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conflitti di interesse nelle attività finanziarie
- Subject: conflitti di interesse nelle attività finanziarie
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 22 Feb 2004 11:22:47 +0100
da lavoceinfo.it martedi 17 dicembre 2004 17-02-2004 Cirio, Parmalat e i conflitti di interesse Luigi Guiso Il conflitto di interesse - si verifica quando un soggetto a cui sono istituzionalmente assegnate alcune finalità da perseguire con il suo operato, può da questo trarre vantaggi personali, minando il raggiungimento delle finalità assegnate - può costituire, se non riconosciuto e controllato, una seria minaccia per gli investitori, fino a ostacolare lo sviluppo finanziario. Mercati finanziari poco sviluppati sono, a loro volta, un impedimento alla nascita delle imprese, alla loro crescita dimensionale, alla produzione e adozione di nuove tecnologie. In altre parole, un limite allo sviluppo economico. Il rapporto del Cepr, "Conflicts of interests in the financial services industry: what should we do about them?", che verrà discusso in un incontro ad hoc e di cui www.lavoce.info pubblica oggi un riassunto, mette a fuoco le origini del conflitto di interesse nei mercati finanziari, ne esamina le conseguenze e analizza i pro e i contro delle misure per fronteggiarlo. Perché ci interessa? Cirio e Parmalat sono vividi esempi in cui il conflitto di interesse di alcuni degli operatori coinvolti ha avuto un ruolo cruciale. Vediamo perché. Parmalat. Vi è il fondato sospetto che la società di revisione abbia mancato di rivelare tutta l'informazione in suo possesso certificando bilanci alterati e falsificati, consentendo alla truffa imbastita dal management della Parmalat di perpetuarsi, a danno degli investitori. Perché avrebbe operato in questo modo esponendosi al rischio di una perdita di reputazione in un mercato, come quello degli auditor, relativamente competitivo? Perché chiudere un occhio sulle azioni scorrette del management garantiva il ripetuto rinnovo del contratto come revisore e possibilmente l' aggiudicazione di qualche contratto di consulenza. L'auditor era in conflitto di interesse. Ma non era il solo. Il collegio sindacale, il principale organo interno di controllo, ma nominato dal management e retribuito dalla stessa società, era in una simile situazione. Perché esercitare un controllo contabile severo (come da compito istituzionale del collegio sindacale) se questo poteva urtare il management e compromettere la riconferma dei sindaci alla scadenza? Anche questi ultimi si trovavano in conflitto di interesse. In conflitto di interesse era pure il consiglio di amministrazione formato esclusivamente da persone nominate dal manager e scelte spesso tra gli dirigenti del gruppo. Che incentivo potevano avere, qualora a conoscenza delle malversazioni contabili che si compivano, ad andare contro il manager se da questo dipendeva la loro riconferma come consiglieri e, per alcuni, la carriera futura? Cirio. In questo caso pure è stato avanzato il sospetto che alcune banche esposte verso la Cirio abbiano trasferito il rischio ai loro depositanti, "collocando" nei loro portafogli obbligazioni Cirio, della cui rischiosità erano, a differenza dei clienti, consapevoli. Il conflitto di interesse origina in questo caso dal fatto che la banca è allo stesso tempo prestatrice di fondi alle imprese e consulente finanziario e gestore dei portafogli dei propri clienti. Emerge con la banca universale, modello che l'Italia ha adottato con il nuovo ordinamento bancario del 1993. Il rischio di conflitto di interesse nella banca universale era noto già dall'intenso dibattito svoltosi negli Stati Uniti nel 1933 in preparazione del Glass-Steagall Act. Ferdinand Pecora, consulente del Banking and Currency Commitee, evidenziava: "Si presume che una banca intrattenga un rapporto fiduciario e protettivo con i propri clienti e non di un venditore (.). L'introduzione e la diffusione dei nuovi compiti ha corrotto le fondamenta di questa tradizionale etica della banca". Evidentemente l'etica non era sufficientemente robusta da resistere agli incentivi derivanti dallo sfruttamento del conflitto di interesse. In Italia, le avverse conseguenze del potenziale conflitto di interesse nel nuovo modello di banca universale dopo il 1993 sono state largamente sottovalutate. Il caso Cirio le ha fatte emergere, ma la loro portata è verosimilmente molto più vasta. Che fare? I casi Cirio e Parmalat hanno portato il Governo, su iniziativa del ministro del Tesoro, a varare un disegno di legge che nelle intenzioni dovrebbe contenere norme sufficienti a proteggere i risparmiatori da simili casi nel futuro. Manca qui lo spazio per entrare in dettaglio nel merito del provvedimento. Ma un fatto emerge con chiarezza: nel disegno di legge non vi è traccia di norme mirate a regolare il conflitto di interesse di amministratori e sindaci. Quelle indirizzate a regolare il conflitto di interesse delle società di auditing sono, come è stato rilevato, insufficienti. Non vi sono norme che richiamino i conflitti di interesse delle banche e individuino misure per fronteggiarli. Eppure, sono i conflitti di interesse alla base della scarsa protezione dei risparmiatori. Più in generale, delle varie misure che il rapporto del Cepr suggerisce per limitare lo sfruttamento dei conflitti di interesse e che sono elencate nel riassunto pubblicato, nessuna trova spazio nel decreto governativo. Al Parlamento, il compito di rivedere il testo, contribuendo a riassorbire il pericoloso sentimento antifinanziario che si è sviluppato tra i risparmiatori del nostro paese. 17-02-2004 Un'occasione persa Francesco Vella Se non verrà adeguatamente modificato e irrobustito dal dibattito parlamentare, il progetto di legge governativo sul dopo-Parmalat corre il rischio di divenire la classica occasione persa per un efficace e coerente rafforzamento del sistema di tutele dei risparmiatori. Un provvedimento distratto È, in primo luogo, un progetto palesemente "distratto". Un ipotetico lettore completamente all'oscuro delle vicende nostrane, scorrendo il testo, non avrebbe nessuna percezione di tutto ciò che è successo. È ormai fin troppo noto che la vicenda Parmalat trova soprattutto origine nelle clamorose e vistose carenze di funzionamento della governance societaria. Ma su questo terreno il progetto di legge mantiene un assordante silenzio. Eppure, bastava leggersi il testo della audizione del presidente della Consob (1) nel corso della recente indagine conoscitiva del Parlamento (punto 5.1), per raccogliere alcuni suggerimenti su come rafforzare gli organi di gestione e controllo interno: introduzione degli amministratori indipendenti, obbligo effettivo di sindaci di minoranza nel collegio sindacale. Sicuramente queste non sono misure miracolistiche che garantiscono contro il ripetersi di fenomeni patologici. Possono, però, e non è poco, contribuire a ridurre le schiere di amministratori disattenti o conniventi e di sindaci che chiudono un occhio (spesso tutti e due). Anche per quanto riguarda la disciplina dei soggetti che operano sui mercati è giusto rafforzare la terzietà dei revisori e la trasparenza delle società estere, ma non è sufficiente. Occorrono regole più severe, ad esempio impedendo la quotazione a quelle società che ne controllano altre collocate nei paradisi fiscali (sempre Parmalat docet) se si accerta che queste non siano in grado di offrire idonee garanzie di trasparenza e adeguatezza organizzativa. In questo quadro si poteva soddisfare un'altra richiesta da tempo avanzata in più sedi: quella di rendere più stringenti i controlli all'accesso alla quotazione trasferendo i relativi poteri alla Consob. Inoltre, tutelare gli investitori significa non soltanto incrementare la trasparenza, ma anche attribuire a questi strumenti diretti per far valere le proprie ragioni nei confronti di intermediari scorretti (ad esempio, introducendo le class action). Quando poi opportunamente si amplia e si appesantisce l'apparato sanzionatorio, bisogna mostrare grande equilibrio e non seguire comportamenti schizofrenici: perché raddoppiano le pene per i revisori, così come per gli amministratori che ostacolano l'esercizio dei controlli, mentre tutto rimane tranquillamente come prima per chi falsifica i bilanci? Molta confusione e una pillola avvelenata È innegabile, però, che la parte più deludente della proposta governativa è quella relativa al riassetto dell'organizzazione della vigilanza. Dopo bellicosi annunci e animate discussioni sui modelli più funzionali a un riordino delle competenze in grado di aumentare l'efficacia dei controlli, il Governo ha abbandonato l'idea dell'Autorità unica, senza però avere il coraggio di optare fino in fondo per il sistema alternativo della ripartizione per finalità. Il risultato corre il rischio di essere una grande melassa dove tutto si confonde (e soprattutto si confondono i confini tra le competenze delle Autorità). Giustamente l'articolo 2 attribuisce alla nuova Superconsob i compiti di trasparenza e alla Banca d'Italia quelli di stabilità. Quando, però, si ripartiscono i poteri, alla prima vengono in realtà trasferite competenze che sono anche di stabilità (ad esempio in tema di raccolta del risparmio e di controlli sulle emissioni di valori mobiliari). Né si capisce il motivo per il quale, dopo tanti proclami sulle giuste esigenze di semplificazione, debbano rimanere in vita altre autorità, come l'Isvap, che esercitano contemporaneamente controlli di trasparenza e di stabilità. In sostanza, la confusione regna sovrana. Assoluta chiarezza c'è invece nell'autentica pillola avvelenata per l' autonomia delle Autorità contenuta nell'articolo 30 sul Comitato interministeriale per il credito e il risparmio. Appare chiaro infatti il desiderio di recuperare gli spazi del controllo governativo sulla vigilanza, un territorio che dovrebbe invece rimanere di esclusiva pertinenza delle Autorità. Il Cicr conquista il potere di dettare atti generali sui "criteri dell' attività di vigilanza" di tutte le Autorità, quindi della nuova Consob e della Banca d'Italia. Prima esercitava le sue competenze soltanto nell' ambito del Testo unico bancario e solo in materie specificamente attribuite. Inoltre, il Comitato potrà chiedere dati notizie e informazioni generali a tutte le Autorità. Si cerca di rivalutare un organismo che nel passato non ha funzionato e la cui recente notorietà è dovuta soprattutto ai "duelli" tra ministro del Tesoro e governatore della Banca d'Italia. E lo si fa attribuendogli competenze generali che, un po' sinistramente, riecheggiano quei poteri di direttiva che aveva il vecchio Comitato dei ministri previsto dalla legge bancaria del 1936. Il pericolo, proprio le ultime vicende lo testimoniano, è quello di una ingerenza della politica nella attività di vigilanza e di un contemporaneo appannamento di quei principi di indipendenza delle Autorità che lo stesso progetto governativo richiama all'articolo 2. Questo non significa che le Autorità per essere autonome debbano agire con logiche autoreferenziali, senza rispondere a nessuno del proprio operato. Ma la via maestra per una loro efficace responsabilizzazione è un'altra. Bisogna definire con precisione competenze e poteri riducendo quanto più possibile gli spazi di discrezionalità. Occorrono coraggiosi interventi, e non soltanto sulla Consob, ma anche sulla Banca d'Italia, per rendere più trasparenti le strutture di governance e i processi decisionali. È infine è necessario imporre un rapporto di costante interlocuzione e verifica con le competenti commissioni parlamentari.
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