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la fiat se la prenderanno le banche ?
- Subject: la fiat se la prenderanno le banche ?
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 2 Jul 2004 07:36:09 +0200
dal manifesto - 25 Giugno 2004 Il Lingotto delle banche SERGIO CUSANI GIUSEPPE TRIPODI Il Lingotto delle banche Tutti i numeri della crisi della Fiat e tutti gli indizi sull'ultima tentazione degli istituti di credito: approfittare dell'emergenza per sfondare i confini banca/impresa e diventare la «cabina di regia» della politica economica SERGIO CUSANI GIUSEPPE TRIPODI Il bandolo della crisi Fiat è nelle mani delle banche. Prima di inoltrarci nella matassa, riassumiamo in sei punti i termini del problema. 1. La famiglia Agnelli, numerosa e con interessi divergenti, non intende investire altri capitali propri, anzi ha evidente fretta di «recuperare» quanto già versato. Intanto ha messo il patrimonio al sicuro. La Ifil, dismettendo attivi come Worms o Rinascente, chiude i debiti, garantisce dividendi alla controllante Ifi, rende ancor meno «significativa» la partecipazione del 30% in Fiat, che attualmente rappresenta solo il 33% del portafoglio Ifil. Per ottimizzare l'impatto fiscale, si accorcia la catena di controllo Ifi/Ifil così da far pervenire dividendi più copiosi nella cassaforte di famiglia, la Giovanni Agnelli e C. 2. La gestione Fiat negli ultimi anni ha guardato soltanto a medio termine e non ha affrontato i nodi strutturali che ancora attanagliano la Fiat in termini strategici di prodotto e di innovazione. 3. La liquidità di 7 miliardi disponibile al 31 dicembre 2003, derivante da dismissioni, è già impegnata e a fine 2004, senza altre operazioni straordinarie, si sarà ridotta a circa 750 milioni di euro. In più, nel 2004 vi saranno flussi in uscita - sulla base del Piano - relativi agli investimenti in beni materiali e immateriali per 2.700 milioni di euro e si dovrà far fronte al fabbisogno finanziario derivante dalle perdite gestionali. Utilizzando, come indicatore prospettico dello stato di salute della Fiat, il reddito netto consolidato del primo trimestre 2004 «depurato» - che non tiene cioè conto di alcuni effetti straordinari noti - proiettato sull'intero anno, se ne può indicativamente dedurre che la perdita del 2004, a fattori costanti (flat), sarebbe di circa 1,5 miliardi di euro (vedi scheda). Alla Fiat non rimarrà che ricorrere a nuovo credito bancario, ristrutturare il debito a breve o tentare di raccogliere pubblico risparmio attraverso controllate con un rating decente. 4. General Motors o altri produttori non investiranno in Fiat Auto perché le capacità produttive - in eccesso in tutto il mondo a costi più bassi - non interessano. Ciò che attrae sono specifici rami d'azienda o solo alcuni marchi. 5. I concorrenti Fiat investono in prodotti innovativi, adottano politiche commerciali aggressive e costose. Grandi case si apprestano a invadere il mercato dell'auto low cost. 6. Se non avvengono significativi miglioramenti sul fronte delle vendite, e non vi sono segnali in questo senso, se non si inverte rapidamente rotta, se non si accelera sul piano di rilancio con modelli innovativi, si rischia il declino. In tale malaugurata ipotesi, si perverrebbe a un drastico ridimensionamento del gruppo Fiat mediante la cessione della maggior parte delle attività allocate all'estero, «lontane» dal sistema politico-sociale italiano. In questo caso l'impatto del problema verrebbe attutito ma la Fiat sarebbe ridotta a una media azienda nazionale destinata a languire. L'altra soluzione, ancora più drastica, è quella di uno «spezzatino», con le banche azioniste di riferimento al 27%, nell'ipotesi di conversione in azioni del prestito convertendo, e con la famiglia Agnelli al 22%. Il Piano e il Debito Dunque il bandolo della matassa è nelle mani delle banche che da tempo alimentano, senza discernimento, il ricorso al debito da parte delle grandi imprese che si sono lanciate in acquisizioni a tutto campo in una logica di gigantismo d'impresa. La rincorsa al gigantismo ha bruciato sull'altare della diversificazione enormi risorse e ha fatto trascurare il proprio prodotto, in termini di posizionamento di mercato, di innovazione tecnologica e di marketing. Per il sistema bancario la salvaguardia della Fiat sarebbe un costo sopportabile a condizione di un nuovo Piano industriale. La crisi dell'auto Fiat ha assunto carattere strutturale: finora il problema è stato affrontato in una logica poco incisiva, senza risposte credibili e strategicamente affidabili. Il Piano di rilancio del 2003 non prevede obiettivi intermedi, chiari e definiti su cui misurarsi per apportare tempestive azioni correttive. Va ridiscusso e ripensato in quanto: non prevede innovazioni di rottura sul prodotto, si accontenta di face lifting o di restyling di modelli, persegue una strategia di prodotto tipicamente follower, che insegue, e non è invece leader che innova, che anticipa le esigenze dei consumatori. Il gruppo dirigente Fiat non sta risolvendo in tempi rapidi il rapporto con General Motors così da esser libero di esplorare altre opportunità sul mercato più compatibili con la struttura d'impresa della Fiat, e così da evitare di incorrere in ulteriori probabili infringement contrattuali che andrebbero ad aggravare i dichiarati motivi di Gm per azionare una pericolosa causa per danni nei confronti di Fiat. Le banche in tutto ciò dovrebbero avere una funzione fondamentale di traghettamento operativo della Fiat nella sua interezza anche verso un allargamento dell'assetto azionario di riferimento, che deve essere imprenditoriale. Non devono cedere alla presunzione di assumere surrettiziamente la gestione della Fiat usando come paravento la residua presenza della famiglia Agnelli. Anzi dovrebbero abbandonare la logica di potere che ha portato a dilapidare enormi risorse non dedicate al sostegno di un effettivo sviluppo industriale, necessario per assicurare una solida base su cui crescere e per garantire occupazione e consumi. Se si abbandona o si indebolisce la base industriale, il declino è inevitabile perché il divario non è più recuperabile. Il grimaldello di Torino Il timore è che le banche abbiano in mente ben altro: usare il grimaldello del caso Fiat, con una forte valenza simbolica, per un obiettivo più ampio di potere. In sostanza, approfittare di una fase critica della grande impresa in Italia per proporsi come «banca universale» libera di partecipare al capitale delle società, sul modello tedesco-renano, andando ben oltre la soglia massima attuale del 15% imposta dalla Banca d'Italia. Così facendo, consoliderebbero quello che è un dato di realtà, l'impresa «in pegno» alle banche, in elemento strutturale e formale anche attraverso la trasformazione dei loro crediti in azioni; con un elemento incestuoso dato dalla presenza, sempre più invadente, di gruppi imprenditoriali nel capitale sociale delle stesse banche e nei loro organi di governo. In definitiva le banche, che in tutte le recenti crisi hanno avuto il ruolo di soci di fatto dei grandi gruppi industriali e finanziari, potrebbero candidarsi a divenirne i padroni effettivi in presenza delle grandi famiglie del capitalismo italiano, con pochi capitali propri investiti, che sono o in declino e/o fortemente indebitate e dei governi che preferiscono ammantare di non ingerenza la propria incapacità di indirizzo industriale e di mobilitazione di risorse per lo sviluppo, intervenendo surrettiziamente proprio attraverso le banche, che al potere politico sono strettamente collegate, in contropartita concedendo ad esse totale libertà di manovra. In passato l'industria non aveva futuro senza il beneplacito delle banche. Nel futuro prossimo le banche saranno l'unico soggetto a occupare la cabina di regia dell'andamento dell'economia. Con un sistema creditizio ancora fragile ed esposto ad alti rischi, si verrebbe in tal modo a creare un circuito assai poco virtuoso, assai poco trasparente, assai poco tracciabile. Pur in questo contesto in movimento, le condizioni per salvaguardare l'intero gruppo Fiat ci sarebbero in quanto: esiste un Piano di rilancio, che va necessariamente ripensato e ridefinito, ma intanto è una base di confronto; esiste la espressa volontà delle rappresentanze organizzate dei lavoratori di assumere un ruolo propositivo per salvaguardare l'azienda e gli interessi sociali diffusi che racchiude, compreso l'indotto; in più c'è il sicuro interesse di tutto il tessuto delle imprese dell'indotto diretto e indiretto, artigiani in testa, assai sensibili al problema e pronti a dare il loro fattivo contributo; così come gli enti locali e i territori. Tavoli e conflitti Tutto ciò dice quanto sia urgente affrontare il problema per tempo, avviando una discussione costruttiva sul futuro della Fiat tra i diversi soggetti economici, sociali e istituzionali coinvolti: Fiat, banche, sindacato, artigiani e imprenditori dell'indotto, governo, enti locali e rappresentanze dei territori. Un «tavolo per il futuro», realmente creativo. Subito, prima che l'avv. Luca Cordero di Montezemolo, presidente della Fiat e della Confindustria, venga bloccato nel suo agire dal conflitto tra l'ottenere commesse governative per Fiat e rappresentare tutti gli imprenditori. (Cusani e Tripodi sono della Banca della Solidarietà, dal 2002 consulente della Fiom-Cgil per il caso Fiat, insieme alla Practice Audit di Milano).
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