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demagogia e risparmio
- Subject: demagogia e risparmio
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 10 Apr 2004 07:53:13 +0200
Da l'Unità del 09.02.2004 Demagogia e risparmio di Ferdinando Targetti Il consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge di riforma del sistema di tutela del risparmio. Già dal titolo c'è aria di demagogia: c'è troppo e c'è troppo poco. C'è troppo perché sembrerebbe che con la riforma si disciplina tutta la materia oggetto dell'articolo 47 primo comma della Costituzione: la tutela del risparmio come bene pubblico. L'obiettivo iniziale del ministro Tremonti era quello di istituire un'unica Autorità a tutela del risparmio, ma il risparmio (e limitiamoci solo a quello delle famiglie) ha una natura troppo eterogenea per richiedere un unico tipo di tutela. Le famiglie possono investire il loro risparmio in attività reali (ad esempio case) o finanziarie e queste ultime possono consistere in titoli più o meno rischiosi (azioni/obbligazioni/fondi comuni), più o meno liquidi (moneta, depositi bancari, obbligazioni a breve o a lungo termine) eccetera. Pensare ad un'Autorità per la tutela diretta del risparmio è un non senso. Una flessione del valore degli immobili o un crollo di Borsa o, per altro verso, l'inflazione sono tutti eventi che erodono il risparmio. In un sistema capitalistico sono eventi inevitabili anche se la politica monetaria e la politica dei redditi possono ridurre la loro eventualità e le loro conseguenze. Ciò a cui ci si deve invece attenere è la tutela indiretta del risparmio, ottenuta attraverso la regolamentazione e la supervisione degli intermediari. Dopo gli anni '30 in Italia il legislatore impose una separazione tra aziende bancarie e industriali, tra banche commerciali (che erogavano credito) e banche di investimento (che collocavano titoli presso il risparmiatore), tra banche e assicurazioni, eccetera. Gli organismi di regolamentazione e supervisione erano quindi distinti e specializzati per soggetto. Con gli anni la normativa si è modificata e dagli anni Ottanta il sistema finanziario italiano si è trasformato in un sistema nel quale un ruolo centrale è coperto dalla banca universale, che svolge tutte le funzioni prima attuate da intermediari diversi. Autorità specializzate per soggetto sono divenute quindi inadatte e obsolete. Nello slang si dice che si deve passare da un modello basato sui soggetti ad un modello basato sulle funzioni. Le funzioni sono prevalentemente tre e rispondono ai tre beni pubblici che necessitano tutela: stabilità, trasparenza/correttezza nei comportamenti e concorrenza. La stabilità è riferita al sistema delle banche ed è necessaria per evitare perdite degli investimenti in moneta (i depositi); la trasparenza è riferita ad imprese e a società finanziarie che fanno appello al pubblico risparmio direttamente o attraverso la Borsa valori ed è necessaria per evitare che i risparmiatori perdano la fiducia in coloro che, pur con qualche rischio, ma noto e che grava su tutti allo steso modo, gestiscono i loro risparmi; la concorrenzialità è riferita a tutto il sistema delle imprese creditizie e finanziarie ed è necessaria affinché le rendite della gestione di queste attività vadano il più possibile nelle tasche dei consumatori. Siccome queste finalità a volte possono essere in contrasto una con l'altra è opportuno che non sia un'unica Autorità a gestirle congiuntamente, ma che siano gestite da tre Autorità, ciascuna che operi in modo trasparente per dette finalità. Il disegno di legge dei Ds ha recepito questa impostazione, distinguendo tre Autorità ciascuna con una sua funzione propria: la Banca d'Italia responsabile della stabilità, la Consob della trasparenza e l'Antitrust della concorrenza. Il disegno governativo invece è un ibrido, frutto di compromessi tra fazioni all'interno della maggioranza, perché dopo aver mirato a costituire un'unica Autorità, come nel disegno originale di Tremonti, è giunta ad una articolazione addirittura su cinque soggetti: tre per funzioni - Banca d'Italia, Antitrust e la nuova SuperConsob - e due per soggetti: l'Isvap (assicurazioni) e la Covip (fondi pensione). La nuova «Autorità per la tutela del risparmio», in buona sostanza, non è nient'altro che la vecchia Consob con funzioni allargate per ciò che riguarda l'emissione di obbligazioni bancarie (che non vanno confuse con i bond tipo Cirio o Parmalat venduti dalle banche per i quali la vigilanza già spettava alla Consob). Sul terreno delle emissioni obbligazionarie il governo non ha purtroppo ravvisato l'opportunità di fare obbligo alla banca emittente di tenere per un certo periodo di tempo le obbligazioni nel proprio portafoglio prima di piazzarle sul mercato e ridurre così il rischio dello scaricamento dell'onere dell'insolvenza dell'emittente dalle banche al pubblico. Circa l'autonomia della nuova SuperConsob il disegno di legge approvato modifica per fortuna l'impostazione iniziale e fa propria la richiesta di alcuni partiti del centrodestra e dei partiti del centrosinistra di mantenere, per l'elezione degli organi di governo, il vincolo della maggioranza qualificata, di due terzi del Parlamento, anche dopo il terzo scrutinio. Un altro importante aspetto riguarda la sovrapposizione di competenze tra Autorità. Questo è un nodo analitico e politico complesso. Un sistema bancario-finanziario fortemente accentrato, può essere stabile e magari anche efficiente, ma con poca concorrenza, per converso un sistema con tante piccole banche può presentare un alto tasso di concorrenzialità, ma essere inefficiente e instabile. Una struttura di tante piccole banche locali può offrire un servizio costoso (poco concorrenziale), ma attento alle esigenze delle piccole imprese, se queste banche nazionali piccole e medie fossero invece acquistate da grossi gruppi esteri il sistema potrebbe guadagnare in efficienza, ma perdere in offerta di servizi alle imprese locali. E gli esempi possono moltiplicarsi. Il punto è che la separazione tra le funzioni delle Autorità non può essere netta, in particolare tra Banca d'Italia e Antitrust. Sulla questione della concorrenza entrambe le Autorità dovrebbero essere coinvolte, ma per evitare delle situazioni di impasse decisionale dovrebbero essere definiti a priori i terreni su cui una delle due Autorità ha l'ultima parola. La politica della concorrenza si esercita su tre livelli: intese, abuso della posizione dominante, concentrazione. Sui primi due terreni prevale l'aspetto concorrenziale, sull'ultimo quello della stabilità e di conseguenza ne dovrebbe derivare la prevalenza dell'Antitrust nel primo e della Banca d'Italia nel secondo caso. Il disegno di legge del Governo invece non scioglie questo nodo e lascia al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr) la funzione dell'arbitro. Nel disegno di legge del governo il ruolo di questo comitato è accresciuto prevedendo che dia direttive generali in tema di vigilanza, mentre nel disegno di legge dei Ds il Cicr è convenientemente soppresso. L' esecutivo dovrebbe infatti stare lontano dal disegno dell'architettura e dal funzionamento del sistema creditizio, mentre invece un ruolo più rilevante potrebbe essere assunto dal Parlamento quale sede ove le Autorità espongano la propria politica e diano conto del loro operato rispetto alle finalità enunciate (la cosiddetta accountability, cioè trasparenza dei propositi). Si diceva che il disegno di legge vuole troppo e troppo poco. E' mia opinione che propone troppo poco sul terreno del governo societario, malgrado sia proprio questo il terreno sul quale si sono rilevati i buchi normativi più consistenti, che hanno consentito che avessero luogo le maxitruffe della Cirio e della Parmalat. Il bene pubblico che, come si diceva più sopra, va tutelato dalla legge, è quello della trasparenza/correttezza dei comportamenti. L'obiettivo di un corretto «governo societario» lo si consegue sia con le norme formulate dalla Consob, sia con specifiche norme di legge, volte a vietare e sanzionare comportamenti scorretti e conflitti di interesse. Su questo terreno il governo chiede una delega per affrontare il problema dei revisori dei conti, al fine di stabilire norme che vietino a quest'ultimi di svolgere, a favore dei clienti (e cioè delle società revisionate), funzioni diverse da quelle della revisione, come la consulenza. Il proposito è senz'altro condivisibile, ma sul terreno del governo societario molto di più si poteva proporre, ed esempi di misure precise ed efficaci si trovano nel disegno di legge dei Ds, soprattutto in tema di amministratori ove si prevede di separare le funzioni del presidente da quelle della direzione generale e che i soci di minoranza possano nominare loro rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione e la maggioranza del Collegio sindacale. Circa le sanzioni il disegno di legge del governo prevede pene severe per chi generi «nocumento al risparmio». L'abuso delle informazioni riservate (insider trading), l'aggiottaggio (alterazione dei prezzi di mercato), il falso in bilancio e le false comunicazioni sociali sono reati specifici e definiti contro il risparmio che vanno perseguiti, ma, da quello che si diceva in apertura dell'articolo, un reato generico contro il risparmio non ha senso: è un reato imprecisato e di forte sapore propagandistico. Molto più efficace sarebbe stato rafforzare le pene del falso in bilancio, tale da renderlo un reato realmente perseguibile e non soggetto a sicura prescrizione. Un'altra efficace tutela del risparmiatore a livello giudiziario potrebbe essere offerta dalla possibilità di promuovere un' azione legale collettiva (la class action in vigore negli Stati Uniti) da parte dei risparmiatori a tutela dei propri diritti. Infine il disegno di legge prevede misure sui centri offshore: per le società italiane sarà obbligatorio allegare al proprio bilancio quello della società controllata con sede legale in uno dei paradisi fiscali. Questa misura è troppo modesta rispetto alla gravità del problema, che in futuro sarà reso ancora più rilevante dall'ingresso nella Ue di Cipro e Malta. Una misura preferibile sarebbe stata quella, più radicale, di vietare la quotazione di società che abbiano controllate o controllanti in paradisi fiscali.
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