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strategie di politica energetica
- Subject: strategie di politica energetica
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 5 Mar 2004 07:02:27 +0100
da boiler.it mercoledi 3 marzo 2004 Energia Un progetto per liberare gli Usa dal petrolio di PETER SCHWARTZ e DOUG RANDALL QUARANT'ANNI FA, l'America ha dovuto affrontare un'enorme minaccia per la sua sicurezza. L'Unione Sovietica, nel 1957, aveva lanciato il primo satellite artificiale. E il 12 aprile 1961 l'astronauta russo Yuri Gagarin, a bordo del Vostok 1, era stato il primo uomo ad andare nello spazio. Il presidente Kennedy capì allora che la possibilità o meno di esplorare l'universo avrebbe potuto fare la differenza tra una nazione che sapeva difendersi e una, al contrario, in completa balia dei propri nemici. In un discorso al Congresso del maggio 1961, egli presentò quindi il programma Apollo, un piano decennale di investimenti federali che avrebbe permesso agli Stati Uniti «di mandare un uomo sulla Luna, e di farlo tornare a casa sano e salvo». Kennedy annunciò gli obiettivi, il Congresso reperì i fondi necessari, ingegneri e scienziati studiarono le fasi del lancio, e - detto fatto - otto anni dopo Neil Armstrong posò piede sulla superficie del nostro satellite. Oggi l'America deve affrontare una minaccia altrettanto terribile: la dipendenza dal petrolio straniero. Proprio come Kennedy rispose all'affermazione di superiorità spaziale sovietica con un'iniziativa estremamente audace, così ora il presidente Bush deve reagire allo strapotere petrolifero estero facendo del raggiungimento dell'indipendenza energetica una priorità politica. In realtà egli si è già un po' interessato alla questione promuovendo, nel suo discorso di gennaio sullo Stato dell'Unione, le celle a combustibile. Ma il finanziamento di 1,2 miliardi di dollari da lui proposto in quell'occasione è un'inezia rispetto alla somma di cui ci sarebbe effettivamente bisogno. Solo un programma stile Apollo volto a sostituire totalmente l'utilizzo degli idrocarburi con quello dell'idrogeno potrebbe liberare gli Stati Uniti dalla loro fame di oro nero, facendone in tutto e per tutto dei leader mondiali. Un progetto mirato In passato, la dipendenza americana dal petrolio era in primo luogo un problema ecologico. Gli idrocarburi sporcano: inquinano l'aria e l'acqua, modificano gli equilibri climatici, danneggiano la biodiversità e deturpano i panorami costieri. Da questo punto di vista, la questione può anche assumere una veste politica, perché si tratta di contrapporre la salvaguardia della tutela ambientale al semplice interesse economico. Ma dopo la tragedia dell'11 settembre, tutto è cambiato. Nelle macerie del World Trade Center è rimasto sepolto anche il mito di un'America capace di sostenere i terribili contraccolpi delle politiche petrolifere internazionali. La fame occidentale di greggio ha avuto conseguenze drammatiche: crisi economiche come quella degli anni Settanta, operazioni militari come la Tempesta nel Deserto, rapporti di tensione con alleati meno avidi di energia e, da ultima, la minaccia del terrorismo sulla soglia di casa. Quando George W. Bush è arrivato a Washington, le sue origini texane ne facevano un leader particolarmente interessato alle transazioni petrolifere. Dopo gli attentati alle due Torri, è diventato il presidente della sicurezza nazionale: il suo sogno di salvare gli Stati Uniti da qualsiasi pericolo ha oscurato le sue attitudini imprenditoriali. Non ha capito fino in fondo che, se usasse la sua influenza per promuovere l'idrogeno, molto probabilmente, più che indispettire le grandi corporation, darebbe nuova linfa a un settore ormai moribondo e, allo stesso tempo, si conquisterebbe il consenso degli ambientalisti, che finora si sono sentiti abbandonati dalla Casa Bianca. Secondo la logica, ci sono due modi per ridurre la dipendenza americana dal petrolio straniero: aumentare la produzione in patria o far diminuire la domanda. Al di fuori di queste due alternative, il paese resterebbe schiavo dei produttori d'oltreoceano. Pensate allo sfortunato progetto di trivellazione dell'Arctic National Wildlife Refuge. A cause di varie controversie ed esitazioni politiche, la produttività di quell'area, pur incrementando le risorse nazionali, probabilmente non riuscirà a compensare i cali di rendimento degli altri bacini petroliferi del paese. Per quanto riguarda la riduzione della domanda, le misure disponibili sono poche e inefficaci. Le automobili che si vedono per strada sono in media vecchie di nove anni, quindi i progressi energetici di oggi di certo non si vedranno domani. Oltretutto, il dinamismo dell'economia americana dipende dall'energia, perché sviluppo e consumi sono indissolubilmente legati. C'è un solo modo per liberare gli Stati Uniti dall'influenza nefasta del petrolio, ed è quello di trovare una fonte di energia alternativa, disponibile da subito a livello nazionale. Esaminando le varie possibilità - carbone, gas naturali, vento, acqua, sole, nucleare - ce n'è solo una che potrebbe affermarsi entro dieci anni come valida alternativa: l'idrogeno. Questo elemento chimico immagazzina l'energia meglio delle comuni batterie, brucia nelle celle a combustibile due volte meglio della benzina in un motore a scoppio (con un dispendio energetico inferiore a quello necessario per produrlo) e lascia come residuo solo acqua. È abbondante, è pulito, e - questo è il fattore critico - può far camminare le macchine. Come nel caso del primo uomo nello spazio, nel 1961, quella più idonea è una soluzione certificata e semplice, un'innovazione tecnologica già pronta per essere utilizzata. E di questo dobbiamo ringraziare proprio il programma Apollo, che ha incentivato la progettazione delle prime celle a combustibile. Molti considerano inevitabile il passaggio da un'economia basata sui combustibili fossili a una fondata sull'idrogeno. Ma una prospettiva del genere presuppone delle tendenze di mercato che solo ora cominciano a delinearsi. Attualmente, un impianto a celle a combustibile costa cento volte di più del vecchio motore a scoppio, e per ridurre i prezzi sarà necessario un duro lavoro da parte dei settori Ricerca & Sviluppo. Oltretutto, dall'ipotesi delle macchine a idrogeno nasce un circolo vizioso: in che modo potrà diffondersi in tutto il paese un'infrastruttura di distributori ad hoc, quando questi veicoli ancora non esistono e ci metteranno decenni per raggiungere una massa critica? Perfino i più ottimisti al riguardo prevedono un'adozione su larga scala di queste automobili non prima di altri trenta, se non cinquant'anni. Un'attesa decisamente troppo lunga. Sperare in un programma decennale alla Kennedy può sembrare assurdo, ma è esattamente lo stimolo che ci vuole per scuotere gli Stati Uniti dall'indolenza dimostrata in materia di energia. Dieci anni sono un periodo sufficiente per compiere dei progressi significativi, ma allo stesso tempo abbastanza breve da consentire alla maggior parte degli americani di oggi di vedere con i loro occhi i frutti dell'iniziativa. La nota positiva è che i problemi tecnici riguardano gli ingegneri e non gli scienziati. Questo significa che il denaro può risolverli. Quanti soldi ci vogliono? All'incirca la stessa cifra che è servita a mandare un uomo sulla Luna: cento miliardi dei dollari attuali. Con un investimento del genere, entro dieci anni la nazione potrebbe spostare l'ago della bilancia, dai produttori di petrolio stranieri a i consumatori americani. Entro il 2013, un terzo delle macchine vendute potrebbe avere un'alimentazione a idrogeno, il quindici per cento delle stazioni di servizio del paese potrebbero distribuirlo, e gli Stati Uniti potrebbero ricavare da fonti domestiche più della metà del quantitativo energetico necessario: un significativo passo verso l'indipendenza. Manca solo l'impegno. Sarebbe facile - troppo facile - sperperare cento miliardi di dollari. Per questo motivo la Casa Bianca ha bisogno di un piano. La strategia ideale dovrebbe appoggiarsi alle infrastrutture già esistenti e spingere la popolazione al consumo di idrogeno, rimuovendo contemporaneamente gli ostacoli che essa potrebbe incontrare facendolo. Gli obiettivi fondamentali sono cinque: 1. Risolvere il problema del serbatoio per l'idrogeno. 2. Incentivare la produzione di massa di veicoli a celle a combustibile. 3. Predisporre la rete di distributori del paese al rifornimento di idrogeno. 4. Incrementare la produzione di idrogeno. 5. Progettare una campagna di pubblica promozione dell'economia dell'idrogeno. Perseguendo contemporaneamente tutti e cinque questi obiettivi, il governo potrebbe creare un ciclo automatico di domanda e offerta, in grado di svilupparsi nel prossimo decennio e di soppiantare del tutto il mercato energetico attuale in quelli successivi. Invece di aspettare che un'infrastruttura dell'idrogeno nasca dal nulla, l'America dovrebbe iniziare subito a consolidare il nuovo modello, convertendo le vecchie aziende votate al credo dell'oro nero. Una volta avviato il meccanismo, ci sarà tutto il tempo per creare un'architettura idrogeno-centrica più pulita e più efficiente. 1. La questione del serbatoio LA CELLA A COMBUSTIBILE, una batteria con un vano sostituibile di immagazzinamento dell'energia, non è una novità. L'idea di base c'era già alla metà dell'Ottocento, e il primo prototipo con membrana scambia-protoni - il genere più adatto a essere impiegato nelle automobili - è stato costruito dalla General Electric all'inizio degli anni Sessanta. Al contrario del motore a scoppio, in cui il gas esplode e muove i pistoni, un motore a celle a combustibile strappa elettroni all'idrogeno e sfrutta la corrente risultante per alimentare il veicolo. Poi combina i restanti ioni idrogeno (protoni) con l'ossigeno, formando acqua come unico residuo. Un motore elettrico ibrido invece è un'altra cosa ancora: un motore a benzina che alimenta una batteria. Nel 1993, la Ballard Power Systems, azienda canadese produttrice di celle a combustibile, iniziò a usare la nuova tecnologia negli autobus, gli unici in grado di sostenere l'ingombro eccessivo dei motori a idrogeno e dei serbatoi di prima generazione. Da allora le apparecchiature sono diventate più piccole, ma riuscire a contenere materiale sufficiente per coprire distanze di poco inferiori agli ottocento chilometri - la media che i consumatori di solito si aspettano - rimane una sfida dura. Per ovviare a questo inconveniente, l'amministrazione Bush dovrebbe spendere quindici miliardi di dollari. Il problema principale è decidere se trasportare il combustibile allo stato liquido, solido o gassoso, perché ognuna di queste alternative ha dei pro e dei contro. Finché non verrà stabilito uno standard, il mercato non potrà passare alla produzione di massa o alla messa a punto di una rete capillare di distribuzione. L'ipotesi più semplice è quella dell'idrogeno gassoso. Il problema è che ci vuole molto spazio, quindi il gas dovrebbe venire compresso e in questo caso ci vorrebbe un serbatoio capace di sopportare una pressione estremamente elevata. Per percorrere ottocento chilometri, si tratterebbe di una pressione cinquanta volte superiore a quella che agisce sui cilindri del comune motore a scoppio, senza contare che dovrebbe essere prevista una tolleranza almeno doppia, per evitare con certezza l'eventualità di un'esplosione in caso di incidente. Per trovare materiali abbastanza resistenti, ma allo stesso tempo leggeri ed economici in vista della produzione di massa, ci vorrebbero anni e anni di ulteriori ricerche. Ma anche l'idrogeno liquido ha dei pro e dei contro. Esercita molta meno pressione sul serbatoio, ma dovrebbe essere raffreddato alla pompa fino a una temperatura di -423 gradi Fahrenheit e mantenuto tale durante il trasporto. Questo richiederebbe un significativo dispendio di energia e isolare il vano-combustibile ne moltiplicherebbe l'ingombro. Per di più, anche nel migliore dei casi, quotidianamente circa il quatto per cento del liquido evaporerebbe, creando una pressione che sarebbe possibile eliminare solo rilasciando il vapore. Risultato: una macchina lasciata due settimane nel parcheggio di un aereoporto perderebbe metà del suo carburante. Gli scienziati devono ancora trovare un modo per aggirare l'ostacolo. A lungo termine, l'ipotesi più promettente è quella di riempire il serbatoio di un materiale solido che assorba idrogeno come una spugna a fasi alterne per poi rilasciarlo durante la guida. Al momento, le alternative possibili sono l'idruro di litio, il boroidruro di sodio e una serie di nuovi materiali nanotech ultraporosi. Al contrario dell'idrogeno gassoso, queste sostanze possono immagazzinare un enorme quantitativo energetico in uno spazio ristretto di una forma qualsiasi. E, al contrario dell'idrogeno liquido, si possono conservare a temperatura ambiente. D'altro canto, per inserire l'idrogeno in un mezzo solido c'è bisogno di energia, e in alcuni casi di temperature molto elevate per farlo riespellere, percui ci sarebbe bisogno di una straordinaria efficienza. Oltretutto, per riempire il serbatoio potrebbe volerci molto più tempo che per pompare la benzina. Ma i soldi del governo potrebbero colmare il divario, portando dagli esperimenti attuali a una soluzione effettivamente praticabile. 2. Lo stimolo alla produzione di massa delle nuove automobili UNA VOLTA RISOLTO il problema dell'immagazzinamento, i produttori di automobili dovrebbero essere più incentivati alla produzione di massa delle macchine a celle a combustibile. A Detroit ci si sta già muovendo in questa direzione. Finora la Daimler Chrysler, la Ford e la General Motors hanno speso circa due miliardi di dollari nella progettazione di questi veicoli (automobili, autobus, fuoristrada), e i primi prodotti dovrebbero essere messi in vendita quest'anno. Il presidente della Ford, William Clay Ford Jr., ha recentemente dichiarato che le celle a combustibile «metteranno finalmente un punto al regno secolare del motore a scoppio». Per essere certi che il passaggio da un regime all'altro non richieda altri cent'anni, però, l'amministrazione Bush dovrà stanziare dieci miliardi di dollari per permettere alle aziende di produrre celle a idrogeno velocemente ed economicamente, o da sole (come la General Motors) o stipulando contratti con produttori di cellule approvati dal governo. I finanziamenti dovrebbero essere vincolati all'adesione delle società a un rigoroso programma di introduzione dei nuovi veicoli nel mercato (coordinato, ovviamente, con un piano di installazione di appositi distributori). Una parte del progetto dovrebbe per forza di cose riferirsi alle iniziative promozionali. Detroit si troverà ad affrontare lo scoglio dei consumatori, e dovrà sfruttare al massimo la sua divisione marketing per convincere la gente che le macchine a idrogeno non solo sono convenienti, ma anche desiderabili. Non è un sogno. Della Prius della Toyota, la prima automobile a motore ibrido gas-elettrico, dal suo debutto nel 1997 sono stati venduti più di centomila esemplari, e questa è la dimostrazione che il pubblico è pronto ad accogliere un mezzo di trasporto totalmente nuovo. 3. La conversione dell'infrastruttura esistente OVVIAMENTE, nessuno tirerà fuori dal garage una macchina a idrogeno senza essere sicuro di poter trovare del combustibile quando e dove gli farà comodo. Ecco perché l'amministrazione Bush deve puntare all'infrastruttura oltre che alla produzione dei veicoli. Così come le aziende automobilistiche, anche i produttori di petrolio hanno fatto dei passi avanti in direzione di uno snellimento del settore. Negli ultimi quindici anni, grandi corporation come la Shell e la Exxon hanno rinunciato al proprio strapotere a favore di una dozzina di imprese statali dislocate in paesi come il Venezuela, il Brasile e la Norvegia, preferendo concentrarsi sul valore aggiunto della propria offerta, trasfromando il greggio in benzina per poi distribuirlo e venderlo attraverso le stazioni di servizio. Queste aziende sanno bene che potrebbero avere un ruolo altrettanto significativo anche in un'economia dell'idrogeno. Ecco perché la Shell e la Bp hanno investito centinaia di milioni di dollari nelle tecnologie di produzione e immagazzinamento di questo nuovo combustibile, e la Bp, ex British Petroleum ("Petrolio Inglese"), si è rinominata Beyond Petroleum ("Oltre il petrolio"). Le grandi società petrolifere hanno già iniziato a estrarre idrogeno dalla benzina a scopo industriale in nove raffinerie statunitensi. Con un minimo appoggio, questi impianti potrebbero diventare l'embrione di una futura rete di distribuzione del nuovo combustibile. La conversione delle stazioni di rifornimento costerà miliardi di dollari, ma la spesa verrà ripartita su un periodo di parecchi decenni. Adattare al nuovo schema operativo gruppi circoscritti di punti di distribuzione situati in prossimità di raffinerie d'idrogeno e di centri abitati la cui popolazione utilizzi veicoli con questo tipo di alimentazione, costerà relativamente poco. All'inizio le compagnie petrolifere potrebbero provvedere al trasporto dell'idrogeno dagli impianti di produzione alle stazioni di servizio. Con la progressiva diffusione delle automobili a celle a combustibile, i punti di rifornimento non serviti dalle raffinerie potrebbero installare dei trasformatori per estrarre idrogeno dalla benzina o dall'acqua tramite elettricità. A lungo termine, le stazioni convertite potrebbero garantire la maggior parte del quantitativo di combustibile necessario, o grazie all'aiuto degli impianti su larga scala o attraverso apparecchiature di più ampia diffusione. Il governo dovrebbe stanziare dieci miliardi di dollari per creare degli incentivi (per esempio dei sistemi di prestiti a interessi zero) per stimolare le compagnie petrolifere a contribuire alla costruzione della nuova infrastruttura energetica nazionale. Si potrebbe anche garantire loro dai cinque ai dieci anni di monopolio. La diffusione dell'alimentazione a idrogeno potrebbe anche presentare dei vantaggi per le società di trasporto disposte a collaudare i nuovi veicoli. La FedEx e la Ups hanno già in programma, per i prossimi cinque anni, di adottare mezzi a celle a combustibile. L'amministrazione Bush dovrebbe sfruttare questa sinergia tra pionieri dell'idrogeno e interesse nazionale, offrendo agevolazioni fiscali per dieci miliardi di dollari alle aziende che accettino di utilizzare macchine alimentate dal nuovo combustibile. Inoltre, nelle regioni servite da un impianto di raffineria, bisognerebbe stanziare altri cinque miliardi di dollari per garantire la nuova dotazione energetica alle volanti della polizia, alle ambulanze, ai camion della raccolta rifiuti e a tutti i veicoli municipali in genere. Un altro settore da non trascurare è anche quello militare, visto che il sessanta per cento dei suoi budget logistici è destinato al trasporto del carburante. L'esigenza di una conversione delle infrastrutture che accompagni la diffusione dei nuovi veicoli richiama alla mente un'altra iniziativa stile Apollo: il National Defense Highway Act di Eisenhower. Durante la seconda Guerra mondiale, Ike, allora ufficiale, aveva faticato a spostare le truppe nel territorio statunitense, rendendosi conto di come le autostrade tedesche costituissero per la Germania un vantaggio militare. Una volta diventato presidente, stanziò trecento miliardi di dollari, ottenuti attraverso l'istituzione di una tassa sul gas, per la costruzione di un'analoga infrastruttura anche in America. L'enorme successo di quel progetto ha dimostrato come l'interesse della sicurezza nazionale possa incentivare l'attuazione di programmi federali su larga scala. 4. L'incremento della produzione di idrogeno DA DOVE RICAVEREMO L'IDROGENO? Paradossalmente, anche se l'idrogeno è l'elemento più abbondante in natura, raramente si presenta in forma pura. Dev'essere estratto da sostanze che lo contengono, per esempio dai combustibili fossili o dall'acqua. Il problema è che questo processo di estrazione richiede un certo dispendio energetico. Al momento, il metodo più economico è la riconversione del vapore, un sistema in cui alcuni gas naturali reagiscono chimicamente con del vapore, producendo idrogeno e anidride carbonica (un gas serra). Forse quindi sarebbe preferibile usare risorse senza carbonio: energia solare, eolica o idrica, in grado per elettrolisi di scomporre l'acqua in idrogeno e ossigeno. L'idrogeno in questo modo risulterebbe utile nell'affermazione delle rinnovabili, fungendo da sistema di immagazzinamento dei limitati quantitativi di energia prodotti da tali fonti, soprattutto dall'eolico che si presta particolarmente a un utilizzo di questo genere. Iniziative di sviluppo a lungo termine di questo tipo richiederebbero un investimento iniziale di dieci miliardi di dollari. Questo incentiva per ora il ricorso a una fonte di energia pulita, efficiente e per molti versi trascurata: il nucleare. I generatori di questo tipo sono una forma di tecnologia da sfruttare almeno quanto le celle a combustibile. Al contario dei reattori del passato, quelli moderni, modulari e a letto di ghiaia, come quello di Koeberg, in Sudafrica, non si surriscaldano al punto da rischiare la fusione. La struttura di Koeberg utilizza delle piccole sfere di uranio rivestite di grafite invece delle bacchette di plutonio, e il raffreddamento avviene tramite elio e non tramite acqua. Il nuovo sistema è talmente efficace da costuire una valida alternativa al carbone e al petrolio. Tuttavia, anche il settore del nucleare, per poter arrecare dei vantaggi alla rivoluzione dell'idrogeno, ha urgente bisogno di ulteriori ricerche sulle modalità di produzione come sullo smaltimento delle scorie, il che richiederebbe un finanziamento di altri dieci miliardi di dollari. L'opzione del nucleare potrebbe servire da tappabuchi, permettendo all'America di raggiungere comunque un'indipendenza energetica, in attesa che i settori dell'eolico, del solare e dell'idrico maturino a sufficienza. Posti di fronte alla scelta tra i combustibili fossili e i reattori nucleari come fonte di alimentazione della nuova economia dell'idrogeno, perfino i militanti di Greenpeace dovrebbero optare per gli impianti del secondo tipo, che rappresentano il male minore. Del resto, tutte le forme di investimento prevedono una forte spesa, quindi forse sarebbe meglio ridurre la rosa delle alternative e far confluire il denaro in quella che è davvero la discriminante fondamentale del passaggio dal petrolio all'idrogeno: l'infrastruttura elettrica. Entro dieci anni, i fondi dovrebbero poter essere indirizzati all'installazione delle connessioni tra pompe di idrogeno e stazioni di alimentazione. 5. La campagna di promozione UNA SITUAZIONE come quella attuale, caratterizzata dal costante aggravarsi del debito statale e dal ristagno dell'economia, potrebbe sembrare un momento non molto adatto per decidere di investire tutti questi soldi. Siamo onesti: anche rivestita dell'aurea della sicurezza nazionale, l'ipotesi di una spesa da cento miliardi di dollari non è facile da digerire. Ecco perché l'impegno dell'amministrazione Bush nel promuovere l'economia dell'idrogeno dovrà essere ancora più vigoroso di quello con cui essa ha invitato il paese alla guerra contro l'Iraq. Dal punto di vista finanziario, non si tratta di un caso disperato. Cento miliardi di dollari corrispondono a meno di un quarto dell'investimento annuale previsto dal governo federale per i prossimi cinque anni nel settore della difesa. Aumentare di cinque centesimi a gallone l'importo della tassa sui consumi di gasolio - una cifra peraltro inferiore alle oscillazioni stagionali del prezzo del combustibile - potrebbe coprire buona parte della spesa. Per quanto riguarda il resto, invece, ci si potrebbe affidare a delle "obbligazioni H", che garantirebbero ai cittadini la possibilità di prendere parte alla causa e nello stesso tempo proporrebbero i consueti vantaggi connessi a ogni valido investimento. Come testimonial potrebbero essere utilizzati dei personaggi famosi, le obbligazioni si potrebbero vendere attraverso i boyscout, e il pagamento potrebbe avvenire tramite detrazioni dalla busta paga. Una tattica che si è rivelata particolarmente utile, allora come "tassa per la libertà", durante le Guerre mondiali. Per convincere il Congresso ci vorrà tutta l'abilità di cui l'amministrazione sarà capace, anche se alcuni stati stanno già contribuendo al programma con crediti d'imposta, finanziamenti alla ricerca e altre iniziative volte a creare posti di lavoro nel settore della produzione delle celle a combustibile. «Abbiamo intenzione di collaborare con il governo e le industrie federali per fare della California un leader dell'idrogeno», dichiara Alan Lloyd, presidente dell'Air Resources Board, succursale dell'Epa in uno stato in cui sulla maggior parte delle macchine fa bella mostra di sé l'adesivo con la scritta "Salviamo la Terra" (a Los Angeles il primo veicolo Honda a celle a combustibile è stato acquistato già lo scorso dicembre). Le regioni che incoraggeranno lo sviluppo delle società dell'idrogeno verranno premiate con agevolazioni fiscali nella vendita del combustibile all'Europa e all'Asia. Ancor prima di convincere il Congresso, però, il presidente dovrà riuscire a conquistarsi il favore delle industrie petrolifere e dei fabbricanti di automobili. In fin dei conti, l'idrogeno costituisce una minaccia per loro, ma l'infrastruttura distributiva e le capacità necessarie a diffondere la nuova energia nel mercato sono nelle loro mani. La prospettiva degli imminenti e massicci investimenti federali agevolerebbe il tutto: al momento il problema principale per queste industrie è quello del calo dei profitti e del contemporaneo aumento dei costi. Il denaro potrebbe dar loro molto più che una semplice consolazione. Potrebbe servire da utile indicazione riguardo alla strada da seguire in futuro, trasformando gli ostacoli che si frappongono all'affermazione dell'idrogeno in presupposti per il suo trionfo. Le compagnie petrolifere e le società automobilistiche sono già consapevoli della necessità di svincolare i propri modelli di business dal greggio. Secondo la maggior parte dei dati più recenti, la crescita del settore petrolifero mondiale si è praticamente arrestata. Grazie alle nuove scoperte, le riserve del pianeta sono aumentate del 56 per cento tra il 1980 e il 1990, ma solo dell'1,4 per cento tra il 1990 e il 2000. Alcuni geologi ritengono che la produzione di oro nero arriverà al declino totale entro il 2006, altri posticipano i termini al 2040. Per di più, è ormai chiaro che il consumo di petrolio è almeno in parte responsabile del riscaldamento globale, il che alimenta sempre più la richiesta di forme di energia alternative. Non dovrebbe volerci molto a convincere le industrie automobilistiche e petrolifere del fatto che la soluzione ideale è quella di adattarsi all'idrogeno al più presto con l'aiuto degli investimenti federali, invece di essere costretti a farlo dopo e senza alcun sostegno economico esterno. Nei prossimi dieci anni, il mercato più importante sarà, ovviamente, quello statunitense. L'amministrazione dovrà stanziare venticinque miliardi di dollari per convincere gli americani a comprare macchine a celle a combustibile e dunque a sposare definitivamente la tecnologia dell'idrogeno. Questo budget servirebbe a garantire duemila dollari di sconto all'acquisto di ogni veicolo, nonché altre agevolazioni come i parcheggi preferenziali, le autostrade senza pedaggio, l'immatricolazione gratuita. E almeno un miliardo di dollari l'anno - l'equivalente dell'investimento pubblicitario della Nike nel 2001 - dovrebbe essere destinato alle campagne di informazione, ai manifesti, alle conferenze, ai concorsi, e a tutti gli altri mezzi di promozione in grado di veicolare il messaggio che raggiungere l'indipendenza energetica attraverso l'idrogeno è un dovere di ogni cittadino. È lecito chiedersi se un'iniziativa governativa, per quanto decisiva in termini di sicurezza nazionale, possa riuscire a determinare una trasformazione così radicale. Altri programmi federali del genere non hanno lasciato traccia: i tentativi passati di sponsorizzazione dell'idrogeno stesso - dopo le crisi petrolifere del 1973, 1978 e 1980, per esempio - non hanno ottenuto alcun riscontro. Ma quegli insuccessi erano legati principalmente al fatto che gli Stati Uniti continuavano ad avere accesso al petrolio a prezzi relativamente bassi. L'autonomia energetica cominciò a diventare una priorità quando l'Opec alzò le tariffe dai tre ai dodici dollari per barile tra il 1973 e il 1975, ma appena la crisi passò e i costi calarono di nuovo, il trend ebbe subito fine. Risultato: anche la disponibilità politica a prendere decisioni forti in campo energetico svanì. Oggi il pericolo per la sicurezza nazionale impedisce alle istituzioni di rimanere inerti: meglio fare ora delle scelte difficili che costringere i nostri figli, un domani, a combattere per il petrolio. Oltretutto, le iniziative passate erano ostacolate anche dall'arretratezza delle tecnologie di allora, mentre adesso le celle a combustibile sono arrivate a un livello di evoluzione in cui l'idrogeno è ormai un'alternativa assolutamente valida al petrolio. La Coleman recentemente ha lanciato sul mercato il primo prodotto commerciale che utilizza questo tipo di alimentazione: un generatore di corrente d'emergenza, per uso domestico. Gli autobus a idrogeno già circolano a Toronto e Chicago, e presto saranno in funzione anche a Londra, Madrid e Amburgo. Dal canto suo, l'Islanda ha intrapreso un ambizioso programma di conversione dei suoi trasporti pubblici e del suo sistema di pescherecci alla nuova energia. Il segnale più incoraggiante è da riscontrare negli investimenti delle compagnie petrolifere e automobilistiche, per non parlare del crescente interesse in ambito finanziario. Se il presidente Bush riuscirà ad attuare questo programma, o un'altra iniziativa altrettanto audace, entro il 2013 tutte le maggiori società automobilistiche commercializzeranno macchine a idrogeno, e probabilmente nasceranno parecchie nuove aziende che produrranno altri tipi di veicoli, come auto sportive e fuoristrada. Le stazioni di servizio delle sei maggiori città del paese potrebbero distribuire contemporaneamente idrogeno e benzina, ma molte altre potrebbero garantire solo il nuovo carburante. Pensate, tra l'altro, a come l'economia dell'idrogeno cambierà la geopolitica. L'Opec non sarà più un fattore determinante in politica estera. I rapporti con i paesi produttori di petrolio saranno basati solo su interessi comuni. E l'America sarà libera di promuovere la democrazia in paesi come la Nigeria, l'Arabia Saudita e l'Iran. Le basi militari in Arabia, Kuwait e Qatar verranno smantellate, e le forze navali dislocate nel Mediterraneo e nel Golfo Persico richiamate in patria. Ma anche a quel punto, la transizione sarebbe tutt'altro che completa. Ci vorranno decenni per eliminare dalle strade tutti i veicoli tradizionali, e ancora di più prima che l'idrogeno possa essere prodotto su larga scala utilizzando energia pulita. A lungo termine, le stesse automobili a celle a combustibile potrebbero riuscire a produrre autonomamente energia invece di consumarla soltanto. In pratica, i contatori elettrici potrebbero in qualche caso funzionare all'inverso. Il futurista Amory Lovins immagina, a questo proposito, un network in cui i consumatori possano ottenere l'energia di cui hanno bisogno dalla fonte più vicina, che sia una stazione di rifornimento o una station wagon parcheggiata. Un sistema del genere sarebbe molto più efficiente e meno costoso. Questa energia più economica potrebbe essere venduta in grandi quantità alle aziende per abbattere i costi, creando ulteriori incentivi alla diffusione del nuovo combustibile. A breve, la tecnologia statunitense delle celle a idrogeno offrirà enormi opportunità di sviluppo a paesi come la Cina e l'India, che nei prossimi anni saranno i maggiori consumatori al mondo di energia. Queste nazioni non hanno un'infrastruttura petrolifera adeguata, quindi sarà più facile per loro adattarsi direttamente al nuovo modello, battendo sul tempo l'Occidente sviluppato. Essendo più economico del petrolio, il nuovo combustibile agevolerà i paesi poveri, riducendone i debiti e aumentando la sicurezza nazionale. Nella sfida attuale la posta in gioco è molto più alta che nel caso dello Sputnik. L'indipendenza energetica, al contrario dell'esplorazione spaziale, dipende direttamente dalla determinazione americana. I disordini in Medioriente, il debito statale in costante aumento, la promessa tecnologica che ha bisogno solo di un impulso economico: tutte queste condizioni fanno di questo periodo il momento ideale per lanciare un programma stile Apollo per la diffusione del nuovo modello economico. Il destino della repubblica dipende da questo.
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