demagogia e risparmio



Da l'Unità del 09.02.2004

 Demagogia e risparmio

di Ferdinando Targetti

Il consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge di riforma del
sistema di tutela del risparmio. Già dal titolo c'è aria di demagogia: c'è
troppo e c'è troppo poco. C'è troppo perché sembrerebbe che con la riforma
si disciplina tutta la materia oggetto dell'articolo 47 primo comma della
Costituzione: la tutela del risparmio come bene pubblico. L'obiettivo
iniziale del ministro Tremonti era quello di istituire un'unica Autorità a
tutela del risparmio, ma il risparmio (e limitiamoci solo a quello delle
famiglie) ha una natura troppo eterogenea per richiedere un unico tipo di
tutela. Le famiglie possono investire il loro risparmio in attività reali
(ad esempio case) o finanziarie e queste ultime possono consistere in titoli
più o meno rischiosi (azioni/obbligazioni/fondi comuni), più o meno liquidi
(moneta, depositi bancari, obbligazioni a breve o a lungo termine) eccetera.
Pensare ad un'Autorità per la tutela diretta del risparmio è un non senso.
Una flessione del valore degli immobili o un crollo di Borsa o, per altro
verso, l'inflazione sono tutti eventi che erodono il risparmio. In un
sistema capitalistico sono eventi inevitabili anche se la politica monetaria
e la politica dei redditi possono ridurre la loro eventualità e le loro
conseguenze. Ciò a cui ci si deve invece attenere è la tutela indiretta del
risparmio, ottenuta attraverso la regolamentazione e la supervisione degli
intermediari.
Dopo gli anni '30 in Italia il legislatore impose una separazione tra
aziende bancarie e industriali, tra banche commerciali (che erogavano
credito) e banche di investimento (che collocavano titoli presso il
risparmiatore), tra banche e assicurazioni, eccetera. Gli organismi di
regolamentazione e supervisione erano quindi distinti e specializzati per
soggetto. Con gli anni la normativa si è modificata e dagli anni Ottanta il
sistema finanziario italiano si è trasformato in un sistema nel quale un
ruolo centrale è coperto dalla banca universale, che svolge tutte le
funzioni prima attuate da intermediari diversi. Autorità specializzate per
soggetto sono divenute quindi inadatte e obsolete. Nello slang si dice che
si deve passare da un modello basato sui soggetti ad un modello basato sulle
funzioni. Le funzioni sono prevalentemente tre e rispondono ai tre beni
pubblici che necessitano tutela: stabilità, trasparenza/correttezza nei
comportamenti e concorrenza. La stabilità è riferita al sistema delle banche
ed è necessaria per evitare perdite degli investimenti in moneta (i
depositi); la trasparenza è riferita ad imprese e a società finanziarie che
fanno appello al pubblico risparmio direttamente o attraverso la Borsa
valori ed è necessaria per evitare che i risparmiatori perdano la fiducia in
coloro che, pur con qualche rischio, ma noto e che grava su tutti allo steso
modo, gestiscono i loro risparmi; la concorrenzialità è riferita a tutto il
sistema delle imprese creditizie e finanziarie ed è necessaria affinché le
rendite della gestione di queste attività vadano il più possibile nelle
tasche dei consumatori. Siccome queste finalità a volte possono essere in
contrasto una con l'altra è opportuno che non sia un'unica Autorità a
gestirle congiuntamente, ma che siano gestite da tre Autorità, ciascuna che
operi in modo trasparente per dette finalità. Il disegno di legge dei Ds ha
recepito questa impostazione, distinguendo tre Autorità ciascuna con una sua
funzione propria: la Banca d'Italia responsabile della stabilità, la Consob
della trasparenza e l'Antitrust della concorrenza. Il disegno governativo
invece è un ibrido, frutto di compromessi tra fazioni all'interno della
maggioranza, perché dopo aver mirato a costituire un'unica Autorità, come
nel disegno originale di Tremonti, è giunta ad una articolazione addirittura
su cinque soggetti: tre per funzioni - Banca d'Italia, Antitrust e la nuova
SuperConsob - e due per soggetti: l'Isvap (assicurazioni) e la Covip (fondi
pensione).
La nuova «Autorità per la tutela del risparmio», in buona sostanza, non è
nient'altro che la vecchia Consob con funzioni allargate per ciò che
riguarda l'emissione di obbligazioni bancarie (che non vanno confuse con i
bond tipo Cirio o Parmalat venduti dalle banche per i quali la vigilanza già
spettava alla Consob). Sul terreno delle emissioni obbligazionarie il
governo non ha purtroppo ravvisato l'opportunità di fare obbligo alla banca
emittente di tenere per un certo periodo di tempo le obbligazioni nel
proprio portafoglio prima di piazzarle sul mercato e ridurre così il rischio
dello scaricamento dell'onere dell'insolvenza dell'emittente dalle banche al
pubblico. Circa l'autonomia della nuova SuperConsob il disegno di legge
approvato modifica per fortuna l'impostazione iniziale e fa propria la
richiesta di alcuni partiti del centrodestra e dei partiti del
centrosinistra di mantenere, per l'elezione degli organi di governo, il
vincolo della maggioranza qualificata, di due terzi del Parlamento, anche
dopo il terzo scrutinio.
Un altro importante aspetto riguarda la sovrapposizione di competenze tra
Autorità. Questo è un nodo analitico e politico complesso. Un sistema
bancario-finanziario fortemente accentrato, può essere stabile e magari
anche efficiente, ma con poca concorrenza, per converso un sistema con tante
piccole banche può presentare un alto tasso di concorrenzialità, ma essere
inefficiente e instabile. Una struttura di tante piccole banche locali può
offrire un servizio costoso (poco concorrenziale), ma attento alle esigenze
delle piccole imprese, se queste banche nazionali piccole e medie fossero
invece acquistate da grossi gruppi esteri il sistema potrebbe guadagnare in
efficienza, ma perdere in offerta di servizi alle imprese locali. E gli
esempi possono moltiplicarsi. Il punto è che la separazione tra le funzioni
delle Autorità non può essere netta, in particolare tra Banca d'Italia e
Antitrust. Sulla questione della concorrenza entrambe le Autorità dovrebbero
essere coinvolte, ma per evitare delle situazioni di impasse decisionale
dovrebbero essere definiti a priori i terreni su cui una delle due Autorità
ha l'ultima parola. La politica della concorrenza si esercita su tre
livelli: intese, abuso della posizione dominante, concentrazione. Sui primi
due terreni prevale l'aspetto concorrenziale, sull'ultimo quello della
stabilità e di conseguenza ne dovrebbe derivare la prevalenza dell'Antitrust
nel primo e della Banca d'Italia nel secondo caso. Il disegno di legge del
Governo invece non scioglie questo nodo e lascia al Comitato
interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr) la funzione
dell'arbitro. Nel disegno di legge del governo il ruolo di questo comitato è
accresciuto prevedendo che dia direttive generali in tema di vigilanza,
mentre nel disegno di legge dei Ds il Cicr è convenientemente soppresso. L'
esecutivo dovrebbe infatti stare lontano dal disegno dell'architettura e dal
funzionamento del sistema creditizio, mentre invece un ruolo più rilevante
potrebbe essere assunto dal Parlamento quale sede ove le Autorità espongano
la propria politica e diano conto del loro operato rispetto alle finalità
enunciate (la cosiddetta accountability, cioè trasparenza dei propositi).
Si diceva che il disegno di legge vuole troppo e troppo poco. E' mia
opinione che propone troppo poco sul terreno del governo societario,
malgrado sia proprio questo il terreno sul quale si sono rilevati i buchi
normativi più consistenti, che hanno consentito che avessero luogo le
maxitruffe della Cirio e della Parmalat. Il bene pubblico che, come si
diceva più sopra, va tutelato dalla legge, è quello della
trasparenza/correttezza dei comportamenti. L'obiettivo di un corretto
«governo societario» lo si consegue sia con le norme formulate dalla Consob,
sia con specifiche norme di legge, volte a vietare e sanzionare
comportamenti scorretti e conflitti di interesse. Su questo terreno il
governo chiede una delega per affrontare il problema dei revisori dei conti,
al fine di stabilire norme che vietino a quest'ultimi di svolgere, a favore
dei clienti (e cioè delle società revisionate), funzioni diverse da quelle
della revisione, come la consulenza. Il proposito è senz'altro
condivisibile, ma sul terreno del governo societario molto di più si poteva
proporre, ed esempi di misure precise ed efficaci si trovano nel disegno di
legge dei Ds, soprattutto in tema di amministratori ove si prevede di
separare le funzioni del presidente da quelle della direzione generale e che
i soci di minoranza possano nominare loro rappresentanti nel Consiglio di
Amministrazione e la maggioranza del Collegio sindacale.
Circa le sanzioni il disegno di legge del governo prevede pene severe per
chi generi «nocumento al risparmio». L'abuso delle informazioni riservate
(insider trading), l'aggiottaggio (alterazione dei prezzi di mercato), il
falso in bilancio e le false comunicazioni sociali sono reati specifici e
definiti contro il risparmio che vanno perseguiti, ma, da quello che si
diceva in apertura dell'articolo, un reato generico contro il risparmio non
ha senso: è un reato imprecisato e di forte sapore propagandistico. Molto
più efficace sarebbe stato rafforzare le pene del falso in bilancio, tale da
renderlo un reato realmente perseguibile e non soggetto a sicura
prescrizione. Un'altra efficace tutela del risparmiatore a livello
giudiziario potrebbe essere offerta dalla possibilità di promuovere un'
azione legale collettiva (la class action in vigore negli Stati Uniti) da
parte dei risparmiatori a tutela dei propri diritti.
Infine il disegno di legge prevede misure sui centri offshore: per le
società italiane sarà obbligatorio allegare al proprio bilancio quello della
società controllata con sede legale in uno dei paradisi fiscali. Questa
misura è troppo modesta rispetto alla gravità del problema, che in futuro
sarà reso ancora più rilevante dall'ingresso nella Ue di Cipro e Malta. Una
misura preferibile sarebbe stata quella, più radicale, di vietare la
quotazione di società che abbiano controllate o controllanti in paradisi
fiscali.