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rifiuti, affari sporchi ma redditizi
- Subject: rifiuti, affari sporchi ma redditizi
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 14 Feb 2004 07:08:12 +0100
da narcomafie.it Gennaio 2003 Traffico di rifiuti Affari sporchi Monica Massari* "Non si butta via niente". Lo sanno bene gli ecocriminali internazionali - mafie o singoli imprenditori - che ricavano enormi profitti dal traffico illecito di rifiuti pericolosi. Con alcuni sottoprodotti: illegalità, inquinamento, rischi sanitari Il traffico illegale di rifiuti pericolosi costituisce uno dei settori principali di quella vasta area di pratiche e comportamenti illeciti che viene generalmente definita come "criminalità ambientale". Questa categoria, in realtà, comprende al proprio interno un'ampia varietà di reati, quali ad esempio il commercio illegale di specie protette, il traffico di legnami pregiati, di reperti archeologici, di sostanze contenenti i pericolosi gas killer dell'ozono e altri ancora. Ma è sui traffici internazionali di rifiuti pericolosi che si è andata concentrando sempre di più, nel corso degli ultimi anni, l'attenzione degli organi investigativi, degli apparati istituzionali, dei mass media e dell'opinione pubblica in generale. Pattumiere del Pianeta Sin dalla metà degli anni 80, le Nazioni Unite avevano segnalato come l' incremento della produzione industriale su scala internazionale e il conseguente aumento dei rifiuti pericolosi prodotti, alcuni dei quali altamente nocivi (unitamente all'adozione di una serie di trattati e convenzioni internazionali tesi a prevenire l'espansione dei traffici di queste sostanze fra i Paesi industrializzati e le aree del Sud del mondo), avessero incentivato l'emersione di un'ampia area grigia. Fra il 1986 e il 1988, almeno 15 Paesi africani erano stati contattati da imprese occidentali in grado di offrire consistenti somme di denaro in cambio di territori da utilizzare a proprio piacimento per smaltire, al di fuori di qualsiasi regola, ingenti quantitativi di rifiuti tossici. Per avere un'idea delle dimensioni del fenomeno, basti pensare che in quegli anni il costo medio per lo smaltimento di una tonnellata di rifiuti pericolosi in un qualsiasi Paese occidentale poteva variare da un minimo di 100 fino ad un massimo di 2mila dollari, mentre in Africa il prezzo si aggirava fra i 2,50 e i 50 dollari. Un'occasione davvero imperdibile per molte imprese, tanto che almeno 50 milioni di tonnellate di rifiuti prodotte nei Paesi industrializzati (su un totale di 300 milioni) venivano annualmente trasportate in Africa. Con il passare degli anni, la geopolitica dei traffici illegali di rifiuti si è andata ampliando sempre più. Accanto ai Paesi africani le principali aree di destinazione degli eco-criminali internazionali sono diventate l' Europa orientale e il continente asiatico. Greenpeace ha recentemente denunciato come più di centomila tonnellate di rifiuti siano entrate, in modo illegale, in India fra il 1998 e il 1999. La Cina, invece, costituisce il punto di arrivo dell'imponente traffico di rifiuti elettronici (circuiti di vecchi computer, monitor, batterie e altri apparecchi) altamente pericolosi, provenienti per almeno il 50% dagli Stati Uniti (in cui ogni anno vengono dismessi almeno 20 milioni di vecchi computer): l'unico fra i Paesi industrializzati a non aver ancora ratificato la Convenzione di Basilea del 1989, che mira a controllare i movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e il loro smaltimento. Normativa? Carta straccia Nonostante esistano diversi strumenti di cooperazione internazionale espressi in forma di convenzioni e di accordi (ricordiamo, fra gli altri, la Convenzione di Washington del 1973 sul traffico di specie protette, il Protocollo di Montreal del 1987 riguardante le sostanze dannose per l'ozono, la già citata Convenzione di Basilea del 1989, la Convenzione di Bamako del 1991 che vieta l'importazione di rifiuti verso numerosi Paesi dell'Africa, dell'area caraibica e di quella che si affaccia sul Pacifico) volti a impedire forme di vero e proprio "colonialismo ambientale" da parte dei Paesi del Nord del mondo, il traffico illegale di rifiuti risulta in piena crescita. Il volume totale dei profitti derivanti da questo mercato è stato recentemente stimato dalle autorità americane attorno ai 12-15 miliardi di euro. Quali sono quindi i fattori che fanno sì che gli eco-criminali internazionali agiscano indisturbati? Nonostante alcuni Stati del sud del mondo abbiano iniziato a rifiutare da tempo le importazioni di rifiuti pericolosi nei propri territori, l' impossibilità o, in alcuni casi, la debolezza di alcuni Paesi in via di sviluppo nel difendere il proprio diritto ha consentito il rafforzamento dei traffici nord-sud e la crescita di un enorme mercato illegale. Le forti pressioni esercitate dalle corporations straniere coinvolte nel business dei rifiuti, inoltre, prevedono promesse - spesso inevase - di facili acquisizioni di preziosa valuta pesante, aumento dell'occupazione, creazione di impianti di riciclaggio in loco e il trasferimento, in questi Paesi, di nuove tecnologie. È da tenere, poi, in considerazione che nella gran parte dei casi in queste aree non si dispone di una legislazione efficace in materia ambientale o, molto spesso, le autorità competenti non si dimostrano troppo solerti nel garantire il rispetto delle norme e dei regolamenti previsti in difesa della natura. Infatti, anche in quei casi in cui esiste una normativa ambientale a livello nazionale, le pene previste sono assai blande e quindi non costituiscono un deterrente efficace. Ma unitamente alle ambiguità e alle falle esistenti sul piano legislativo e la sostanziale assenza di un adeguato sistema di controllo a livello internazionale, le Nazioni Unite hanno recentemente sottolineato come la liberalizzazione e la deregolazione delle economie dei Paesi in via di sviluppo - indotte dagli aggiustamenti strutturali imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali - abbiano incoraggiato in modo considerevole l'esportazione di ingenti quantitativi di rifiuti tossici e altamente pericolosi verso queste aree. In molti dei Paesi intrappolati in questo commercio perverso si è giunti a dover far fronte ad una situazione in cui diritti fondamentali quali quello ad auto-determinarsi, ad utilizzare liberamente le proprie risorse naturali e a godere di una vita sana, sono continuamente negati. E tutto ciò comporta anche l'erosione incessante dell'autorità statale e la diffusione di una cultura dell'illegalità. Una pluralità di attori Pur trovandoci dinanzi ad un mercato illegale dalle dimensioni globali - visto il numero di Paesi attualmente coinvolti - il livello di conoscenze sulle caratteristiche, le dinamiche e i fattori di espansione di questo business è ancora piuttosto limitato. Ancora poco si sa su coloro che organizzano e gestiscono i traffici illegali di rifiuti, le loro strategie, le modalità operative, le tecniche utilizzate per condurre a buon fine i loro affari. Tutto ciò a dispetto delle norme esistenti e senza alcun rispetto non solo per l'ambiente, ma anche per i cittadini che vivono in determinate aree non sapendo di essere esposti a fattori inquinanti dagli effetti talvolta drammatici. Negli Stati Uniti, già negli anni 50, era venuto chiaramente alla luce il ruolo svolto dalla criminalità organizzata nella gestione dei rifiuti urbani, soprattutto nel New Jersey e nella zona di New York. Secondo quanto appurato nel corso delle audizioni che si tennero presso la Commissione del Senato, i gruppi mafiosi locali avevano costituito un vero e proprio impero commerciale che consentiva il monopolio sull'intera industria dei rifiuti, grazie alle complicità esistenti con le associazioni commerciali e alcuni sindacati compiacenti. Parallelamente all'adozione di forme più stringenti di controllo sui reati contro l'ambiente, il mercato dell'eco-criminalità si è andato evolvendo e modificando, adattandosi, di volta in volta, alle circostanze e assumendo, sempre più frequentemente, forme inusitate. Sotto questo profilo, l'attività di ricerca sul campo svolta ha rivelato come i reati contro l'ambiente siano commessi da un'ampia varietà di soggetti che potrebbero essere collocati all 'interno di un ipotetico continuum. Ai due poli estremi troveremmo, da un lato, la criminalità mafiosa tradizionale (come, appunto, nel caso de La Cosa Nostra negli Stati Uniti e le ecomafie in Italia) e, dall'altro, network illeciti particolarmente fluidi, composti da individui che non dispongono del tipico curriculum criminale, ma che, al contrario, sono inseriti stabilmente all'interno di vari settori dell'economia legale. Fra questi due estremi è possibile identificare la presenza di una pluralità di attori: imprese e corporations che tentano di risparmiare sui costi in modo illecito, persone "rispettabili" che commettono reati nel corso della loro carriera professionale al fine di guadagnare un margine di profitto in più rispetto ai propri rivali, individui già coinvolti in altre attività illecite che forniscono i propri servizi al mondo produttivo collegato al settore dei rifiuti e, infine, forme di collaborazione e di partnership fra esponenti della criminalità organizzata tradizionale, stimati uomini di affari, rappresentanti delle istituzioni, tecnici, professionisti e altri soggetti legali. Tra lecito e illecito A ben vedere, nozioni quali "criminalità organizzata", "mafia", "criminalità dei colletti bianchi", "criminalità economica" e altre perdono quasi del tutto la propria valenza euristica, risultano ridondanti. Se, infatti, oltre che concentrarsi sulle caratteristiche di questi soggetti, si tenta di mettere a fuoco quali sono le tecniche utilizzate per commettere tali reati emerge chiaramente come costoro rivelino delle somiglianze sorprendenti e utilizzino lo stesso tipo di know-how. Gli eco-criminali internazionali condividono fra loro una caratteristica essenziale: sono profondamente radicati e operano nello spazio del mercato, sia esso legale che illegale. Le loro attività, relazioni e collaborazioni avvengono all'interno di quell' arena economica dove i confini esistenti fra ciò che è lecito e ciò che non lo è appaiono estremamente incerti, confusi, soggetti a continui aggiustamenti e sovrapposizioni. Quest'area - che è stata definita da Vincenzo Ruggiero "economia sporca" - è caratterizzata dal raggiramento costante dei principi di legalità e di competizione leale. Si tratta di un' arena in cui criminalità organizzata e attori legali tendono a scambiarsi servizi, a offrirsi reciprocamente favori, a promuoversi vicendevolmente nelle loro attività imprenditoriali. Nel caso dei traffici illegali di rifiuti pericolosi, l'adozione dell' espressione di Ruggiero sembra essere particolarmente utile, dal momento che consente di identificare un ampio ventaglio di similitudini fra eventi, pratiche e attori che solitamente sono considerati diversi. In conclusione, invece che enfatizzare il ruolo svolto dalla criminalità organizzata tradizionale, sembra molto più produttivo, sotto il profilo analitico, concentrarsi sul mercato in cui questa varietà di attori opera, sul loro modus operandi, sulle loro strategie, risorse e opportunità. * Coordinatrice del progetto, Gruppo Abele
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