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welfare alla scandinava, si può
- Subject: welfare alla scandinava, si può
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 27 May 2004 06:48:15 +0200
Quale modello sociale per l'Europa? Welfare scandinavo, pregi, difetti e sua esportabilità. Una due giorni di dibattito a Roma TIZIANA BARRUCCI Esiste un modello sociale europeo? Quale è il rapporto tra il sistema - o i sistemi - scandinavi e quelli del resto del continente? Volendo riassumere in maniera sintetica sono questi gli interrogativi a cui ha cercato di rispondere la due giorni di approfondimento organizzata dalla Fondazione istituto Gramsci e la Fondazione Giacomo Brodolini in collaborazione con le ambasciate di Danimarca, Finlandia e Svezia tenutasi nella capitale nei locali dell'accademia di Danimarca giovedì e venerdì scorso. Tesi di fondo dei lavori: l'assoluta non contraddizione tra welfare state - quindi coesione sociale - e competitività economica del sistema nazione. Un'analisi, per usare le parole di Paolo Borioni, esperto di processi di modernizzazione politica e tra gli organizzatori del convegno «per comprendere l'arcano che vede il `calabrone scandinavo' volare anche se secondo alcuni non dovrebbe, volteggiando più o meno al livello degli Stati uniti in pressoché tutti gli indicatori economici, ma rimanendo ben più avanti sul piano della qualità sociale diffusa». Se da un lato, quindi, è necessario «confrontare le riforme del welfare scandinavo con quelle necessarie al welfare italiano ed europeo - prosegue Borioni - individuando gli elementi di validità e di esportabilità europea dei successi della flexicurity nordica»; dall'altro sarà necessario uscire dal paludato dibattito che vuole il welfare causa di perdita di competitività, «partendo dall'ipotesi che proprio con la loro trasformazione da welfare nazionali keynesiani a sistemi postnazionali schumpeteriani in economie estremamente aperte i paesi nordici hanno compiuto il tratto di strada decisivo verso una loro maggiore imitabilità». E a portare l'esempio di un sistema che funziona è lo svedese Urban Ahlin, astro nascente del partito socialdemocratico del suo paese, che non solo spiega come la Svezia abbia oggi un'economia competitiva grazie alle tasse alte che i suoi cittadini devono pagare, ma giustifica pure l'euroscetticismo dei suoi connazionali con la paura di venire inglobati ed essere costretti a rinunciare proprio a quelle strategie ritenute vincenti. Un approccio troppo legato alla singola nazione che non aiuterà l'Europa - commenta Tiziano Treu - che ha invece bisogno di essere unita per essere forte. Uno stato sociale europeo per ora inesistente quindi, la cui costituzione «non è praticabile», secondo Cesare Pinelli, docente di Diritto costituzionale italiano e comparato all'università degli studi di Macerata; ma che invece dovrebbe convergere attorno a un nuovo concetto di «piena occupazione a due settori» per l'ex presidente dell'Inps Massimo Paci. Perché, secondo Pinelli, non solo l'«Unione non ha propri apparati amministrativi», ma le stesse «istituzioni del welafare e una protezione sociale dalla culla alla tomba richiedono risorse finanziarie molto più ingenti di quelle a disposizione dell'Unione». Quell'Unione che dovrebbe invece puntare - conclude Paci - a una flessibilità oraria del lavoro volontaria, che metta l'individuo in condizione di dedicarsi ad attività fuori mercato, riconosciute valide sul piano sociale. In pratica, un nuovo modello mutuato dai paesi nordici e che permetta a tutte le forme di occupazione, anche a quelle «non standard», di godere delle principali tutele sociali, in particolare quelle legate ai rischi di disoccupazione o di vecchiaia.
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