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il futuro della genomica
- Subject: il futuro della genomica
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 6 Feb 2004 07:52:22 +0100
da l'unità 02.01.2003 Genoma: la rivoluzione entra in casa di Cristiana Pulcinelli Caterina ha 40 anni e le è stato diagnosticato un tumore al seno. Potrebbe cavarsela con l'intervento chirurgico e la radioterapia locale, oppure potrebbe aver bisogno di una chemioterapia e di una cura ormonale. Per decidere quale strategia adottare, il medico si basa su alcuni parametri: la grandezza del tumore, l'età della paziente, lo stato dei suoi linfonodi. L'analisi di questi dati però dà una risposta imperfetta. Il che vuol dire che Caterina potrebbe aver bisogno di una chemioterapia che non le viene praticata o, al contrario, potrebbe prendere farmaci che provocano gravi effetti collaterali senza una valida ragione. Da oggi però le cose possono cambiare. Attraverso un'analisi dell'attivazione dei geni in un frammento del tessuto tumorale, il medico potrebbe sapere che tipo di tumore ha colpito Caterina e quale sarà la sua prognosi con una notevole precisione. Sulla base di queste informazioni, potrebbe quindi prescrivere una cura disegnata sul profilo della sua paziente. Non stiamo parlando di fantascienza, ma di uno studio pubblicato sull'ultimo numero della prestigiosa rivista medica New England Journal of Medicine. È uno studio che contiene una novità: i ricercatori non hanno analizzato i geni del tumore al seno di 295 pazienti, ma sono andati a guardare l'espressione di quei geni, ossia quali geni di quel tumore erano «accesi» e quali «spenti». Così facendo hanno visto che l'attività di una settantina di geni era strettamente correlata alla prognosi della malattia. A seconda di come quei geni lavorano, in sostanza, le donne hanno una buona o una cattiva probabilità di guarigione. Si può capire da questo esempio qual è la rivoluzione culturale, il cambiamento di prospettiva radicale che si è prodotto nel campo della genetica durante l'ultimo anno? La nuova era, quella della terapia personalizzata, del farmaco intelligente che colpisce solo il bersaglio voluto, dell'applicazione della genetica alle malattie di massa è già cominciata, prima ancora che ce ne accorgessimo. Ma, accanto a questo fenomeno, nel corso degli ultimi mesi un'inaspettata accelerazione della ricerca ha fatto balzare il patrimonio genetico al centro della scena scientifica. È per questo che, nonostante l'annuncio della decifrazione dell'intero Dna di un essere umano risalga a febbraio 2001, il 2002 ci sembra si possa definire l'anno del genoma. Dalla bozza al testo definitivo In primo luogo c'è da dire che l'annuncio del 2001 riguardava una prima bozza del sequenziamento del patrimonio genetico umano. Da quel momento scienziati in tutto il mondo hanno cominciato a lavorare all'assemblaggio finale. Si è calcolato che l'intera sequenza del Dna dovrebbe essere completata nella primavera del 2003. A settembre 2002, tuttavia, oltre il 90% aveva già assunto la forma definitiva, ovvero i vari pezzi erano stati messi insieme nello stesso ordine nel quale sono presenti nelle nostre cellule, senza salti e con un'accuratezza che supera il 99,9%. Abbiamo dunque per le mani una versione pressoché definitiva del «manuale di istruzioni per la vita», in esso troviamo tutto ciò che serve per la «costruzione» di un essere umano. Oggi sappiamo che questo «manuale», presente in ogni singola cellula, contiene da 30 a 35 mila geni (un numero più piccolo di quello che ci si aspettava). E che è composto da una serie di tre miliardi di lettere: a metterle tutte di seguito riempiremmo 6000 volumi dell'Enciclopedia Britannica. Topi, zanzare e riso La ricerca genetica ha subito nel corso di quest'anno un'accelerazione notevole, spinta probabilmente dai buoni risultati del progetto genoma umano. Nel corso del 2002 si è giunti ad alcuni risultati così significativi da essere stati inseriti nella lista delle dieci scoperte più importanti dell'anno stilata dalla prestigiosa rivista scientifica «Science». Il primo risultato è il sequenziamento del Dna del parassita che causa la malaria e della zanzara che lo trasmette. Le due ricerche, pubblicate su Science e Nature, hanno un indiscutibile valore teorico, ma anche un possibile e auspicabile valore pratico: la malaria è al secondo posto nella lista delle malattie infettive che uccidono di più e le armi che nel Ventesimo secolo erano state trovate per combatterla si sono spuntate nel corso del tempo. Ormai le zanzare sono resistenti a quasi tutti gli insetticidi e il plasmodio ha sviluppato delle resistenze al farmaco principale contro la malaria, la clorochina, che quindi non ha quasi più effetto sugli ammalati. Lo studio del genoma di zanzara e parassita ha mostrato però che le resistenze sono dovute alla modificazione di alcuni geni. Si potrebbe quindi sperare in una terapia genica per affilare di nuovo le armi contro questa malattia che uccide un milione di persone ogni anno. L'altro grande risultato del 2002 è la mappatura del genoma del topo. Grazie alla grande somiglianza genetica tra topi ed esseri umani, questo risultato è una chiave essenziale per decifrare i segre ti del nostro patrimonio genetico. Del resto, ogni giorno circa 25 milioni di topolini nei laboratori di ricerca di tutto il mondo aiutano i ricercatori a comprendere il funzionamento del Dna e quindi a trovare vie per contrastare pericolose malattie. Ora che gli scienziati dispongono sia della mappa del genoma dell'uomo che di quella del topo possono metterle a confronto e, usando i topi in sperimentazioni impensabili sugli esseri umani, possono studiare i geni in azione in modo da comprendere come funzionano. E ancora: è di pochi giorni fa la notizia che un gruppo di ricercatori di una decina di Paesi, coordinati dal Giappone, hanno decodificato il genoma del riso. Anche qui la scoperta potrebbe avere conseguenze importanti, aprendo la porta a interventi per produrre varietà di riso più resistenti a malattie e insetti, contribuendo così alla lotta contro la fame nel mondo, dove almeno una metà della popolazione trova nel riso l'alimento base e dove circa 800 milioni di persone soffrono di malnutrizione. Dalle malattie rare a quelle diffuse Ma il fatto più importante che la ricerca sul genoma ha prodotto è quella che abbiamo chiamato una rivoluzione culturale, un cambiamento di prospettiva che si è andato precisando proprio nel corso degli ultimi mesi. Per alcuni decenni le conoscenze nel campo della genetica hanno avuto un ruolo importante nella cura di malattie genetiche rare, ma un ruolo quasi inesistente nella cura delle malattie che affliggono la maggioranza degli individui. Oggi siamo entrati in un periodo di transizione nel quale specifiche conoscenze genetiche diventano critiche per l'assistenza della salute di ogni cittadino. Qui dunque si misura la differenza tra genetica e genomica. Laddove la prima è lo studio dei singoli geni e dei loro effetti, la seconda è invece lo studio delle funzioni e delle interazioni di tutti i geni presenti nel genoma. Gli obiettivi della genomica sono ambiziosi: intervenire non solo in quelle malattie determinate d alla modificazione di un singolo gene (ad esempio, l'anemia mediterranea), ma anche in quelle dovute all'interazione tra molti geni diversi e fattori ambientali: i cosiddetti disordini multifattoriali. Si tratta delle malattie più diffuse, come il cancro, il diabete, l'asma, l'Aids, il Parkinson, l'Alzheimer, la tubercolosi. Le promesse della postgenomica Nell'arco di quest'ultimo anno, dunque, si è aperta una nuova era: l'era della postgenomica, ovvero quella in cui si cerca di tradurre il linguaggio del genoma in informazioni che siano utilizzabili per applicazioni cliniche, dalla diagnosi alle terapie. E le sue promesse sono allettanti. Si possono identificare le varianti genetiche che determinano la risposta di un paziente a un farmaco, aprendo la strada alle terapie personalizzate. Si possono vedere le differenze genetiche tra due malattie che oggi vengono trattate nello stesso modo. Si possono avere indicazioni precise sul bersaglio da abbattere per far regredire la malattia, eliminando i farmaci che colpiscono indiscriminatamente tutte le cellule dell'organismo. Alcuni risultati si sono già raggiunti: la ricerca sul cancro al seno che abbiamo ricordato all'inizio è un esempio di questa nuova strada. E basta pensare che questa malattia colpisce il 10% delle donne nei paesi occidentali, per capire il grande impatto che questo nuovo approccio può avere rispetto alla medicina genetica che conoscevamo. Se, come scrive Christopher Mathew sul British Medical Journal, «le promesse del genoma vengono mantenute anche solo parzialmente, i prossimi 10 anni vedranno la genetica uscire rapidamente fuori dai confini dei centri specialistici per entrare nella assistenza medica di routine». La rivoluzione entra nelle nostre case. Il futuro della genomica e la proteomica 13.01.2003 Il sogno della proteomica di Ivano Eberini* Una volta a Siena mi capitò di incontrare un anziano signore che da tanti anni porta con sé un sogno. Norman G. Anderson, prima che qualcuno pensasse anche al più rudimentale progetto genoma, aveva già intuito l'importanza di un progetto proteoma. Quando non avevamo ancora nemmeno iniziato a catalogare i geni, c'era chi aveva già capito che i veri attori biologici, su cui concentrarsi per comprendere i meccanismi molecolari dell'insorgenza delle malattie ed il più intimo meccanismo di azione dei farmaci, sono le proteine. Si sarebbe potuto usare il verbo 'catalogare' anche parlando di proteine, soprattutto se interpretiamo con eccessivo zelo la definizione del termine 'proteomica'. Coniato per analogia con il vocabolo genomica, il termine proteomica indica lo studio di tutte le proteine espresse da un organismo, tessuto o cellula in un preciso istante. La proteomica è una scienza più complessa della genomica per una lunga serie di motivi. Il principale è che le molte cellule di uno stesso organo esprimono proteine diverse e che perfino lo stesso tipo cellulare in condizioni diverse (età, malattia, ambiente, ecc.) esprime proteine differenti. Come ogni scienza che si rispetti, anche la proteomica si avvale di metodologie specifiche, molte delle quali ancora in fase di perfezionamento: elettroforesi bidimensionale, spettrometria di massa, analisi statistica. Ma allora tutti quelli che nel loro laboratorio fanno un'elettroforesi bidimensionale oppure impiegano uno spettrometro di massa stanno facendo proteomica? La risposta a questa domanda non è ovvia e solleva continue discussioni fra gli addetti ai lavori, soprattutto in un periodo in cui i termini che finiscono in '-omica' sembrano andare decisamente di moda. Quello che in realtà distingue la proteomica dalle scienze biologiche più classiche è la filosofia con cui ci si pongono i quesiti e si cercano le risposte. Con le tecniche classiche, un ricercatore deve avanzare un'ipotesi a priori e poi pensare e realizzare un esperimento ad hoc che confermi o smentisca tale ipotesi. Al contrario la proteomica è una scienza con un approccio olistico: non dobbiamo fare ipotesi a priori - sempre restrittive perché ci obbligano a focalizzare la nostra attenzione su una particolare proteina o al massimo su uno specifico sistema. Piuttosto dobbiamo scegliere il sistema che ci interessa ed analizzarlo in toto. Il confronto fra un tessuto sano ed uno malato può infatti mostrare un gran numero di proteine alterate. Ma è solamente l'identificazione di tutte queste proteine e della loro funzione che può permetterci a posteriori di comprendere il complesso meccanismo di insorgenza e progressione di una malattia. Lo stesso ragionamento si può fare nel caso si desideri studiare il meccanismo di azione di un farmaco. Un esempio molto elegante di approccio proteomico ci viene da un lavoro di Ileana Zucchi, Luca Bini, Renato Dulbecco e collaboratori che hanno contribuito a chiarire a livello molecolare un importante meccanismo di differenziamento della ghiandola mammaria, organo decisamente difficile da studiare a causa della complessa organizzazione dei suoi tessuti**. Chiarire i meccanismi di differenziamento delle cellule della ghiandola mammaria è un obiettivo molto rilevante anche per una migliore comprensione dell' insorgenza delle patologie della mammella, quali ad esempio le neoplasie (cancri). Quello proteomico è quindi un approccio fortemente non riduzionistico, che ci aiuta a comprendere la realtà senza trascurare la complessità, che è parte di tutti i fenomeni biologici che caratterizzano la vita. E allora il sogno di Norman? Il suo valore per l'epoca in cui è stato formulato è enorme e presto sono certo che lo vedremo avverarsi. Ma la proteomica non può e non deve essere una copia della genomica: l'obiettivo non è descrivere tutti gli eventi nel dettaglio, ma sforzarci di comprendere meglio i meccanismi attraverso cui questi eventi si realizzano. Fondamentali sono un'oculata scelta dei sistemi da studiare, dei metodi per l'analisi dei dati raccolti e del personale reclutato per il lavoro di ricerca, altrimenti si rischia di sprecare una grande occasione. Vi ricordate come diceva quella pubblicità? «La potenza è nulla senza il controllo». *Dipartimento di Scienze farmacologiche dell'Università di Milano **I. Zucchi et al.; PNAS; May 8, 2001; vol. 98; no. 10; pag 5608 e I. Zucchi et al; PNAS; June 25, 2002; vol. 99; no. 13; pag. 8660.
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