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il costo del futuro
- Subject: il costo del futuro
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 23 Sep 2004 18:01:56 +0200
Il costo del futuro Ferruccio De Bortoli La Stampa - 17/09/2004 DOMANDA: versereste lo 0,1 per cento di quello che guadagnate per assicurarvi un futuro migliore Risposta individuale: sì. Le proposte della Confindustria su innovazione e ricerca equivalgono a una spesa di 1,5 miliardi di euro nel 2005, lo 0,1 per cento della ricchezza prodotta dal Paese ogni anno. La risposta pubblica al quesito è stata finora no. Da ieri c'è un promettente forse. Ma quanto durerà questa incertezza Letizia Moratti ha confermato, alla Terza Giornata della Ricerca, l'intenzione del governo di concedere sgravi Irap alle imprese in proporzione al numero degli occupati in innovazione e sviluppo. La leva fiscale terrà conto del peso specifico dei settori produttivi sulla competitività del Paese e sulla sua capacità di esportare. Il segnale del ministro per l'Istruzione, l'Università e la Ricerca è positivo. Ma non sufficiente, nota Pasquale Pistorio che a nome di Confindustria, di cui è vicepresidente, ha proposto una serie di interventi (dal credito d'imposta decennale alla scelta di dieci progetti strategici per il Paese finanziati in parte da contributi pubblici) per avvicinarsi all'obiettivo europeo di spesa in ricerca del 3 per cento del Pil. La realtà, almeno quella dei grandi numeri, è oggi amara e sconsolante. Nel 2003, come ha scritto Il Sole-24 Ore, gli investimenti sono addirittura diminuiti e su mille lavoratori solo 2,82 erano impegnati in laboratori e attività scientifiche. Come la Bulgaria. La Repubblica Ceca fa meglio. La Svezia cinque volte di più. Eppure i centri di eccellenza sono tanti e la vitalità dei distretti (dalle tecnologie elettroniche o chimiche di Milano alle telecomunicazioni di Torino) persino sorprendente. Isole di un arcipelago che non c'è. Splendide realtà che producono risultati singolarmente importanti ma la cui somma è modesta. Il numero dei brevetti italiani (12,4 per milione di abitanti) è un decimo di quelli svizzeri e un sesto dei tedeschi. Superiore alla Spagna, la cui spesa in ricerca però cresce rapidamente e presto sarà maggiore della nostra. Madrid conta già il doppio dei nostri scienziati. Non è un dato sportivo, dunque non se ne parlerà. Non è solo una questione di fondi. L'attenzione di un Paese nella ricerca e nell'innovazione è anche l'indicatore della sua voglia di futuro. Più il livello è basso più si condannano le prossime generazioni alla marginalità se non alla povertà relativa. E non è solo un problema di impegno pubblico o governativo. E' vero che l'Italia spende poco più dell'1 per cento del Pil, ma la ricerca finanziata dalle imprese è inferiore a quella promossa dalle istituzioni pubbliche. Negli altri Paesi, che pure complessivamente spendono di più, accade esattamente il contrario. Dipenderà anche dalla ridotta dimensione delle aziende, dalla mancanza di grandi gruppi, ma l'insieme di questi dati svela un atteggiamento culturale, più che economico, miope e rinunciatario che a volte non risparmia né il pubblico né il privato. La sola tecnologia digitale è in grado di migliorare del cinquanta per cento la produttività del fattore lavoro. Ogni nuovo prodotto crea mercato, occupazione e benessere ma è destinato inesorabilmente a mandarne in soffitta un altro. «Effetto fotografia» era lo slogan con il quale trent'anni fa si commentava l'inesorabile declino della produzione europea di macchine fotografiche rispetto a quella giapponese. Oggi dovremmo parlare di «effetto pellicola» guardando ai destini drammatici di Ferrania, Agfa Gevaert e Ilford, vittime del digitale. Immagini gloriose, ma ingiallite e sfocate. Il progresso è ricco di opportunità ma disseminato di trappole. Senza ricerca si finisce inesorabilmente in queste ultime.
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