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la nuova economia del terrorismo
- Subject: la nuova economia del terrorismo
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 12 Jul 2004 07:11:01 +0200
da alice.it mercoledi 9 giugno 2004 La nuova economia del terrorismo Dall'11 settembre, il terrorismo internazionale islamico è diventata la minaccia primaria alla sicurezza dell'Occidente, in particolare degli Stati Uniti. I mass-media, in genere, hanno trattato il fenomeno soprattutto puntando sugli aspetti emotivi e spettacolari o focalizzando la loro attenzione sulla tematica religiosa del conflitto. Scarsa attenzione è stata invece dedicata al lato economico della questione e ai finanziamenti ai gruppi del terrore. Loretta Napoleoni, economista italiana che da anni vive e lavora nel mondo anglosassone, descrive tali dinamiche nel suo libro La nuova economia del terrorismo (Marco Tropea Editore). Con un lavoro molto documentato, l'autrice spiega i sistemi di finanziamento a cui ricorrono i gruppi terroristici, dimostrando come quello del terrore sia un vero e proprio sistema economico - con schemi abbastanza precisi - integrato nell' economia globale molto di più di quanto si sia abituati a credere. In quest' intervista, Loretta Napoleoni ci offre alcune anticipazioni. Nel suo libro La nuova economia del terrorismo, lei analizza le forze economiche che sostengono il terrorismo, non tralasciando gli aspetti sociali. Nella crescita di queste attività, si possono individuare responsabilità legate alla globalizzazione dei mercati? Esiste un legame diretto tra il fenomeno della globalizzazione e la crescita esponenziale della Nuova Economia del Terrorismo. È grazie al processo di deregolarizzazione dei mercati finanziari internazionali, avvenuto negli anni '90, che i gruppi armati sono stati in grado di finanziarsi in più di un paese e di attivarsi globalmente. Con il crollo delle frontiere economiche, questi ultimi, hanno anche avuto la possibilità di legarsi ad organizzazioni criminali ed illegali formando un'economia propria il cui fatturato è pari a 1.500 miliardi di dollari annui, pari al 5% dell'economia mondiale. Nel mio libro, La nuova economia del terrorismo, definisco questo fenomeno la globalizzazione del terrorismo. Si tratta dell'ultimo stadio evolutivo dell'economia del terrore le cui prime due fasi sono state: il terrorismo sponsorizzato dalla stato e la privatizzazione del terrorismo. Al Qaeda è l'esempio più illuminante della globalizzazione del terrorismo, si tratta infatti di una organizzazione armata trans-nazionale, in grado di finanziarsi internazionalmente ed operativa a livello globale. Dal primo attentato al World Trade Center del 1993 al discorso del 1998 del presidente Clinton contro i gruppi terroristici internazionali trascorrono cinque anni, durante i quali si verificano due gravi attentati contro gli Americani in Arabia Saudita, mentre altri vengono sventati (fra cui un piano di dirottamento contemporaneo di più aerei in volo). Come giustifica questo ritardo degli Stati Uniti nel perseguire i gruppi terroristici? Dal 1993 all'11 settembre del 2001 si è considerato il terrorismo islamico come un crimine nazionale, non come un attacco alla sicurezza dell' occidente, e cioè un fenomeno globale in evoluzione. Ramzi Jousef, l' ideatore del primo attacco al World Trade Center, è stato incriminato e processato come un criminale comune. Una volta catturato nel Pakistan ed estradato negli USA, l'indagine giudiziaria si è chiusa. Allo stesso tempo, per non inquinare le prove, le autorità giudiziarie hanno evitato di consultare e di collaborare con l'FBI e la CIA, che sono rimaste al di fuori degli interrogatori di Jousef e dei suoi complici. Così, importanti informazioni provenienti dalla polizia delle Filippine, che aveva decodificato il portatile di Jousef da dove emerse il Bojinka plot, il piano terrorista per far saltare in aria simultanemante una serie di jumbo jets americani, sono state archiviate. Lo stesso vale per l'origine dei finanziamenti di Jousef. Oggi sappiamo che non solo Ramzi Jousef aveva contatti con Al Qaeda ma si muoveva nella sua rete internazionale, usufruendo di aiuti e protezione. Questo errore di valutazione ha dato ad organizzazioni armate islamiche l'opportunità di svilupparsi impunemente per quasi un decennio. Il Pakistan è stato "il vero vincitore" fra i due litiganti (USA e URSS) per la competizione nell'Asia Centrale. Qual è l'effettivo ruolo del Pakistan nello scacchiere geopolitico dell'area? Quanto ha contato in passato e quanto conta ancora oggi il sostegno dell'ISI (il servizio segreto pakistano) alle organizzazioni terroristiche internazionali? Il Pakistan ha decisamente capitalizzato sulla jihad anti-sovietica in Afghanistan e ne è uscito come una potenza nucleare di primo piano in Asia. All'indomani della guerra in Afghanistan ha utilizzato la rete dei Mujaheedin per portare avanti il suo sogno espansionistico, si pensi solo alla situazione nel Kashimir, dove si combatte da anni o a quella nella valle della fergana, un importantissimo crocevia delle Repubbliche del centro Asia. È proprio grazie ai finanziamenti sauditi, che non si sono mai esauriti, che il Pakistan è diventato una potenza atomica, allo stesso tempo, fu grazie al ladrocinio degli approvvigionamenti destinati ai Mujaheedin che il Pakistan ha creato il più grosso arsenale di armi nel centro Asia, un arsenale che ha poi utilizzato per sostenere l'insurrezione islamica nei paesi limitrofi. Per quanto riguarda l'ISI, i servizi segreti pakistani hanno avuto un ruolo di primo piano nel finanziamento della guerra afgana, facendo da tramite tra i due maggiori sponsors, la CIA ed i Sauditi. A guerra finita, l'ISI ha continuato a svolgere un ruolo analogo nelle regioni dell'Asia centrale e nel Caucaso. Dobbiamo all'ISI, per esempio la decisione di creare ed addestrare un gruppo di terroristi islamici che furono inviati in Cecenia, tra i quali c'era Kattab, uno dei principali luogotenenti di Osama bin Laden durante la guerra in Afghanistan. Quanto ritiene plausibili le ipotesi di connivenza fra Osama bin Laden e settori della casa reale saudita? Esistono legami tra bin Laden ed alcuni membri della casa reale saudita che risalgono ai tempi della jihad anti-sovietica. Membri dell'elite saudita, tra i quali il ministro degli interni ed il ministro del credo islamico, sono aperti sostenitori del ruolo dei gruppi armati islamici nel mondo mussulmano. C'è poi il ruolo dell'Ulema, il consiglio dei religiosi, la più alta autorità religiosa del paese, che gioca a favore di bin Laden. Per comprendere queste connivenze, che possono sembrare contraddittorie, bisogna tener presente l'ambiguità saudita nei confronti della politica estera degli USA ed in particolare del ruolo che Israele ricopre nel Medio Oriente. Da una parte, la casa reale saudita sostiene economicamente organizzazioni come Hamas considerate gruppi terroristi dagli USA e da Israele, che conducono attacchi contro Israele; finanzia la proselitizzazione del credo Wahhabita nei paesi mussulmani e si è fatta promotrice di istituti caritatevoli che alimentano l'insurrezione islamica nel mondo mussulmano; dall'altra cerca di giocare il ruolo di super-alleato degli USA nel Medio Oriente, appoggiando decisioni apertamente miranti al consolidamento dell'egemonia americana nel golfo. È all'interno di questa dicotomia che si inseriscono le connivenze tra Osama bin Laden con alcuni membri della famiglia reale. La fine della guerra fredda è stata contestuale a quella del terrorismo "sponsorizzato" dagli Stati. Le organizzazioni terroristiche sono diventate autonome finanziariamente. A suo avviso in che misura sono ancora coinvolti nelle trame terroristiche i servizi segreti di Stati ostili all'Occidente? Con la guerra fredda non è finito il fenomeno del terrorismo sponsorizzato dallo stato, basta ricordare la formazione delle Autodifese Unite della Colombia (AUC), il gruppo armato colombiano creato nel 1997 dai grandi proprietari terrieri, industriali e signori della droga colombiani. Le AUC hanno radici nelle formazioni paramilitari colombiane e sono intimamente legate ai militari colombiani. Il gruppo è stato finanziato dagli USA con sovvenzioni dirette o attraverso l'intermediazione del governo colombiano. Un altro esempio di sponsorizzazione americana è l'Esercito popolare di liberazione del Sudan (SPLA) che a differenza della sigla non è un esercito di liberazione ma un gruppo armato, una forza di occupazione del sud del paese. La carestia del 1998, ad esempio fu accelerata dall'offensiva lanciata dal SPLA contro il governo di Khartum, offensiva approvata ed economicamente sostenuta da Washington. La guerra fredda ha solo ridotto lo scopo del terrorismo sponsorizzato dallo stato, limitandolo ad alcune zone del mondo. Nel suo libro, lei riscontra una sorprendente analogia fra i motivi per cui furono lanciate le crociate e quelli per cui oggi bin Laden lancia la jihad contro l'Occidente. Può spiegare meglio questo concetto? Le crociate furono essenzialmente guerre di espansione economica travestite da guerre di religione. Dal V al XI secolo l'Europa era stata ridotta ad una colonia dell'Islam, a quel tempo un splendida civiltà, ma soprattutto l' unica superpotenza, una superpotenza che nel bacino mediterraneo godeva di un'incontrastata egemonia economica. Le crociate furono la risposta delle classi mercantili emergenti europee a questa egemonia, vennero lanciate per rompere il giogo economico ed aprire la strada del lontano oriente ai mercanti europei. Sotto l'ombrello della religione si formò un'alleanza fenomenale tra mercanti, banchieri, il papato e l'impero. La religione divenne l'ideologia, lo strumento per reclutare le masse del nord ovest europeo che vivevano un'esistenza di stenti a causa a sud della pressione esercitata degli arabi ed a nord dalle tribù dei paesi scandinavi. Per queste masse arruolarsi negli eserciti crociati presentava una serie di vantaggi economici: la possibilità di nutrirsi giornalmente, l'opportunità di tornare ricchi dopo aver saccheggiato le splendide città arabe e la vita eterna nell'eventualità di una morte violenta. Oggi l'Islam Wahhabita ha apposto il sigillo della religione alla jihad moderna. Sotto questo ombrello ideologico si è formata una nuova alleanza, tra le classi emergenti arabe, i mercanti, i banchieri, i commercianti sauditi e l'Ulema. La religione è ancora una volta lo strumento per attrarre le masse povere mussulmane. Le motivazioni sono identiche: rompere l' egemonia occidentale e distruggere i regimi mussulmani oligarchici che la mantengono in vita; anche il fine è identico: la crescita economica delle classi emergenti imprenditoriali. Ancora una volta alle masse povere si offre l'opportunità di una vita migliore e gli onori di una morte da martire che apre le porte del paradiso degli eletti. Quale è il ruolo dei mass-media in questa sorta di "crociata al contrario", dal momento che bin Laden non è un leader religioso? I mass-media sono molto importanti, essi servono da canale di comunicazione tra l'insurrezione armata islamica ed il 'nemico', l'occidente e le oligarchie mussulmane corrotte che lo sostengono, svolgono anche un ruolo informativo per chi fa parte di questa insurrezione armata. Ultimamente, dopo l'attacco a Madrid e più recentemente a seguito del rapimento di quattro italiani in Iraq, i mass-media hanno assunto un ulteriore ruolo, sono la cinghia di trasmissione tra i leader islamici e l'elettorato occidentale. Si è aperto un nuovo canale di comunicazione che rischia di spaccare l'opinione pubblica occidentale. È proprio questo aspetto che conferma il ruolo politico e non religioso di bin Laden. Secondo lei, un eventuale rovesciamento di regimi filo-occidentali ad opera di gruppi terroristici - con tutte le conseguenze economiche connesse allo sfruttamento delle risorse energetiche - potrebbe essere il preludio alla formazione di una federazione panislamica? La vittoria dell'insurrezione islamica difficilmente ricreerà un nuovo assetto politico del mondo mussulmano simile al califfato degli anni dello splendore Islamico. È più plausibile aspettarsi la formazione di nuovi regimi oligarchici con una grossa partecipazione da parte delle nuove elite economiche, qualcosa sulla falsariga della Repubblica islamica iraniana. In che misura le attività economiche delle organizzazioni terroristiche internazionali sono penetrate nel tessuto economico occidentale? I due sistemi, quello capitalista occidentale e la Nuova Economia del Terrorismo sono molto integrati. Si pensi che la moneta di scambio utilizzata all'interno del sistema economico del terrore è il dollaro americano e che l'offerta di denaro annuale, cioè lo stock di nuova moneta prodotto ogni anno a fronte della domanda annuale, ha la stessa provenienza. Ogni anno, infatti, due terzi dell'offerta di dollari statunitense emessa sul mercato dalla Riserva Federale esce dal circuito monetario americano illegalmente e va ad alimentare l'economia del terrore, del crimine e dell' illegalità. Come si spiega il considerevole numero di kamikaze provenienti da paesi occidentali, spesso nati da genitori immigrati? Essere nati in occidente non cambia la percezione dei giovani mussulmani di essere vittime dell'egemonia economica occidentale, anzi, a volte, può accentuare il senso di discriminazione che li affligge. Zakaria Moussaui, il giovane marocchino nato in Francia che doveva partecipare all'attentato dell '11 Settembre, non era mai riuscito ad integrarsi in Francia anche se era un ottimo giocatore di calcio. La condizione di disadattato l'ha spinto a lasciare la famiglia ed a viaggiare in Europa dove, grazie alla rete delle moschee, ha trovato un'identità suo propria nell'essere mussulmano. Come al tempo delle crociate, la religione offre a questi disadattati esistenziali un'identità politico-sociale. A differenza dei kamikaze palestinesi, quelli europei non hanno vissuto l'umiliazione dei campi profughi e la lotta armata non fa parte della loro quotidianità, come loro però, gli europei identificano il male con l'occidente e sono attratti dall'idea di far parte di un grande fenomeno, l'insurrezione islamica, che porterà ad una rinascita mussulmana. Nel suo libro parla anche di attività illegali di altri gruppi armati, in particolare collegati al traffico di narcotici. Non le sembra che dopo l'11 settembre ci sia stato un certo "lassismo" nei confronti di questi traffici? Pochissimo si è fatto sul fronte della lotta contro il finanziamento dei gruppi del terrore islamico, sia per quanto riguarda i finanziamenti legali, quelli cioè derivanti da opere di carità o da donazioni, sia sul piano dei proventi di attività illegali, quali, ad esempio, il traffico della droga. I motivi sono evidenti, si è voluto favorire la scelta della guerra, affrontare il 'nemico' sui campi di battaglia invece di seguire la pista del denaro pulito e sporco. Così facendo si è commesso un ulteriore errore di valutazione di cui noi pagheremo le conseguenze per molti anni. A detta delle Nazioni Unite il patrimonio di Al Qaeda è pressochè intatto, dall'11 settembre ad oggi nel mondo si sono congelati soltanto 150 milioni di dollari che andavano ad alimentare la rete del terrore islamico. Osama bin Laden e Ayman Al-Zawahiri sono innanzitutto i rampolli di due famiglie ricche e potenti ancora oggi. Tutto ciò non è in profonda contraddizione con il loro messaggio populista di redistribuzione della ricchezza derivante dalla vendita del petrolio? Se spogliamo Osama bin Laden e Ayman Al-Zawahiri dell'involucro religioso allora ambedue rientrano nella tradizione delle élite rivoluzionarie, rampolli di famiglie ricchissime hanno rifiutato i privilegi di nascita per abbracciare quella che essi reputano una giusta causa. Le loro origini giocano fortemente a loro favore, sono fonte di grande ammirazione tra i seguaci. Diversi osservatori hanno avanzato l'ipotesi che alla base dell'invasione dell'Iraq ci sia stata la volontà americana di creare un governo filo-occidentale che sostituisse di fatto l'alleanza con un'Arabia Saudita "poco affidabile", una guerra insomma come risposta alla politica del "ricatto petrolifero" dell'Opec. Come giudica questa ipotesi? Certamente alla base della decisione di invadere l'Iraq c'era un piano strategico americano che andava ben altre la guerra al terrorismo. Questo piano è stato formulato già nel 1991, all'indomani della fine della guerra del golfo, e in sintesi mira a ribadire il mantenimento della supremazia economico-politica del USA in quella regione. Tuttavia l'ipotesi che il petrolio sia stata l'unica vera motivazione è, a mio parere, riduttiva. Bisogna anche tener presente il ruolo che un paese filo-americano giocherebbe negli equilibri instabili del golfo, e cioè il contenimento dell 'espansione della repubblica islamica iraniana. Di Michele La Marca
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