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crescita economica della materia vivente
- Subject: crescita economica della materia vivente
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 9 Feb 2004 06:56:19 +0100
il manifesto - 15 Gennaio 2004 La crescita economica della materia vivente Una raffinata critica al modello produttivista facenda leva sulle leggi della termodinamica e della matematica. E' ciò che ha sviluppato l'economista di origine rumena Nicholas Georgescu Roegen nella sua attività quarantennale di docente negli Stati uniti e che oggi viene riproposta nel volume «Bioeconomia». Una lettura dei processi produttivi che mostra tutta la sua attualità in una condizione in cui la produzione della ricchezza fa leva sulla comunicazione e sulla brevettabilità del vivente ANDREA FUMAGALLI Nicholoas Georgescu-Roegen può fregiarsi di aver coniato per primo il termine «bioeconomia», nel 1977, allorché intitolò un articolo pubblicato sulla Review of Social Economy dal titolo Inequality, limits and growth from a bioeconomic viewpoint («Ineguaglianza, limiti e crescita da un punto di vista bioeconomico»). Riprese poi il termine in modo più esteso, sino a poter parlare oggi di «teoria bioeconomica» di Georgescu-Rotgen, in una lecture (Bioeconomics and Ethic) tenuta nel 1983 alla Duke University nel 1983, la stessa università dove oggi insegna Michael Hardt, che con Toni Negri, ha poi riletto il concetto di bioeconomia in chiave foucaultiana. Oggi la Bollati Boringhieri ripubblica questi saggi in una raccolta dal titolo Bioeconomia (pp. 156, ? 28), con un'utile e corposa introduzione di Mauro Bonaiuti. Il termine «bioeconomia», in questi tempi, sembra essere tornato in auge non solo in seguito alla diffusione del pensiero foucaultiano, almeno per ciò che concerne il concetto di «biopolitica». Il prefisso «bio» è infatti anche utilizzato in modo estensivo per definire tutto l'apparato tecnologico-produttivo che ha a che fare con lo sfruttamento della materia vivente, dalle biotecnologie, alla biogenetica, alla bioagricoltura. Come risulta dalle carte dello stesso Georgescu-Roegen, egli intendeva, negli ultimi anni della sua vita, pubblicare un volume dal titolo Bioeconomics, che ragionevolmente doveva costituire una prima sistematizzazione di questa concezione alternativa al mainstream. Non ne ebbe però il tempo. Georgescu Roegen è, da questo punto di vista, un'economista anomalo, la cui fama negli ambiti ristretti dell'ecologismo radicale degli anni `70 è dovuta essenzialmente al libro The Entropy Law and the Economic Process, pubblicato nel 1971 per i tipi della Cambridge Press. Nato nel 1906 a Costanza in Romania, studiò matematica e statistica sino al Dottorato alla Sorbona di Parigi nel 1930. Ritornò in patria, dove ebbe importati incarichi pubblici. A metà degli anni Trenta, a Harward, incontrò Schumpeter, che lo orientò definitivamente verso la scienza economica e nel 1948 si stabilì definitivamente negli Usa, dove morì nel 1994. Roegen non ebbe immediatamente una formazione economica e, come spesso accade in questi casi, fu meno condizionato dalla moda dell'individualismo metodologico allora e oggi imperante, forte della maggiore interdisciplinarietà che aveva caratterizzato i suoi studi e di un'elevata conoscenza della matematica, che gli consentiva di individuarne i limiti nello studio delle scienze sociali.E' quindi ovvio che la teoria bioeconomica di Georgescu-Roegen abbia rappresentato innanzitutto una critica radicale alla teoria neoclassica, sia dal punto di vista dei contenuti che da quello epistemologico. Un approccio critico, oggi più che mai nascosto al grande pubblico, ma che andrebbe invece diffuso e pubblicizzato, alla luce, ad esempio, della grande attualità del tema della sostenibilità ambientale negli anni del mancato decollo del Protocollo di Kyoto. Georgescu-Roegen ha mostrato, più di trent'anni fa, i limiti, essenzialmente di natura entropica, del processo di crescita/sviluppo economico. L'idea di uno sviluppo economico illimitato, forte del successo del paradigma taylorista-fordista dei «trent'anni gloriosi» del dopoguerra, ha sempre misconosciuto il fatto che ogni attività economica comporta l'irreversibile degradazione di quantità crescenti di materia e energia. Per molti economisti, il processo economico non può creare e non può distruggere né la materia, né l'energia, una verità, questa, che deriva dal principio di conservazione della materia-energia, ovvero dalla prima legge della termodinamica. Ma se è pure vero che questo aspetto è provato, quasi nessuno osserva, però, che il processo economico assorbe energia e la espelle in modo diverso. Per un economista eterodosso come Georgescu-Roegen «ciò che entra nel processo economico rappresenta risorse naturali preziose, e ciò che viene espulso scarti senza valore». Un fisico esperto di termodinamica tradurrebbe in modo diverso e affermerebbe che la «materia-energia entra nel processo economico in uno stato di bassa entropia e ne esce in uno stato di alta entropia». Capire il concetto di entropia non è facile, ma è fondamentale per cogliere il ruolo non neutrale svolto dal processo economico nello sfruttamento dell'energia naturale e umana. L'energia esiste in due stati qualitativi: energia disponibile o libera, sulla quale l'uomo ha un quasi completo controllo, ed energia non disponibile o legata, che l'uomo non può usare in nessun modo. L'energia chimica contenuta in un pezzo di carbone è energia libera, perché l'uomo può trasformarla in calore o, se vuole, in lavoro meccanico. Non altrettanto può dirsi per «il favoloso ammontare di energia termica contenuto nelle acque marine, che è energia legata. Le navi si muovono in cima a quest'energia, ma per farlo hanno bisogno dell'energia libera di un combustibile o del vento». Quando un pezzo di carbone brucia, la sua energia chimica non varia, non è diminuita né aumentata. Ma l'energia libera iniziale si è dissipata sotto forma di calore, fumo e cenere, che l'uomo non è più in grado di utilizzare. Si è degradata in energia legata. In un lasso di tempo infinitamente breve (il tempo necessario al carbone per bruciare) si è dissipato un processo per la cui costituzione era stato necessario un tempo infinitamente più lungo (il tempo necessario alla formazione del carbone). Le leggi della termodinamica, ed in particolare la seconda, detta anche legge dell'entropia, ci dicono che in un sistema chiuso l'energia libera tende a trasformarsi in energia legata, ovvero, che l'entropia (cioè l'ammontare di energia legata) aumenta ininterrottamente. La legge dell'entropia non è in contraddizione con la prima legge della termodinamica: infatti, l'aumento del livello di entropia non significa che è aumentata l'energia, ma semplicemente che si è trasformata. Sulla base di queste considerazioni, il processo economico non fa che trasformare energia libera in energia legata, ovvero da «risorse naturali preziose (a bassa entropia) a scarti senza valore (ad alta entropia)». In altre parole, il processo economico non è neutrale rispetto alla natura, anzi, come scrive lo stesso Georgescu-Roegen, «il processo economico è saldamente ancorato a una base materiale sottoposta a vincoli precisi». Le conseguenze di questa analisi sono rilevanti. In primo luogo, la lotta economica dell'uomo per la sopravvivenza è incentrata sulla bassa entropia ambientale. In secondo luogo, la bassa entropia è scarsa (ma in senso diverso dal concetto di scarsità ricardiana, usato dagli economisti: per scarsità, qui si intende il fatto che, ad esempio, un pezzo di carbone o un giacimento di petrolio può essere usato solo una volta). In terzo luogo lo sviluppo economico tende a diventare da sostenibile a insostenibile con lo scorrere del tempo. Il mito della crescita economica è così destinato ad esaurirsi. Dal punto di vista metodologico, il processo economico non può essere più rappresentato come un processo circolare statico basato sul flusso: domanda, produzione, distribuzione, domanda, ma piuttosto da una rappresentazione evolutiva e dinamica, più a forma di spirale che di cerchio, dove non si possono ricreare mai le stesse condizioni di riproducibilità. In un'ottica del genere, anche le ipotesi sulla razionalità strumentale degli individui hanno poco senso e il concetto di equilibrio perde qualsiasi rilevanza. I saggi di Georgescu-Roegen sono stati scritti negli anni Settanta, nel periodo di massima espansione e di crisi del paradigma taylorista-fordista La teoria bioeconomica che ne consegue non può che essere imbevuta della critica al paradigma produttivistico dell'epoca, che accomunava destra e sinistra dell'epoca, senza alcuna considerazione, se non marginale, per i vincoli ambientali. Nel contesto attuale il paradigma postfordista di accumulazione flessibile si fonda su tecnologie della comunicazione e sullo sfruttamento non solo della materia-energia ma soprattutto della materia vivente umana. L'aspetto bioeconomico non può più quindi riferirsi solo alla natura ma anche alla prestazione lavorativa che sempre più tende a coincidere con la vita stessa. La centralità della conoscenza e del lavoro cognitivo nella produzione flessibile postfordista delle economie a capitalismo avanzato ripropone la questione di quanto e come sia possibile sfruttare la vita nella sua complessità (dai geni al cervello) ai fini della produzione capitalistica di ricchezza. Se lo sfruttamento della natura e la sostenibilità ambientale come elemento centrale del processo di sussunzione formale del lavoro meccanico sono state al centro dell'elaborazione teorica e metodologica di Georgescu Roegen, oggi la nuova teoria bioeconomica ci porta ad affrontare i limiti del processo di «sussunzione reale» della vita. Per rispondere a tali questioni, ancora aperte, il contributo di Georgescu Roegen è sicuramente prezioso e utile.
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