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sicurezza ambientale tra percezione e razionalità
- Subject: sicurezza ambientale tra percezione e razionalità
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 13 Jul 2004 06:56:16 +0200
da ed.ambiente.it luglio 2004 La sicurezza ambientale tra percezione e approccio razionale di Cass R. Sunstein Quanto "sentiamo di rischiare" prendendo un aereo, camminando per strada, alimentandoci in un certo modo, vivendo o lavorando in un certo luogo? E quanto è corretta questa nostra percezione del rischio? Troppe volte i timori più radicati nell'opinione pubblica sono figli di atteggiamenti poco fondati, fantasiosi o addirittura basati sulla superstizione; mentre viene riservata pochissima attenzione agli strumenti già disponibili che consentono di controllare molti fattori di malattia, di morte e di deterioramento ambientale, come per esempio gli inquinanti dell' aria. In altre parole si asseconda lo straordinario potere autosuggestivo della società per poi trascurare le minacce reali alla sicurezza dell' ambiente e della salute. Ma una società che alimenta una nozione di rischio filtrata unicamente dall'autosuggestione trasforma a sua volta se stessa in fonte continua di rischi. Con chiarezza e abbondanza di argomentazioni, il testo di Cass R. Sunstein rivendica la necessità di un'analisi razionale del rischio ambientale, e di una sua comunicazione corretta al pubblico. Viene messo in luce un principio elementare ma nel tempo stesso difficilissimo da applicare: nel gestire il nostro rapporto con l'ambiente è necessario tenere conto dei costi e dei benefici oggettivi, perché sia possibile riflettere ciò che la statistica indica come significativa minaccia per la sicurezza. Mentre è ovvio che non tutto può essere risolto attraverso valutazioni puramente quantitative - come sostiene lo stesso Sunstein - è indispensabile che le scelte politiche e normative si basino su elementi il più possibile razionali, gli unici in grado di consentire una vera prevenzione senza sprecare risorse importanti in settori marginali. Si tratta di un tema fondamentale e spesso sottovalutato della cultura ambientale moderna, che richiede dibattito sia nell'opinione pubblica sia fra i policy maker. Cass R. Sunstein è docente alla University of Chicago e uno dei massimi esperti americani di protezione ambientale e regolamentazione del rischio. È autore di molte pubblicazioni per la sua attività scientifica ha ricevuto numerosi riconoscimenti di prestigio, come il Goldsmith Book Prize. Ha lavorato come consulente del governo statunitense e di altri governi. Inquinamento e prevenzione L'inquinamento dovrebbe essere "prevenuto" o "curato"? In vari ambiti, tra cui quello sanitario, prevenire sembra meglio che curare: è più economico e più efficace. Di solito è meglio vaccinarsi contro l'influenza piuttosto che assumere farmaci dopo averla contratta. Per la maggior parte delle persone, un'alimentazione adeguata e il giusto esercizio fisico, insieme con l' astinenza dal fumo, sono provvedimenti molto più opportuni di interventi di cardiochirurgia o della chemioterapia. Probabilmente la prevenzione dovrebbe essere l'approccio preferito nel campo dei rischi sociali. Barry Commoner, scienziato e ambientalista molto noto e le cui idee hanno influenzato molti ambienti, ha sostenuto che l'approccio normativo ai rischi esplicato dal governo andrebbe rinnovato, ponendovi al centro il concetto di "prevenzione". In effetti, il Congresso ha emanato una normativa, chiamata Pollution Prevention Act, che caldeggia la prevenzione dell'inquinamento. L' obiettivo della prevenzione in questo campo è quello di assicurare che i soggetti regolatori fermino l'inquinamento prima che entri nel sistema. Come esempi reali si considerino l'abolizione del piombo nella benzina, l'impiego dell'energia solare e la sostituzione di veicoli a benzina con quelli elettrici. Secondo Commoner e molti altri, un tale approccio è ben più promettente dei controlli "a valle" imposti dalle tecnologie inquinanti. I fautori della prevenzione affermano che essa promette riduzioni degli inquinanti superiori e molto più rapide e che non si avvale di poco affidabili misure tecnologiche a posteriori. Quindi Commoner sostiene che "i miglioramenti effettivi sono stati ottenuti non aumentando i controlli od occultando gli inquinanti, ma semplicemente eliminandoli. La ragione per cui le concentrazioni di piombo nell'ambiente e nel sangue dei bambini sono tanto diminuite è che il piombo è stato quasi completamente abolito dalle benzine. E la ragione per cui il DDT e i pesticidi da esso derivati oggi sono molto meno presenti in natura e nel nostro organismo è che il loro uso è stato bandito". La prevenzione funziona "perché interviene direttamente all'origine del processo inquinante". Per contro, i controlli portano a "risultati scarsi o nulli" perché "rappresentano solo un pezzo di un sistema più ampio che può facilmente controbilanciare la sua apparente efficienza". Per Commoner il principio generale è che "nell'ambiente non si trova ciò che non vi venga immesso". Per fare un esemplificazione, egli sostiene che se davvero vogliamo ridurre le emissioni di ossidi di azoto dalle automobili, dovremo costruire "motori anti-smog che non ne producano" piuttosto che affidarci ai convertitori catalitici. Sarebbe facile fare affidamento sull'idea di prevenzione dell'inquinamento per affermare che in molti contesti i soggetti regolatori devono andare verso la "prevenzione del rischio". Invece di gestire i rischi già presenti nel sistema, essi dovrebbero cercare di eliminare le iniziative e le attività che li generano. Spesso parlare di prevenzione dell'inquinamento ha senso. L'EPA aveva ragione nel voler abolire il piombo dalla benzina, così come il governo americano aveva ragione nel bloccare l'uso dei CFC che contribuiscono alla distruzione dello strato di ozono. Se l'asbesto è un potente cancerogeno e se può essere eliminato senza particolari problemi, c'è una buona ragione per eliminarlo. Ma in qualche caso la prevenzione dell'inquinamento può essere poco promettente per il semplice fatto che a conti fatti non è vantaggiosa. Si considerino alcuni esempi. Il miglior modo per prevenire l' inquinamento provocato da automobili e veicoli pesanti sarebbe eliminare i motori a combustione interna. Il miglior modo per prevenire l'inquinamento generato dalle comuni fonti di energia elettrica sarebbe smettere di far conto sui combustibili fossili utilizzati nelle centrali. Il miglior modo per prevenire i rischi connessi con la manipolazione genetica delle piante sarebbe vietarla. Si potrebbe dire all'EPA di mettere al bando i motori a combustione interna e il carbone? Le leggi nazionali dovrebbero proibire la modificazione genetica delle piante? Se queste conclusioni possono essere assurde, come credo che siano, è perché i costi connessi con tali interventi sarebbero superiori ai benefici. La prevenzione dell'inquinamento non è valida come tale; lo è quando, avendo considerato tutti gli aspetti implicati, è migliore delle possibili alternative. C'è un'ulteriore questione. In molti contesti l'idea di prevenire l' inquinamento, e più in generale i rischi, è letteralmente paralizzante, perché nessun approccio potrà davvero "prevenire" l'inquinamento o i rischi. Se si bandissero i motori a combustione interna bisognerebbe sostituirli, ma anche le auto elettriche inquinano, soprattutto perché normalmente hanno un consumo di energia considerevole. Può anche essere che le auto elettriche siano preferibili dal punto di vista ambientale, ma se lo sono è perché inquinano meno (e non perché non inquinano affatto), e ciò è ben diverso dal dire che la "prevenzione" è sempre o generalmente la cosa migliore. L'argomento più forte a favore della prevenzione dell'inquinamento resta, alla fine, il bilancio tra costi e benefici. Coloro che raccomandano la prevenzione pensano a situazioni nelle quali questo approccio implica notevoli vantaggi e costi modesti. Nel caso dell'eliminazione del piombo dalla benzina, l'analisi costi-benefici ha fermamente avallato l'approccio preventivo, dato che i vantaggi sopravanzavano i costi. Lo stesso vale per il bando dei CFC. Ma laddove il bilancio non dà elementi a supporto di questo tipo di intervento, la prevenzione sarebbe un errore. Correttamente interpretata, la prevenzione dell'inquinamento è qualcosa che l'analisi costi-benefici incoraggia, ma solo in alcuni casi. Con questo non si vuole assolutamente negare che talvolta le proiezioni possano implicare un certo grado di congettura e di speculazione. Come si è potuto vedere, congetture e speculazioni sono la regola piuttosto che l' eccezione, ma in questi casi un'analisi costi-benefici corretta richiede che si prendano in esame le varie possibilità. Quello che non è giustificato è "prevenire" senza aver indagato le conseguenze, positive e negative, della prevenzione. Ciò che si può dire è che la prevenzione dell'inquinamento dovrebbe essere considerata una delle opzioni, e in qualche caso può rivelarsi la più opportuna. Ma se diventa l'approccio generalizzato alla protezione dell'ambiente, o alla riduzione dei rischi sociali, è ottusa. In molti contesti può essere letteralmente pericolosa, se non disastrosa. ( di Cass R. Sunstein ) Garantire la giusta informazione sul rischio Molte persone non si rendono conto dei rischi che corrono nella vita di tutti i giorni. Spesso i lavoratori non sanno di avere a che fare con sostanze tossiche sul luogo di lavoro e non ne conoscono i rischi. I consumatori non sono in grado di valutare i pericoli insiti in alcuni componenti (grassi, calcio, zuccheri, sale) dei cibi che ingeriscono normalmente. Questa forma di ignoranza è scontata, soprattutto alla luce delle difficoltà che la persona comune incontra quando vuole avere informazioni sui rischi. I meccanismi determinanti di questo fenomeno sono complessi, ed è molto difficile delinearli con precisione. Spesso i rischi ci mettono anni a materializzarsi. La suscettibilità individuale varia e i cambiamenti tecnologici rendono ardua l'impresa di cercare di trarre insegnamenti dal passato. Spesso alle aziende non viene chiesto di dire pubblicamente quanto inquinano e con quali possibili rischi. Se avessero questo obbligo, quasi sicuramente inquinerebbero meno e farebbero meno danni. Esistono due importanti ragioni per garantire una maggiore diffusione e trasparenza delle informazioni sui rischi. La prima è relativa all' efficienza economica, la seconda chiama in causa la democrazia. Dal punto di vista economico vi sono parecchi motivi per cui il mercato dell 'informazione può fallire. Per prima cosa l'informazione è un bene pubblico, nel senso che nel momento in cui è accessibile a tutti diventa anche patrimonio di tutti (o almeno di molti). La gente può quindi ricavarne i benefici senza dover pagare per la sua produzione. Un rapporto sui rischi delle sostanze cancerogene alle quali è esposto il personale di un'azienda può arrecare grandi vantaggi ai dipendenti, ma nessuno di essi è incentivato a pagare una quota per la sua realizzazione: ognuno è spinto a "vivere alle spalle" degli sforzi di altri. Il risultato è che la quantità di informazione prodotta è troppo scarsa. In generale il ragionamento si applica anche all'informazione relativa ai rischi condivisi. Il secondo punto risiede nel fatto che le industrie sono poco incoraggiate a dare informazioni su quanto producono di pericoloso. La competizione basata sull'entità dei danni può provocare un calo nelle vendite di un determinato prodotto piuttosto che un aumento. Nell'industria del tabacco questo fenomeno ha giocato un ruolo nel frenare la competizione sulla sicurezza dei prodotti, tuttavia esistono casi in cui le aziende si fanno concorrenza proprio facendo leva sulla sicurezza di ciò che vendono. Asimmetrie nell'informazione possono generare il problema per cui prodotti pericolosi riescono a estromettere dal mercato quelli sicuri. Ammettiamo, per esempio, che i produttori sappiano quali sono i prodotti sicuri, ma questa informazione non arrivi ai consumatori. Coloro che vendono prodotti sicuri non possono essere competitivi se i consumatori non conoscono la differenza fra il prodotto sicuro, che costa di più, e quello meno sicuro, che costa di meno. In un caso del genere, il fatto che i clienti non siano informati fa sì che siano i prodotti più pericolosi a dominare il mercato. Qui una regolamentazione tesa all'informazione è il rimedio più appropriato, che può concretizzarsi sotto forma di interventi informativi e di campagne educative da parte di un governo. Rimedi di questo tipo possono comportare costi molto alti, ma se funzionano dovrebbero essere supportati sul piano economico. Possono infatti rafforzare il mercato e rappresentare un presupposto per renderlo più libero. Oggi abbiamo una buona quantità di informazioni sulla comunicazione del rischio e gli studi suggeriscono che è una strategia conveniente. I lavoratori che accedono a nuove informazioni sui rischi possono reagire dimettendosi o chiedendo stipendi più alti. E anche i consumatori possono reagire in modo coerente alla divulgazione dei rischi che corrono acquistando certi prodotti. In generale, ci sono tutte le ragioni per pensare che, se ben progettata, la comunicazione del rischio è un meccanismo efficace per promuovere l'efficienza economica. Immaginiamo di voler accrescere il carattere democratico di un governo promuovendo la partecipazione e il controllo sui suoi meccanismi da parte dei cittadini. Una buona mossa iniziale da parte di un governo potrebbe consistere nel fornire abbastanza informazioni perché la gente possa formarsi giudizi consapevoli. Per esempio potrebbe provvedere esso stesso a dare le informazioni oppure affidare il compito a enti privati o aziende. Torniamo per un istante alla questione di dover affrontare delle spese per avere salvate delle vite umane: la popolazione dovrebbe esserne informata. L 'impegno a fornire informazioni sui contenuti e i costi dei programmi di regolamentazione dovrebbe essere ai primi posti nell'agenda del governo. Più in generale, le persone sembrano non avere un'idea chiara dei collegamenti che esistono tra i diversi rischi quotidiani. Questa inconsapevolezza rappresenta un pesante ostacolo non solo alla realizzazione di decisioni consapevoli ma anche al senso civico. Il problema è evidente a livello del settore privato, dei governi locali, e anche a livello nazionale. Le comunità che cercano di decidere se dare il proprio consenso a un deposito di rifiuti tossici o a un impianto che libera diossido di zolfo hanno bisogno di fare scelte informate. Altrimenti si tende a reagire soltanto sulla scorta di fatti aneddotici e spinte allarmistiche. (.) In realtà l'obbligo di dare diffusione alle informazioni è stato uno dei successi della storia del moderno diritto ambientale. Una delle ragioni è che i gruppi che si occupano di problemi ambientali, e i media in genere, tendono a prendere di mira gli inquinatori peggiori, stilando una sorta di "lista nera dell'ambiente". È probabile che le aziende che finiscono nella lista si impegnino a ridurre le proprie emissioni e nel frattempo le altre prendano provvedimenti per evitare di entrare a farne parte. L'FDA ha adottato anche strategie particolari. Nella sua iniziativa più ambiziosa in merito ha: (a) imposto l'inclusione delle caratteristiche nutrizionali (compresi i contenuti in colesterolo, grassi saturi, fibre e calorie derivanti dai grassi) nelle etichette di tutti i prodotti alimentari lavorati; (b) richiesto il rispetto dei quantitativi specificati dal governo per le confezioni; (c) obbligato le aziende a conformarsi alle definizioni fissate dal governo per i termini standard, come "fresco", "privo" e "basso" ; (d) autorizzato riferimenti alla salute se questi sono supportati da dati scientifici e forniscono informazioni chiare e complete su ciò di cui trattano, per esempio sul rapporto tra grassi e disturbi cardiovascolari, grassi e cancro, sodio e ipertensione o calcio e osteoporosi. Molti altri statuti che hanno a che fare con la salute, la sicurezza e l' ambiente ricadono in questa categoria generale. L'Animal Welfare Act è stato concepito in parte per diffondere le informazioni relative al trattamento degli animali. I laboratori sono obbligati a presentare al governo rapporti sulla loro condotta, nella convinzione che questo obbligo scoraggi le trasgressioni e permetta anche un controllo continuo. (.) Queste iniziative sono solo l'inizio. Sono in agenda programmi più ampi e di portata più vasta che coordinano in generale la comunicazione sui rischi sociali. È stato suggerito che il governo potrebbe sviluppare un "sistema di sorveglianza nazionale" comprendente una terminologia standardizzata per le comunicazioni sui rischi. Il sistema potrebbe applicarsi a tutti i contesti e a tutti i rischi, e uniformare i concetti relativi ai livelli di rischio. L'esistenza di un unico linguaggio consentirebbe di valutare i rischi in un' ampia gamma di settori sociali. Ma l'aspetto principale è che questo sistema svolgerebbe un ruolo educativo di vitale importanza in grado di integrarsi con i meccanismi di mercato, oltre a garantire un prerequisito essenziale della scelta democratica. ( di Cass R. Sunstein ) Rischio percepito e rischio valutato Gli americani stanno acquistando enormi quantità di maschere antigas, gli armadietti dei medicinali si stanno riempiendo di antibiotici, e presto ciò accadrà anche per l'acqua in bottiglia. Molti hanno rinunciato a utilizzare l'aereo e utilizzano, invece, treni e auto, anche quando si tratta di attraversare il paese. I newyorkesi, temendo un attacco alla metropolitana, insistono a guidare l'auto in strade bloccate dal traffico. I medici di Boston riportano che molte persone, terrorizzate dall'idea di essere state avvelenate da sostanze tossiche o da germi letali diffusi da terroristi, si rivolgono a loro per disturbi lievi come raffreddori o mal di gola. Nel frattempo, da McDonalds e Haagen Dazs gli affari prosperano. Che cosa ci dice tutto questo del modo in cui le persone rispondono alle minacce alla loro salute e alle loro vite? In questo capitolo viene confrontato il comune modo di concepire il rischio con la legislazione. Il mio obiettivo principale è mostrare come il comune modo di pensare sia sbagliato, e come questi errori diventino particolarmente importanti, e pericolosi, nella configurazione di una politica pubblica. Dimostro come le intuizioni della gente a proposito del rischio siano altamente inaffidabili, anche se è vero che alcune di queste intuizioni sono di grande aiuto nella vita di tutti i giorni. Ciononostante, esse conducono a leggi e politiche inefficaci, persino controproducenti. Discutendo questo punto porto un nuovo argomento a favore dell'analisi costi/benefici. Propongo infatti che essa venga considerata come uno strumento per superare una serie di problemi nel processo di percezione della realtà, a livello individuale e sociale. L'analisi costi/benefici dovrebbe essere intesa come un metodo per portare alla luce fatti sociali importanti che altrimenti sfuggirebbero all'attenzione pubblica e individuale. Ammetto che pur accettando queste osservazioni, concordando cioè sul fatto che la gente sbagli nella valutazione dei rischi, si potrebbe rigettare nel contempo l'analisi costi/benefici come strumento guida per l'azione politica. Certamente non intendo fare mia l'idea, tanto controversa quanto implausibile, secondo la quale tutte le decisioni in materia di regolamentazione dovrebbero essere prese assicurandosi dai privati la disponibilità a pagare, come se l'efficienza economica fosse, o dovesse essere, l'obiettivo di tutte le regolamentazioni. Alla fine cercherò di proporre un accordo incompletamente teorizzato su una certa idea di analisi costi/benefici: un accordo su una forma di analisi costi/benefici che molte persone diverse, con convinzioni differenti e persino opposte, dovrebbero essere disposte a sottoscrivere. Per i presenti scopi, il punto importante è che la gente tende a commettere molti errori quando valuta i rischi. Sarebbe molto importante trovare correttivi, soprattutto facendosi un'idea migliore delle conseguenze sia dei rischi sia delle misure che si vogliono adottare per la loro riduzione. (.) È ovvio che tutti, compresi i funzionari governativi, spesso non dispongono di informazioni relative ai rischi. Possono non sapere molto della natura e dell'entità dei rischi in questione, e non avere idea delle conseguenze a cui potrebbero portare le misure proposte per ridurli. La richiesta pubblica di regolamentazioni spesso si basa su un'errata conoscenza dei fatti. Ma perché le opinioni della gente comune a proposito di rischi e della loro regolamentazione sono così sbagliate? (.) È ampiamente documentato il fatto che le persone tendono a ritenere un evento più probabile se hanno memoria di ciò può accadere quando questo si verifica. Per esempio, generalmente le persone di lingua inglese ritengono che nei libri ci siano più parole che terminano con le lettere "ing" di quante hanno una "n" come penultima lettera (anche se basterebbe un momento di riflessione per comprendere che ciò non è possibile). Per quanto concerne i rischi, i giudizi sono tipicamente condizionati dall' euristica della disponibilità. Per esempio, il fatto che una persona decida di sottoscrivere un'assicurazione contro i disastri naturali di pende in gran parte dalle esperienze vissute di recente. Se nel recente passato non si sono verificate inondazioni, è molto meno probabile che le persone che vivono in zone soggette ad allagamenti sottoscrivano polizze assicurative. Subito dopo un terremoto, le polizze contro i sismi aumentano rapidamente, per declinare costantemente man mano che il ricordo dell'evento svanisce. ( di Cass R. Sunstein ) Effetto di proporzionalità e valutazione separata Si supponga che 200 milioni di persone siano esposte a un rischio statisticamente piccolo, tale per cui un intervento governativo salverebbe solo una piccola percentuale di quei 200 milioni: poniamo, una su un milione. Ora si supponga che 1.000 persone siano esposte a un rischio statisticamente grande, tale che l'intervento del governo potrebbe salvare una percentuale significativa di quelle mille: poniamo una su cento. L' evidenza suggerisce che la gente tende a favorire il secondo intervento rispetto al primo: le persone "sono più preoccupate della proporzione del rischio che del numero di persone aiutate". Riflettendoci, appare chiaro che questa intuizione non è facilmente difendibile. Nei casi citati, infatti, il primo intervento salverebbe 200 vite, il secondo solo 10. In base a quale teoria il governo dovrebbe optare per il secondo? Non è facile rispondere a questa domanda, ma è un fatto che le persone generalmente si focalizzano molto meno di quanto dovrebbero sul numero assoluto di vite salvate, mentre tendono a vedere con favore ciò che può salvare una grande proporzione di persone della popolazione considerata. L'effetto di proporzionalità sembra spiegare il fatto che le persone sono disposte a pagare cifre enormi per proteggere vittime identificabili, come un bambino intrappolato in un pozzo, ma molto meno per proteggere "vite statistiche", come quando cento o più persone, non identificabili a priori, possono morire come risultato dell' esposizione a un cancerogeno. In un importante studio sull'effetto di proporzionalità si chiedeva alle persone quanto fossero disposte a pagare per ridurre i rischi esistenti del 20%, e si confrontavano le risposte con l'effettiva politica del governo. Il risultato è che sia i numeri assoluti sia la proporzionalità sono importanti, e che le intuizioni delle persone sono in sintonia con le scelte dei governi. Come si poteva prevedere, lo studio trovò che la gente è disposta a spendere di più per ridurre i rischi di maggiore entità. Per esempio, la disponibilità media a pagare era di 161 dollari per ridurre del 20% i 10.000 decessi annuali per incidenti stradali, mentre era di solo 46 dollari per ridurre del 20% i 40 decessi annuali per incidenti aerei. Allo stesso tempo però, l'effetto di proporzionalità gioca un ruolo importante, come dimostra il fatto che la disponibilità a pagare, per vita salvata, è molto più alta per i rischi più piccoli, visto che la tendenza nazionale è di pagare 103 milioni di dollari per vita salvata nel contesto dei disastri aerei, ma solo di 1,3 milioni di dollari per gli incidenti automobilistici. Ciò è quanto emerge dai sondaggi, ma sulle spese effettive del governo si evidenzia lo stesso effetto. Il governo non destina le risorse in modo da salvare più vite possibile, ma dimostra una tendenza a pagare molto di più, per vita salvata, quando il rischio riguarda una fetta relativamente piccola di popolazione. Naturalmente, qui ci sono alcuni elementi di complessità: le pressioni dei gruppi di interesse, e non mere intuizioni, rappresentano un fattore importante nelle scelte governative. Quando una piccola parte della popolazione affronta un rischio, può essere ben organizzata e in una posizione tale da esercitare una forte pressione per ottenere l'aiuto del governo. Inoltre, può essere in gioco un fondamentale principio morale, e non solo una confusa intuizione. È ragionevole ritenere che il governo debba prendersi cura non solo del numero totale di persone a rischio, ma anche del pericolo statistico a cui è esposta una particolare popolazione. Forse ognuno ha diritto, in circostanze normali, a non essere esposto a un rischio di morte di, diciamo, 1 su 100. Forse è molto peggio per 10.000 persone affrontare un rischio letale di 1 su 100 piuttosto che per 2 milioni di persone affrontare un rischio di morte di 1 su 100.000, anche se nel secondo caso un numero maggiore di persone morirebbe. Non intendo risolvere qui queste difficoltà teoriche; l'unico punto è che l' effetto di proporzionalità sembra agire come un'intuizione automatica e irriflessiva, e quasi certamente contribuisce a generare politiche che nessuno, dopo un'adeguata riflessione, sarebbe disposto a sostenere. Il vantaggio principale dell'analisi costi/benefici è che promuove un'autentica riflessione, indirizzando l'attenzione ai numeri reali e assicurando che, se realmente le persone non vogliono aumentare il numero di vite salvate, almeno sappiano che questo è proprio ciò che stanno facendo. (.) Supponete che vi si domandi, senza fare riferimento a nessun altro problema, quanto siete disposti a pagare per proteggere le barriere coralline da determinati rischi. Ora supponete che vi si chieda, senza fare riferimento a nessun altro problema, quanto siete disposti a pagare per proteggere gli anziani dal cancro della pelle. Infine, supponete che vi si pongano entrambe le domande contemporaneamente. L'evidenza empirica indica che le risposte delle persone a queste domande, considerate separatamente, sono molto diverse da quelle fornite quando viene loro richiesto di operare confronti tra categorie diverse. Quando gli individui valutano le questioni separatamente fanno riferimento ad altri problemi appartenenti alla stessa categoria di base, e questo processo intuitivo è drammaticamente alterato quando viene loro esplicitamente richiesto di valutare questioni appartenenti anche ad altre categorie. Il risultato della valutazione delle singole questioni, prese individualmente, è ciò che le stesse persone considererebbero una forma di incoerenza. ( di Cass R. Sunstein ) Chi sbaglia nella valutazione del rischio? Il persistente divario tra esperti e opinione pubblica in materia di valutazione dei rischi solleva alcune delle questioni più interessanti di tutta la scienza sociale. Per capire queste dispute si possono distinguere due approcci: quello tecnocratico e quello populista. I buoni tecnici ritengono che la gente comune sia spesso male informata, e che obiettivo di chi mette a punto le regole sia seguire la scienza, non l'opinione popolare. Dal loro punto di vista, la questione centrale è che cosa dimostrano realmente i fatti: se l'opinione pubblica sbaglia nelle sue valutazioni, è sufficiente educarla per evitare che persista nei suoi errori. Naturalmente, i tecnici riconoscono che spesso la scienza presenta diverse lacune e che, quindi, un programma d'azione adeguato non può dipendere solo da essa, ma sottolineano che i fatti sono quasi sempre la chiave e, in questi casi, il governo deve seguire l'evidenza piuttosto che le opinioni popolari. D' altronde, insistono i tecnici, basta informare correttamente le persone per far sì che la maggior parte di esse si faccia un'idea chiara di ciò che va fatto. Da parte loro, i populisti tendono a non dare fiducia agli esperti e a pensare che in una democrazia il governo debba seguire la volontà dei propri cittadini piuttosto che quella di un'élite tecnocratica auto-nominatasi. Secondo questo punto di vista ciò che conta, per la legge e per la politica, sono i reali timori della gente, non ciò che gli scienziati, con i propri giudizi - inevitabilmente fallibili - suggeriscono di fare. I populisti sono convinti che una genuina caratterizzazione dei rischi implichi una serie di giudizi normativi. Gli esperti prendono in considerazione il numero delle fatalità, ma potrebbero altrettanto facilmente scegliere misure alternative, come il numero di anni di vita o la percentuale di persone a rischio o, ancora, la percentuale di popolazione esposta a un pericolo. Dal punto di vista populista, non esistono rischi "esterni": qualsiasi valutazione di rischio ha un carattere più soggettivo che oggettivo. Se quelli degli esperti sono inevitabilmente giudizi di valore, allora è ragionevole utilizzare l'opinione popolare come ingrediente fondamentale nella formulazione di leggi e strategie di intervento. Per i populisti, le intuizioni comuni hanno forza normativa e meritano di essere tenute in debito conto in un contesto di democrazia. Per capire meglio la fonte di queste divergenze sarebbe bene avere un'idea più chiara di che cosa, esattamente può originarle. Sui due gruppi gravano forse dei condizionamenti? È verosimile che, come ho suggerito finora, le intuizioni riflettano valutazioni sbagliate dei fatti? O rispecchiano invece degni giudizi di valore? Una volta risposto a queste domande rimarranno aperti altri problemi, e si porrà la questione di che cosa si dovrebbe fare di fronte a discrepanze significative. Forse ciò che conta non è tanto se le persone hanno ragione sui fatti, ma quanto ne sono impaurite. Forse la gente comune ha una sorta di "solida" razionalità degna, a suo modo, quanto quella degli esperti. Certamente gli esperti possono avere i propri condizionamenti e le proprie priorità. Forse, la vera questione è come accrescere il ruolo del pubblico nella regolamentazione del rischio in maniera tale che il governo risponda alle sue preoccupazioni. Per merito di alcuni studi molto noti oggi è piuttosto diffusa l'opinione che gli esperti sbaglino e che la gente comune sia nel giusto. Secondo questo punto di vista la gente comune dispone di un tipo di "razionalità antagonista", molto "più ricca" e migliore di quella degli esperti. Riguardo ai rischi, la "razionalità antagonista" della gente comune renderebbe sensati i suoi giudizi. Se le persone temono molto i pesticidi, ma non altrettanto l'inquinamento indoor, è perché esprimono valutazioni qualitative di rischi diversi. Giudizi qualitativi che, si sostiene, meritano rispetto. Credo che questa opinione, molto popolare, pecchi di eccessivo semplicismo. Quando non c'è accordo, infatti, in genere hanno ragione gli esperti, non la gente comune. Di sicuro gli esperti hanno più spesso ragione delle persone comuni. Quando queste commettono degli errori ciò accade in genere per tre ragioni, che ora ci sono diventate familiari: perché si affidano a scorciatoie mentali, perché sono vulnerabili a influenze sociali che le portano fuori strada e perché non considerano i compromessi. Come regola generale, le persone desiderano ridurre i rischi più gravi, ma la gravità di un rischio è misurata statisticamente, e il pubblico non sa come "prendere" tali misure. In tali casi un giudizio intuitivo, rapido, funziona come sostituto di un'analisi più attenta. (.) Esistono differenze qualitative tra rischi statisticamente identici. Le persone spesso affermano di temere particolarmente alcuni tipi di morte, come quelle per cancro e AIDS. Per molti è meglio una morte rapida, tranquilla, nel sonno. Se ogni morte è un male, alcune sembrano peggiori di altre. Idee di questo genere aiutano a capire i diversi modi in cui i governi affrontano rischi diversi. Le persone non sempre sono soggette a euristiche fuorvianti o a influenze sociali in grado di indurre in errore individui altrimenti ragionevoli; anche la scarsa considerazione dei compromessi non sempre è il nocciolo della questione. Il fatto che la gente consideri alcuni tipi di morte particolarmente ripugnanti ha diverse conseguenze sulla selezione dei prodotti da parte dei consumatori, sulle scelte occupazionali, sugli stili di vita e sulle regole stabilite dai governi. Se le morti per incidenti automobilistici implicano sofferenze minime, e suscitano relativamente scarse preoccupazioni presso il pubblico, gli industriali dell 'auto e i regolatori subiranno pressioni analogamente meno intense per rendere le auto più sicure. Se, al contrario, le morti per AIDS e quelle per incidenti aerei sono particolarmente temute, possiamo prevedere una forte richiesta di programmi di prevenzione dell'AIDS e di normative severe per le compagnie aeree. Il governo dovrebbe impegnare risorse addizionali nella prevenzione dei rischi e delle morti che più preoccupano l'opinione pubblica. In effetti, le persone comuni sono particolarmente sensibili a taluni fattori "qualitativi" che aggravano alcune morti, e in questo capitolo dimostrerò come tali preoccupazioni aiutino a spiegare alcune anomalie nelle attuali politiche legislative dei governi. In particolare, ci sono quattro fonti di turbamento dell'opinione pubblica che giocano - ed è giusto che sia così - un ruolo nelle politiche di normazione: (1) pericoli accompagnati da dolore e sofferenza inusuali, (2) rischi concentrati in gruppi socialmente svantaggiati, (3) rischi difficili da evitare se non a prezzo di costi molto elevati e (4) rischi che producono esternalità straordinariamente pesanti, sotto forma di "effetti ad ampio raggio", su persone che non sono direttamente coinvolte. ( di Cass R. Sunstein ) Funzionari pubblici e gruppi di interesse L'analisi di una qualunque sollevazione del pubblico che sia capace di stimolare risposte politiche e legali ai rischi percepiti deve tenere conto di due serie di influenze. La prima consiste negli effetti che le variabili sociali hanno su quelle personali. La variabile sociale di maggiore interesse qui è il discorso pubblico, ossia l'insieme di opinioni, idee e informazioni espresse in pubblico e che gli individui utilizzano per saggiare ciò che gli altri pensano o vogliono. Anche le iniziative normative e la promulgazione di leggi, compresi i provvedimenti presi dalle singole istituzioni, hanno rilievo: una legge che regolamenta le discariche di rifiuti tossici può convincere la gente che le discariche costituiscono un problema serio. Questo complesso di influenze crea un processo circolare. I discorsi pubblici forgiano i giudizi individuali sui rischi, sulla loro rilevanza e sulle politiche necessarie per contrastarli; dal canto loro, le variabili individuali così modificate trasformano il discorso pubblico che ha contribuito alla loro stessa trasformazione. A rigor di logica, una caratteristica privata come è la percezione individuale del rischio associato alla fuoriuscita di sostanze chimiche, è nota soltanto alla persona che la prova. A causa della sua visibilità, la trasformazione di una variabile pubblica può avere effetti improvvisi e diretti sulle convinzioni e sulle predisposizioni individuali. Se un articolo di giornale suggerisce che l'acqua erogata non è sicura, migliaia di lettori possono immediatamente sentirsi minacciati. Al contrario, gli effetti immediati delle variabili private sono necessariamente limitati. Se un funzionario pubblico, studiando i rapporti scientifici su una discarica di rifiuti, si convince che le preoccupazioni sono ingiustificate, questa consapevolezza di per sé non ha alcun impatto sull'informazione accessibile ai residenti preoccupati. Solo quello che il funzionario afferma in pubblico è in grado di condizionare la percezione dei residenti. Ciò che affermano i funzionari pubblici riveste una particolare importanza, anche perché questi soggetti si rivolgono contemporaneamente a molte persone. Anche tali affermazioni vanno soggette alle influenze sociali, dal momento che gli stessi funzionari sono soggetti al controllo pubblico. I funzionari pubblici sanno che potrebbero essere severamente sanzionati se sminuissero rischi percepiti come seri o se, al contrario, richiamassero l' attenzione su pericoli ritenuti insignificanti. Di fatto, le opinioni espresse da un pubblico ufficiale possono differire da ciò che egli pensa realmente e che può confidare a un amico. Per evitare accuse di insensibilità, o per evitare di essere costretto a giustificare una posizione impopolare, un funzionario o un rappresentante pubblico potrebbe fare discorsi e promuovere politiche che esprimono una profonda preoccupazione per una presunta fonte di pericolo che egli in realtà ritiene innocua. Oppure, quello stesso ufficiale potrebbe rassicurare il pubblico, affermando che il rischio posto dal terrorismo è minimo, anche se personalmente non ne è affatto sicuro o ne è addirittura molto allarmato. Così come un pubblico ufficiale adegua i propri pronunciamenti pubblici al fine di proteggere la propria reputazione, allo stesso modo possono comportarsi gli altri individui che contribuiscono alle attività e ai discorsi pubblici. (.) Per i gruppi di interesse privati è estremamente utile sfruttare le forze sottostanti, ad esempio richiamando l'attenzione su determinati esempi o avvenimenti, e incoraggiando la discussione tra individui del medesimo orientamento. Spesso la posta, in termini monetari, implicata nella regolamentazione del rischio è molto alta e interessi egoistici, inclusi quelli delle grandi aziende, alimentano l'apprensione del pubblico enfatizzando i pericoli posti dai prodotti dei concorrenti. (.) Richiedendo regole per l'uso dei telefoni cellulari nelle auto, gli attivisti hanno enfatizzato soprattutto particolari tragedie, non l'evidenza statistica. In effetti, questo fenomeno è piuttosto generale. Nel tentativo di attaccare i risarcimenti di danni accordati dai tribunali, le grandi aziende hanno puntato su casi particolari di risarcimenti evidentemente assurdi, come quello multimilionario imposto a MacDonald's per compensare delle bruciature provocate da una tazza di caffè bollente (con ciò, ovviamente, non si vuole negare che i risarcimenti danni non creino problemi, anche perché i giurati sono soggetti a quei problemi cognitivi di cui si è ampiamente parlato. Persone che hanno qualche conoscenza delle dinamiche delle cascate di disponibilità - e che cercano di sfruttarle - possono essere considerate imprenditori della disponibilità. Presenti ovunque nel sistema sociale - nel governo, nei media, nelle organizzazioni non profit, nel mondo degli affari e, persino, nelle famiglie - questi imprenditori cercano di innescare le cascate di disponibilità, con tutta probabilità per i propri scopi personali. Lo fanno indirizzando l'attenzione delle persone su problemi specifici, interpretando i fenomeni in modi particolari, promuovendo la polarizzazione di gruppo, cercando di accrescere la rilevanza di talune informazioni, incoraggiando punti di vista favorevoli alle loro opzioni preferite e scoraggiando i punti di vista sfavorevoli. Una volta innescate da gruppi con interessi finanziari o ideologici nelle politiche di controllo, le pressioni sociali possono crescere grazie al contributo più ampio della popolazione. Per questa ragione, tali gruppi offrono benefici reputazionali a coloro che sostengono specifiche posizioni e impongono costi reputazionali a coloro che le contrastano. Essi fanno sì che gli individui appaiano altruisti o egoisti, onesti o corrotti, a seconda delle preferenze e delle opinioni che esprimono. Le risultanti campagne di disponibilità producono spesso benefici sociali in quanto vincono il torpore della società e alimentano dibattiti su questioni sociali da tempo presenti ma raramente affrontate; si ripensi ai rischi associati al fumo di sigaretta e ai tumori della pelle causati dall' esposizione al sole. Allo stesso tempo, le campagne di disponibilità producono gravi danni alimentando la diffusione di errori di disponibilità. Come vedremo, questo pericolo sottolinea la necessità di strumenti di salvaguardia istituzionali ideati per assicurare una migliore scala di priorità e un utilizzo più pieno delle conoscenze scientifiche. Si può immaginare, allora, che quando viene data notizia di una fuoriuscita di rifiuti, giornalisti che mirano a uno scoop che li può rendere famosi, o politici che puntano a irrobustire le proprie credenziali ambientaliste, comincino ad accusare l'industria responsabile. Cogliendo l'opportunità di apparire "virtuose", le prime persone che assistono all'avvio di questa campagna si associano alle denunce. Così facendo, esse accrescono il volume delle critiche: ciò rende altre persone consapevoli delle trasformazioni in atto nella pubblica opinione. Queste si uniscono al coro di critiche per rafforzare la propria reputazione, il che accresce ulteriormente il volume di critiche: in tal modo la campagna accusatoria cresce attraverso una cascata reputazionale. La cascata completa il suo corso quando la notizia della campagna ha raggiunto chiunque abbia sufficientemente a cuore la tutela della propria reputazione. ( di Cass R. Sunstein )
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