la sinistra e l'economia sostenibile



da aprile.it

Prigionieri della crescita

La sinistra e l'economia sostenibile

Cristina Mosca Cipolletti

Un mondo diverso è necessario (Editori Riuniti, pp. 252, 12 euro) ci conduce
a una profonda analisi dell'attuale modello socioeconomico e della crisi dei
processi ecologici, sociali e politici che sostengono il sistema produttivo.
L'autrice Carla Ravaioli - personaggio femminile di grande valore, di forte
sensibilità politica e culturale - affronta così nel libro questioni che
impongono alle sinistre una riflessione attenta. E richiama domande poste
dal movimento new global. Non a caso, nel recente Social forum europeo di
Firenze, al seminario organizzato da Ars e Socialismo 2000 sui temi della
crisi ecologica (presente la stessa Ravaioli che ha illustrato le linee del
libro), tanti giovani affollavano la sala, prendendo appunti, interrogando
l'autrice sui nodi irrisolti del rapporto tra ambientalismo e sinistra. Il
valore del libro, infatti, è proprio quello di stimolare un dibattito sia
nel mondo politico sia in quello del cosiddetto "movimento dei movimenti".
In particolare, a partire dalla crisi del modello di sviluppo, dalla
cosiddetta crisi ecologica, il libro propone alla sinistra di ripensare i
propri paradigmi interpretativi e mette in luce i limiti delle forze
tradizionali del movimento operaio per come si sono rapportati ai movimenti
degli anni Settanta e oltre, a partire da quello ambientalista. La critica,
spietata e feroce ma significativa, riguarda il fatto che a sinistra le
analisi, e di conseguenza la pratica politica e la costruzione di
soggettività, rapporti, alleanze sono state dettate da un modello
"sviluppista" e economicista che ha trascurato, se non a volte osteggiato,
le contraddizioni nuove che si affacciavano sulla scena politica, come
quella appunto ambientalista. Al "movimento dei movimenti", invece, la
ricerca dell'autrice chiede un rapporto nuovo tra politica e ciò che si
muove nella società. Perché fa i conti con il fatto che la crisi ecologica
non si risolve se non con un nuovo protagonismo di una sinistra che rimetta
in discussione le compatibilità date dal modello di sviluppo capitalista. Il
libro, ricco di citazioni e dati analitici, è molto documentato a
testimonianza della ricerca teorica dell'autrice che da alcuni anni si
interroga su questi temi.

Carla Ravaioli, con determinata riflessione e con analisi dettagliata, ci
presenta la realtà antropologicamente segnata da una sorta di
fondamentalismo economico che comporta un vero degrado del senso comune,
dominato dal mito della crescita produttiva, dai decimali del Pil e dalle
compatibilità aziendali: un drammatico impoverimento delle coscienze
deformate dall'ideologia dei consumi. L'accelerazione dell'acquisizione di
beni sempre meno necessari, che nulla ha a che fare con un'equa diffusione
di consumi, non è in alcun modo finalizzata al benessere dei popoli e ha
trovato nella società attuale il baricentro della propria struttura. Il
comprare a tutti i costi diventa lo strumento della favola pubblicitaria,
capace di manipolare psicologicamente i comportamenti degli individui
imponendo il consumo come anima del sistema. Qui, da parte di Ravaioli, c'è
la lettura aggiornata del consumismo.
Ma l'analisi prosegue. Con l'affermazione delle politiche liberiste e con la
loro applicazione a dimensione globale la crescita produttiva non garantisce
più lavoro, certezza di salario e di diritti, sviluppando l'iniquità
sociale. Della profonda crisi ne hanno fatto le spese le istituzioni che
fungono da architettura di governo per il capitalismo globale: Fondo
monetario, Banca mondiale e Organizzazione mondiale del commercio. Il
crescente divario tra ricchi e poveri, la crisi ecologica sono il risultato
di questo mondo produttivo senza orizzonti che sulla rapina della natura,
sulla disuguaglianza sociale fonda la sua prosperità.

La questione, conclude Ravaioli, va affrontata a iniziare dall'Occidente
perché è preciso dovere dei paesi ricchi operare per un riorientamento
radicale della nostra stessa economia. Le sinistre, spiega ancora l'autrice,
hanno il compito di impegnarsi ad approfondire la realtà, studiando gli
squilibri per affermare la necessità di nuove terapie. Questa è la grande
novità, da Porto Alegre a Firenze: soggetti nati per rivendicazioni diverse
all'interno del movimento no global si sono trovati fianco a fianco in
un'unica lotta, individuando in G8, Wto e Fmi un nemico comune.

Una domanda, infine, attraversa tutto il libro: è un sogno sperare
nell'Europa come possibile levatrice di un mondo diverso? Potrebbe essere il
punto di partenza per "iniziare a cambiare il mondo". Spetta alla sinistra
provarci.


da ecologiapolitica.it

Carla Ravaioli e Bruno Trentin, "Processo alla crescita", Roma, Editori
Riuniti, 2000, 159 pp.

di G. Nebbia

Una società e una economia "funzionano" (dovrebbero funzionare) col fine di
soddisfare bisogni umani: bisogni di abitazione, di cibo e acqua, di
respirare aria pulita, di salute e conoscenza, di comunicazione delle
proprie conoscenze ad altri; bisogni di libertà e dignità. Per quanto se ne
dica, per soddisfare tutti questi bisogni occorrono degli oggetti materiali
che possono essere ottenuti soltanto trasformando dei beni naturali ---
aria, acqua, vegetali, animali, rocce, pietre, minerali, fossili estratti
dal sottosuolo --- in cose utili mediante il lavoro e mediante strumenti
che, da quando è nata la proprietà privata, diecimila anni fa, possono solo
essere comprati o venduti in cambio di denaro.

Chi investe il proprio denaro nella produzione di merci deve essere premiato
con altro denaro anche perché è un benefattore: permette ai lavoratori di
acquistare più merci che fanno aumentare la produzione e il denaro in
circolazione, eccetera. Il progresso non si misura forse con la "crescita"
del denaro in circolazione, così bene interpretata dal prodotto interno
lordo di un paese ?

Ci volevano dei malinconici brontoloni a spiegare, alla luce
dell'"ecologia", che "il di più" --- più merci, più denaro --- la crescita,
insomma, si scontra con limiti inviolabili, quelli della capacità della
natura di fornire nuove materie prime e quelli della capacità dell'aria,
delle acque, del suolo, di accettare, sopportare, la crescente massa di
scorie e rifiuti che inevitabilmente accompagnano la crescita delle merci e
del denaro.

Da oltre trent'anni si trascina il dibattito fra alcuni che, anche nella
sinistra, osservano che la crescita, delle merci e del denaro, in qualche
momento deve rallentare (o fermarsi ?); e altri, la maggioranza --- i
governi ormai di tutto il mondo, gli imprenditori e anche i lavoratori ---
sostengono invece che, per soddisfare i crescenti e sempre più raffinati
bisogni umani, nel Nord e nel Sud del mondo, occorre far crescere il denaro
in circolazione, unico agente capace di consentire l'occupazione e la
produzione.

Col libro "Processo alla crescita" Carla Ravaioli, per molti anni senatore
della Sinistra indipendente, saggista e una delle voci più attente, a
sinistra, ai rapporti fra esseri umani, natura, lavoro e società, continua
la serie dei "colloqui" cominciati anni fa con Alberto Moravia sulle donne,
con Claudio Napoleoni sul lavoro e, in tempi più recenti, con numerosi
economisti internazionali: la raccolta di queste ultime interviste, "Il
pianeta degli economisti", è stata tradotta in inglese ed è citatissima.
Questa volta il colloquio è con Bruno Trentin il quale, "da sinistra",
spiega la inevitabilità della "crescita" che egli fa coincidere con "lo
sviluppo" umano.

Dal colloquio emergono tutte le contraddizioni fra crescita e "natura": i
limiti fisici della natura possono essere superati governando lo sviluppo,
la sua qualità, rendendolo "sostenibile", come è di moda dire adesso. Ma la
"sostenibilità" non sarà una nuova parola magica per evitare di mettere in
discussione la "crescita" merceologica e non sarà destinata anche lei a
scontrarsi con i limiti fisici della natura ?

L'altro punto importante riguarda la democrazia: è possibile evitare o
rallentare lo sfruttamento delle risorse naturali e dell'ambiente senza
ricorrere a tentazioni autoritarie, "reazionarie", "di destra", senza
condannare le classi povere e i paesi poveri a restare con la propria
miseria, nel nome della salvaguardia di valori che sono tali per (o che sono
percepiti come tali soltanto dalle) classi agiate ?

Può una sinistra chiedere "oggi" ai lavoratori di accettare minori salari,
meno automobili, di consumare meno benzina, per salvare i boschi o lo strato
di ozono, perché la distruzione delle foreste e dello strato di ozono,
imposta dalla crescita del capitale internazionale, è destinata a provocare
"domani" ricadute negative più gravi proprio sulle classi povere e sui paesi
poveri ?

Dal colloquio Ravaioli-Trentin emergono anche le linee per alcune proposte:
uno scrutinio della qualità delle merci e delle materie prime, alla luce dei
vincoli ambientali; una nuova cultura nei bisogni e nei consumi individuali;
una educazione critica verso le merci oscene come le armi; un intervento
pubblico verso la standardizzazione delle merci perché durino di più, siano
più facilmente riciclabili alla fine della loro vita utile; lo sviluppo di
tecniche e processi che, invece di moltiplicare merci e bisogni futili,
aiutino i paesi poveri ad attenuare la loro cronica mancanza di cibo,
salute, acqua potabile, abitazioni decenti, energia, istruzione, libertà.

Tutto questo non risolve il problema di fondo: non frena la crescita, non
allarga i limiti delle risorse naturali, ma almeno richiede innovazione,
crea occupazione, alleggerisce la pressione migratoria --- e può anche
mettere in discussione i dogmi della competitività, dello sfruttamento, del
capitalismo, cioè delle condizioni intrinsecamente incompatibili con le
leggi della natura. Troveremo una sinistra capace di affrontare una tale
sfida?