crescita economica della materia vivente



il manifesto - 15 Gennaio 2004


La crescita economica della materia vivente

Una raffinata critica al modello produttivista facenda leva sulle leggi
della termodinamica e della matematica. E' ciò che ha sviluppato
l'economista di origine rumena Nicholas Georgescu Roegen nella sua attività
quarantennale di docente negli Stati uniti e che oggi viene riproposta nel
volume «Bioeconomia». Una lettura dei processi produttivi che mostra tutta
la sua attualità in una condizione in cui la produzione della ricchezza fa
leva sulla comunicazione e sulla brevettabilità del vivente

ANDREA FUMAGALLI

Nicholoas Georgescu-Roegen può fregiarsi di aver coniato per primo il
termine «bioeconomia», nel 1977, allorché intitolò un articolo pubblicato
sulla Review of Social Economy dal titolo Inequality, limits and growth from
a bioeconomic viewpoint («Ineguaglianza, limiti e crescita da un punto di
vista bioeconomico»). Riprese poi il termine in modo più esteso, sino a
poter parlare oggi di «teoria bioeconomica» di Georgescu-Rotgen, in una
lecture (Bioeconomics and Ethic) tenuta nel 1983 alla Duke University nel
1983, la stessa università dove oggi insegna Michael Hardt, che con Toni
Negri, ha poi riletto il concetto di bioeconomia in chiave foucaultiana.
Oggi la Bollati Boringhieri ripubblica questi saggi in una raccolta dal
titolo Bioeconomia (pp. 156, ? 28), con un'utile e corposa introduzione di
Mauro Bonaiuti. Il termine «bioeconomia», in questi tempi, sembra essere
tornato in auge non solo in seguito alla diffusione del pensiero
foucaultiano, almeno per ciò che concerne il concetto di «biopolitica». Il
prefisso «bio» è infatti anche utilizzato in modo estensivo per definire
tutto l'apparato tecnologico-produttivo che ha a che fare con lo
sfruttamento della materia vivente, dalle biotecnologie, alla biogenetica,
alla bioagricoltura. Come risulta dalle carte dello stesso Georgescu-Roegen,
egli intendeva, negli ultimi anni della sua vita, pubblicare un volume dal
titolo Bioeconomics, che ragionevolmente doveva costituire una prima
sistematizzazione di questa concezione alternativa al mainstream. Non ne
ebbe però il tempo.

Georgescu Roegen è, da questo punto di vista, un'economista anomalo, la cui
fama negli ambiti ristretti dell'ecologismo radicale degli anni `70 è dovuta
essenzialmente al libro The Entropy Law and the Economic Process, pubblicato
nel 1971 per i tipi della Cambridge Press. Nato nel 1906 a Costanza in
Romania, studiò matematica e statistica sino al Dottorato alla Sorbona di
Parigi nel 1930. Ritornò in patria, dove ebbe importati incarichi pubblici.
A metà degli anni Trenta, a Harward, incontrò Schumpeter, che lo orientò
definitivamente verso la scienza economica e nel 1948 si stabilì
definitivamente negli Usa, dove morì nel 1994.

Roegen non ebbe immediatamente una formazione economica e, come spesso
accade in questi casi, fu meno condizionato dalla moda dell'individualismo
metodologico allora e oggi imperante, forte della maggiore
interdisciplinarietà che aveva caratterizzato i suoi studi e di un'elevata
conoscenza della matematica, che gli consentiva di individuarne i limiti
nello studio delle scienze sociali.E' quindi ovvio che la teoria
bioeconomica di Georgescu-Roegen abbia rappresentato innanzitutto una
critica radicale alla teoria neoclassica, sia dal punto di vista dei
contenuti che da quello epistemologico. Un approccio critico, oggi più che
mai nascosto al grande pubblico, ma che andrebbe invece diffuso e
pubblicizzato, alla luce, ad esempio, della grande attualità del tema della
sostenibilità ambientale negli anni del mancato decollo del Protocollo di
Kyoto.

Georgescu-Roegen ha mostrato, più di trent'anni fa, i limiti, essenzialmente
di natura entropica, del processo di crescita/sviluppo economico. L'idea di
uno sviluppo economico illimitato, forte del successo del paradigma
taylorista-fordista dei «trent'anni gloriosi» del dopoguerra, ha sempre
misconosciuto il fatto che ogni attività economica comporta l'irreversibile
degradazione di quantità crescenti di materia e energia. Per molti
economisti, il processo economico non può creare e non può distruggere né la
materia, né l'energia, una verità, questa, che deriva dal principio di
conservazione della materia-energia, ovvero dalla prima legge della
termodinamica. Ma se è pure vero che questo aspetto è provato, quasi nessuno
osserva, però, che il processo economico assorbe energia e la espelle in
modo diverso. Per un economista eterodosso come Georgescu-Roegen «ciò che
entra nel processo economico rappresenta risorse naturali preziose, e ciò
che viene espulso scarti senza valore». Un fisico esperto di termodinamica
tradurrebbe in modo diverso e affermerebbe che la «materia-energia entra nel
processo economico in uno stato di bassa entropia e ne esce in uno stato di
alta entropia». Capire il concetto di entropia non è facile, ma è
fondamentale per cogliere il ruolo non neutrale svolto dal processo
economico nello sfruttamento dell'energia naturale e umana. L'energia esiste
in due stati qualitativi: energia disponibile o libera, sulla quale l'uomo
ha un quasi completo controllo, ed energia non disponibile o legata, che
l'uomo non può usare in nessun modo.

L'energia chimica contenuta in un pezzo di carbone è energia libera, perché
l'uomo può trasformarla in calore o, se vuole, in lavoro meccanico. Non
altrettanto può dirsi per «il favoloso ammontare di energia termica
contenuto nelle acque marine, che è energia legata. Le navi si muovono in
cima a quest'energia, ma per farlo hanno bisogno dell'energia libera di un
combustibile o del vento». Quando un pezzo di carbone brucia, la sua energia
chimica non varia, non è diminuita né aumentata. Ma l'energia libera
iniziale si è dissipata sotto forma di calore, fumo e cenere, che l'uomo non
è più in grado di utilizzare. Si è degradata in energia legata. In un lasso
di tempo infinitamente breve (il tempo necessario al carbone per bruciare)
si è dissipato un processo per la cui costituzione era stato necessario un
tempo infinitamente più lungo (il tempo necessario alla formazione del
carbone). Le leggi della termodinamica, ed in particolare la seconda, detta
anche legge dell'entropia, ci dicono che in un sistema chiuso l'energia
libera tende a trasformarsi in energia legata, ovvero, che l'entropia (cioè
l'ammontare di energia legata) aumenta ininterrottamente. La legge
dell'entropia non è in contraddizione con la prima legge della
termodinamica: infatti, l'aumento del livello di entropia non significa che
è aumentata l'energia, ma semplicemente che si è trasformata.

Sulla base di queste considerazioni, il processo economico non fa che
trasformare energia libera in energia legata, ovvero da «risorse naturali
preziose (a bassa entropia) a scarti senza valore (ad alta entropia)». In
altre parole, il processo economico non è neutrale rispetto alla natura,
anzi, come scrive lo stesso Georgescu-Roegen, «il processo economico è
saldamente ancorato a una base materiale sottoposta a vincoli precisi». Le
conseguenze di questa analisi sono rilevanti. In primo luogo, la lotta
economica dell'uomo per la sopravvivenza è incentrata sulla bassa entropia
ambientale. In secondo luogo, la bassa entropia è scarsa (ma in senso
diverso dal concetto di scarsità ricardiana, usato dagli economisti: per
scarsità, qui si intende il fatto che, ad esempio, un pezzo di carbone o un
giacimento di petrolio può essere usato solo una volta). In terzo luogo lo
sviluppo economico tende a diventare da sostenibile a insostenibile con lo
scorrere del tempo. Il mito della crescita economica è così destinato ad
esaurirsi.

Dal punto di vista metodologico, il processo economico non può essere più
rappresentato come un processo circolare statico basato sul flusso: domanda,
produzione, distribuzione, domanda, ma piuttosto da una rappresentazione
evolutiva e dinamica, più a forma di spirale che di cerchio, dove non si
possono ricreare mai le stesse condizioni di riproducibilità. In un'ottica
del genere, anche le ipotesi sulla razionalità strumentale degli individui
hanno poco senso e il concetto di equilibrio perde qualsiasi rilevanza.

I saggi di Georgescu-Roegen sono stati scritti negli anni Settanta, nel
periodo di massima espansione e di crisi del paradigma taylorista-fordista
La teoria bioeconomica che ne consegue non può che essere imbevuta della
critica al paradigma produttivistico dell'epoca, che accomunava destra e
sinistra dell'epoca, senza alcuna considerazione, se non marginale, per i
vincoli ambientali. Nel contesto attuale il paradigma postfordista di
accumulazione flessibile si fonda su tecnologie della comunicazione e sullo
sfruttamento non solo della materia-energia ma soprattutto della materia
vivente umana. L'aspetto bioeconomico non può più quindi riferirsi solo alla
natura ma anche alla prestazione lavorativa che sempre più tende a
coincidere con la vita stessa. La centralità della conoscenza e del lavoro
cognitivo nella produzione flessibile postfordista delle economie a
capitalismo avanzato ripropone la questione di quanto e come sia possibile
sfruttare la vita nella sua complessità (dai geni al cervello) ai fini della
produzione capitalistica di ricchezza. Se lo sfruttamento della natura e la
sostenibilità ambientale come elemento centrale del processo di sussunzione
formale del lavoro meccanico sono state al centro dell'elaborazione teorica
e metodologica di Georgescu Roegen, oggi la nuova teoria bioeconomica ci
porta ad affrontare i limiti del processo di «sussunzione reale» della vita.
Per rispondere a tali questioni, ancora aperte, il contributo di Georgescu
Roegen è sicuramente prezioso e utile.