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riciclo si ricomincia dalla prevenzion
- Subject: riciclo si ricomincia dalla prevenzion
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 16 Jul 2004 07:07:30 +0200
da repubblica.it lunedi 28 giugno 2004 Riciclo, si ricomincia dalla prevenzione ANTONIO CIANCIULLO Di tutta la grande partita rifiuti l'elemento che domina le cronache è la battaglia sugli inceneritori: il ritardo italiano e la rivolta degli abitanti dei paesi coinvolti nei vari progetti di «termovalorizzazione», secondo la dizione politicamente corretta che non è ancora riuscita a scacciare la vecchia immagine degli inceneritori anni Sessanta, veri e propri pozzi di diossina troppo a lungo tollerati. Ma vista da Bruxelles, con l'occhio dell'Unione europea, la questione assume contorni più ampi e anche la posta economica in gioco cresce fino a prendere una dimensione assai più significativa del reddito che può venire da un inceneritore. L'assieme delle direttive approvate e in discussione (da quella sugli imballaggi a quella sulle categorie di prodotti da coinvolgere) disegna un progetto ambizioso di cui l'Europa tenta di assumere la leadership come ha fatto per la battaglia sul protocollo di Kyoto. Si tratta di incrociare due debolezze per trasformarle in una forza: da una parte le risorse decrescenti a causa di un prelievo che in alcuni casi (ad esempio i combustibili fossili) sfiora il saccheggio; dall'altra la produzione montante di rifiuti inutilizzabili. «Roma è seduta su una miniera che sforna oltre 64 mila tonnellate di materiali all'anno, ma li chiamiamo rifiuti e li usiamo solo al 20 per cento», afferma Giancarlo Longhi, direttore del Conai, il consorzio per il recupero degli imballaggi. «Una percentuale decisamente troppo bassa, che è destinata a crescere alimentando un mercato in cui l'Italia può assumere un ruolo di tutto rilievo visto che già oggi le nostre industrie di riciclo sono tra le più quotate». Un'Italia ecologicamente all'avanguardia potrebbe sembrare un'immagine un po ' troppo ottimista dato che in campo ambientale siamo spesso costretti a inseguire l'Europa in maniera scomposta e affannosa. Eppure uno dei paradossi dello sviluppo industriale ha regalato una grande opportunità al nostro paese. Negli anni Novanta, quando la tecnologia dell'incenerimento dava già discrete garanzie di affidabilità (a patto di costruire impianti di alto livello) l'Italia è rimasta al palo, schiacciata dal suo passato e dalla scarsa affidabilità del suo sistema pubblico. In quel periodo i paesi del CentroNord Europa hanno invece spostato una quota consistente dei loro rifiuti verso l'incenerimento. Una scelta che al momento è sembrata opportuna, ma che oggi potrebbe farli trovare spiazzati dal nuovo orientamento europeo che, virando in senso ecologista, sta chiedendo sempre più nettamente di pigiare sul pedale della prevenzione. Cioè sul risparmio in partenza di materie prime e su merci ideate pensando già nella fase di progettazione alle loro vite successive: materiali da usare e riusare, da far passare attraverso vari cicli in modo da ridurre la pressione sull'ambiente. In questa prospettiva la combustione non è l'ideale: anche se condotta utilizzando il calore per produrre elettricità comporta comunque un alto dispendio di materie prime. Per questo il recupero energetico (cioè l' energia che si può ottenere bruciando rifiuti selezionati) resta una delle quattro «erre» raccomandate da Bruxelles, ma è l'ultima e il distacco tende a crescere: la prima erre è la riduzione dei rifiuti; la seconda è il riuso; poi viene il riciclo dei materiali dopo un trattamento che li renda nuovamente disponibili; solo a questo punto arriva il recupero energetico ottenuto con una combustione controllata. Per un momento, durante il dibattito sull'aggiornamento delle direttive che riguardano i rifiuti, era sembrato che il ripensamento sul ruolo dell' incenerimento potesse essere ancora più netto: ma un'ulteriore presa di distanza dal recupero energetico ottenuto bruciando rifiuti avrebbe messo in difficoltà proprio i paesi che hanno complessivamente la maggiore sensibilità ambientale (dalla Germania alla Scandinavia) impedendo loro di raggiungere l'obiettivo fissato ad esempio dalla nuova normativa europea sugli imballaggi: entro il dicembre 2008 si dovrà arrivare al recupero e riciclo di almeno il 60 per cento degli imballaggi e a un riciclaggio compreso tra il 55 e l'80 per cento (60 per cento per la carta, 15 per il legno, 50 per i metalli, 22,5 per la plastica, 60 per il vetro). Dunque la combustione con recupero energetico resta nella lista delle misure utilizzabili per raggiungere queste percentuali, ma con qualche distinguo. Una crescita del rigore che bilancia la tendenza all'aumento dei rifiuti (la produzione di spazzatura urbana crescerà del 43 per cento tra il 1995 e il 2020) con la moltiplicazione dei vantaggi ambientali richiesti al ciclo di produzione e smaltimento delle merci. Da una ricerca promossa dal Conai, ad esempio, risulta che il sistema europeo di riutilizzo degli imballaggi contribuisce alla riduzione delle emissioni serra evitando la produzione di 13 17 milioni di tonnellate di anidride carbonica: un valore analogo a quello delle emissioni derivanti da tutti i trasporti su gomma in Austria. «Se si seguono con rigore le indicazioni europee si azzera il dibattito sugli inceneritori perché da bruciare resta ben poco», commenta Fabrizio Fabbri, responsabile delle politiche ambientali dei verdi. «Per questo suona come un controsenso anche economico il progetto faraonico di inceneritori che si vuole far passare in Sicilia: per alimentarlo bisognerebbe di fatto bloccare la raccolta differenziata». Più di mille aziende, oltre ventimila gli occupati Tre miliardi di euro di fatturato, più di mille aziende coinvolte, 20 mila occupati, un alto tasso di crescita. Sono questi i connotati dell'industria italiana del riciclo. Un'industria che fornisce più della metà della materia prima a settori come il vetro e la carta e raggiunge punte di oltre il 90 per cento in segmenti come il cartone ondulato. Eppure anche in questo mondo vitale i problemi non mancano. Il primo è costituito dall'alterazione del mercato determinata dai certificati verdi inseriti nel processo di recepimento del protocollo di Kyoto contro i gas serra. Grazie a questi certificati, che premiano le attività attraverso le quali si evita l'uso di combustibili fossili, una tonnellata di legno di scarto da bruciare può arrivare a oscillare attorno ai 30 - 50 euro, più del doppio di quello che si può ricavare utilizzando lo stesso materiale per un' operazione di riciclo. Di qui la richiesta, da parte degli operatori economici impegnati sul versante del recupero delle materie prime, di certificati blu che diano valore economico ai benefici ambientali legati al riutilizzo dei materiali. «Non mi sembra il caso di fare una guerra di religione tra due finalità ambientali entrambe utili», commenta Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club, il cartello delle imprese impegnate in campo ecologico. «L'operazione dei certificati verdi è certamente necessaria perché serve a frenare l'uso dei combustibili fossili che rappresentano il principale elemento di destabilizzazione climatica. Del resto se si calcolano i danni prodotti dall 'uso dei combustibili fossili si vede che i certificati verdi rappresentano solo una compensazione parziale. D'altra parte però è anche vero che se il legno è trattato con agenti chimici è meglio non utilizzarlo come biomassa. Inoltre ha certamente legittimità ambientale un sistema che conteggi i benefici legati alla conservazione per qualche altro decennio dell'anidride carbonica racchiusa in una partita di legno riutilizzata per costruire, ad esempio, mobili». Un altro problema che sta diventando sempre più evidente è infine la rarefazione della materia prima necessaria ad alimentare le industrie del riciclo. Un processo rafforzato dalla pressante richiesta del mercato cinese che, nella sua velocissima espansione, risucchia materiali da tutti i mercati. Ad esempio, per quanto riguarda l'acciaio, la Cina, primo produttore mondiale con 220 milioni di tonnellate, aumenta la sua capacità produttiva al ritmo di 25 30 milioni di tonnellate l'anno (più della produzione italiana) e per sostenere la corsa compra il rottame di ferro e il coke in tutto il mondo facendo schizzare i prezzi alle stelle. (a.cian.) Raccolta e metamorfosi dei rifiuti solidi urbani STELLA BIANCHI Sembra difficile sedersi comodamente su 45 vaschette di plastica o vestirsi con 27 bottiglie di acqua minerale o ancora passare una notte al caldo aggiungendo altre 40 bottiglie. Eppure è proprio quello che si riesce a fare con una panca, una felpa di pile e l'imbottitura, sintetica ovviamente, di un piumino naturale. Tutti rigorosamente prodotti con plastica riciclata, che ha in più il vantaggio di costare fino al 50% in meno di quella non ancora utilizzata. E un discorso simile si può fare per l'acciaio, l' alluminio, la carta, il legno e il vetro: sei filiere diverse di materiali da imballaggio, dalle bottiglie alle lattine alle scatole, che, grazie alla raccolta differenziata e alla varie fasi di selezione e smistamento, vengono in buona parte riammessi a nuova vita come materie prime. Con risparmio per quelle originali e sollievo per i costi delle imprese e per i metodi più ingombranti di stoccaggio dei rifiuti. Sono quasi 6 milioni di kton gli imballaggi recuperati attraverso il riciclo su un totale di quasi 11 mila e cinquecento kton immesse al consumo ogni anno per un valore totale del materiale riciclato pari a 2,7 miliardi di euro. Più del 50% (il 51,5%), ossia più di quel 45% previsto come obiettivo da raggiungere dalla direttiva europea in materia. Questo dicono i dati relativi al 2003 del Conai, il consorzio nazionale imballaggi, che riunisce oltre un milione e quattrocentomila imprese tra produttori e utilizzatori di imballaggi ed è stato costituito, proprio a partire dalla direttiva europea recepita con il decreto Ronchi, con l'obiettivo di garantire il passaggio da un sistema di gestione basato sulla discarica a un sistema basato sul recupero e sul riciclo. Sei filiere diverse nelle quali intervengono i sei consorzi specializzati che fanno capo al Conai - Cna per l'acciaio, Cial per l'alluminio, Comieco per la carta, Rilegno per il legno, Corepla per la plastica e Coreve per il vetro attraverso delle convenzioni stipulate con i comuni e le società di gestione dei servizi di raccolta differenziata. A fornire la cornice è un accordo quadro tra Conai e Anci, l'associazione dei comuni italiani, che, tra l'altro, fissa il rimborso per ogni quantità di materiale da riciclare che viene raccolto, un rimborso che varia anche a seconda del tipo e della qualità. Nel ciclo del riutilizzo entrano però anche altri soggetti, imprese private che da questa attività traggono un profitto a differenza del Conai, e il loro peso è tanto più importante quanto più è alto il valore di mercato del materiale riciclato e quanto maggiori sono gli scarti industriali, fonte a loro volta di materia prima da riutilizzare che non proviene però in questo caso da imballaggi. Per intendersi del totale dell'acciaio riciclato solo l'1,3% proviene da imballaggi e la percentuale arriva solo al 2,9% per l'alluminio. Ben diversi i numeri per il vetro per il quale la percentuale sale al 69,1%, per il legno (58% ), per la carta (41,1%) e per la plastica (39,7%), secondo quanto risulta da una ricerca condotta nel 1993 dal Conai in collaborazione con l'Università Bocconi di Milano. Sei filiere diverse che però toccano tappe molto simili. Il percorso inizia dalla raccolta differenziata. Un obiettivo strategico come lo definisce ad esempio l'Ama, la società che cura l'igiene urbana di Roma, nella quale vanno fieri delle 600 tonnellate raccolte con attenzione al riuso ogni giorno, una quantità che è equivalente all'intera raccolta di una città come Bologna. Per ragionare in termini di percentuali, alla fine del 2003, anche grazie alle numerose campagne di informazione, si era arrivati al 17%, una quota destinata a crescere nei piani dell'azienda al 25% nel 2004 e al 35% nel 2005. Oltre alla raccolta speciale di batterie o farmaci scaduti o a quella fatta porta a porta nei vicoli del centro, il grosso viene preso dai cassonetti bianchi, destinati alla carta, e da quelli multiuso. Da questi i candidati al riciclo vengono trasferiti ad un centro di raccolta per la carta e ad uno di smistamento dove alluminio, plastica e vetro vengono separati. Fatta questa prima selezione, i materiali vengono presi in consegna da uno dei consorzi di filiera. Per la plastica ad esempio è il Corepla a entrare in gioco e, secondo i suoi dati, nel 2003 sono state raccolte, attraverso il circuito di raccolta urbana, 289.000 tonnellate di imballaggi in plastica, provenienti in massima parte dal Nord ( 73%), quindi dal centro (16%) e dal sud (11%). Nel centro di selezione i contenitori da riportare nel circuito produttivo vengono puliti, separati per tipo di polimero e colore e pressati in balle. Questi parallelepipedi colorati vengono presi in consegna da società private, imprese con il ruolo di riciclatori e rigeneratori. "Si tratta di impianti industriali sparsi un po' in tutta Italia - spiega Antonio Diana, presidente di Assorimap, l' associazione dedicata alla plastica nell'ambito di Assoambiente - che con le loro tecnologie all'avanguardia sono in grado di generare materie prime comparabili a tutti gli effetti con il prodotto vergine. Con il vantaggio in più però di costare tra il 30 e il 50% in meno". Nelle mani di questi riciclatori quelle che erano bottiglie di plastica vengono macinate e diventano scaglie mentre la sorte, ad esempio, dei flaconi di detersivo è di ridursi in granuli. In questo stato vengono acquistati dalle imprese che li riutilizzeranno come materie prime e torneranno ad essere magari uno scivolo per i bambini o un tavolo con panche. Con le dovute differenze tra forni a 800 gradi che rendono liquido l' alluminio prima di trasformarlo in lingotti e macchine che impastano la poltiglia di carta con acqua calda questo è il percorso che seguono tutti i materiali da imballaggio recuperati. E tutti, divisi per qualità, tornano alla loro funzione. Dall'edilizia alla meccanica, alla carta di alta qualità o agli scatoloni, dai pannelli di legno per mobili o rivestimenti alle bottiglie a cui spetta un piccolo record visto che il 60% delle bottiglie prodotte sono fatte con vetro riciclato. E visto che in due anni, dal 2001 al 2003, i rifiuti urbani sono cresciuti nel nostro paese di un altro milione di tonnellate, passando, secondo le stime del Conai, da circa 29 a oltre 30 milioni di tonnellate, i margini di crescita del business del riciclo sono assicurati. Oltre che fortemente auspicati. Se l'ambiente va a braccetto con lo sviluppo industriale GIORGIO LONARDI È una storia di successo, quella del Conai, il Consorzio senza fini di lucro per il recupero degli imballaggi. Una vicenda che evidenzia come salvaguardia dell'ambiente e sviluppo industriale possano andare a braccetto. Ma soprattutto con questa storia si evidenzia che gli italiani sono in grado di "fare squadra" ottenendo risultati lusinghieri. Lo prova l' adesione massiccia del mondo imprenditoriale al più grande Consorzio d' Europa: oltre un milione 400 mila aziende iscritte. E lo certifica il coinvolgimento di migliaia di amministrazioni pubbliche e di milioni di cittadini impegnati nella raccolta differenziata dei rifiuti. Ne ha fatta di strada il Conai dal 1998, primo anno di attività, ad oggi. Sei anni fa, infatti, più di 7 milioni di tonnellate di imballaggi andavano in discarica contro 3 milioni e mezzo di materiale riciclato. Nel 2003, invece, oltre 6,7 milioni di tonnellate (59%) vengono riciclate mentre 4,7 milioni sono destinate alla discarica. Il meccanismo adottato dal Conai per applicare la legge Ronchi del '97 attraverso i sei consorzi dei materiali (Cna per l'acciaio, Cial per l' alluminio, quindi Comieco per la carta, il legno con Rilegno, la plastica con Corepla e il vetro con Coreve) è semplice. Il Consorzio, infatti, partecipa ai costi della raccolta differenziata sostenuta dai comuni grazie ai contributi ricevuti dalle aziende. Le stesse aziende che in base al principio della "responsabilità condivisa" aderiscono al Conai per garantire il recupero dei propri imballaggi. Attualmente circa il 70% della popolazione italiana vive in comuni che hanno siglato accordi con il Conai per il ritiro degli imballaggi. Certo, questo non vuol dire che la raccolta differenziata sia così capillare. Ma costituisce il presupposto per rafforzare la sua diffusione.
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