzioni per chi mette in commercio un
prodotto Ogm senza l'avvertenza in etichetta.
Poi, manca un metodo d'analisi ufficiale per scoprire se un alimento
contiene Ogm; più esattamente, il metodo c'è (anzi più di uno), ma deve
essere approvato da una legge nazionale o da un regolamento europeo,
altrimenti chi viene colto in fallo può obiettare davanti al giudice che il
metodo è inattendibile o illegittimo.
Il terzo motivo per cui da anni mangiamo Ogm è ancora più semplice: siamo
costretti a importare materie prime alimentari da Paesi come la Cina, gli
Stati Uniti, il Canada, eccetera, dove sono largamente coltivati cereali,
legumi e altri vegetali geneticamente modificati, che arrivano nei mercati
all'ingrosso mischiati con quelli tradizionali.
Come si fa a separare i chicchi di granturco o soia Ogm da quelli non Ogm?
È impossibile, bisognerebbe analizzarli uno per uno, oppure costringere quei
Paesi esportatori a tenere separate le partite di semi, ma da questo
orecchio non ci vogliono sentire, anche perché danneggerebbero la propria
agricoltura, anzi in alcuni casi le coltivazioni Ogm vengono incoraggiate.
Comunque, finora non risulta che qualcuno si sia ammalato per aver mangiato
alimenti geneticamente modificati.
Chi vuole evitarli, può comprare i prodotti biologici nazionali, ove non
sono ammesse materie prime Ogm, oppure quelli che in etichetta dichiarano
espressamente di non contenerli.

Emanuele Piccari
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LA CHIESA: AVANTI MA CON PRUDENZA

Prudenza e attenzione ai criteri etici: sono i due pilastri della posizione
della Chiesa cattolica sugli Organismi geneticamente modificati.
La più recente e organica presa di posizione della Santa Sede in questa
materia è nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa pubblicato tre
settimane fa dal Pontificio consiglio della giustizia e della pace.
Nel capitolo "Salvaguardare l'ambiente" si afferma che le biotecnologie
possono essere uno strumento utile alla soluzione di gravi problemi, come la
fame e le malattie.
Ma si avverte, citando Giovanni Paolo II, che il potenziale di questo
strumento «non è neutro: esso può essere usato sia per il progressso dell'
uomo, sia per la sua degradazione».
Poiché «si è constatato che l'applicazione di talune scoperte nell'ambito
industriale e agricolo produce, a lungo termine, effeti negativi», ogni
intervento in un'area dell'ecosistema non può «prescindere dal considerare
le sue conseguenze in altre aree e, in generale, sul benessere delle future
generazioni».
La ricerca e il commercio nel campo delle biotecnologie non devono tener
conto solo del legittimo profitto economico, ma anche del bene comune.
Più in generale, «un'economia rispettosa dell'ambiente non perseguirà
unicamente l'obiettivo della massimizzazione del profitto, perché la
protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo
finanziario di costi e benefici. L'ambiente è uno di quei beni che i
meccanismi del mercato non sono in grado di difendere e di promuovere
adeguatamente».
Si raccomanda, inoltre, che i politici e i legislatori decidano in questa
materia liberi da «pressioni provenienti da interessi di parte».