il futuro della genomica



da l'unità

02.01.2003
Genoma: la rivoluzione entra in casa

di Cristiana Pulcinelli

 Caterina ha 40 anni e le è stato diagnosticato un tumore al seno. Potrebbe
cavarsela con l'intervento chirurgico e la radioterapia locale, oppure
potrebbe aver bisogno di una chemioterapia e di una cura ormonale. Per
decidere quale strategia adottare, il medico si basa su alcuni parametri: la
grandezza del tumore, l'età della paziente, lo stato dei suoi linfonodi.
L'analisi di questi dati però dà una risposta imperfetta. Il che vuol dire
che Caterina potrebbe aver bisogno di una chemioterapia che non le viene
praticata o, al contrario, potrebbe prendere farmaci che provocano gravi
effetti collaterali senza una valida ragione. Da oggi però le cose possono
cambiare. Attraverso un'analisi dell'attivazione dei geni in un frammento
del tessuto tumorale, il medico potrebbe sapere che tipo di tumore ha
colpito Caterina e quale sarà la sua prognosi con una notevole precisione.
Sulla base di queste informazioni, potrebbe quindi prescrivere una cura
disegnata sul profilo della sua paziente.
Non stiamo parlando di fantascienza, ma di uno studio pubblicato sull'ultimo
numero della prestigiosa rivista medica New England Journal of Medicine. È
uno studio che contiene una novità: i ricercatori non hanno analizzato i
geni del tumore al seno di 295 pazienti, ma sono andati a guardare
l'espressione di quei geni, ossia quali geni di quel tumore erano «accesi» e
quali «spenti». Così facendo hanno visto che l'attività di una settantina di
geni era strettamente correlata alla prognosi della malattia. A seconda di
come quei geni lavorano, in sostanza, le donne hanno una buona o una cattiva
probabilità di guarigione. Si può capire da questo esempio qual è la
rivoluzione culturale, il cambiamento di prospettiva radicale che si è
prodotto nel campo della genetica durante l'ultimo anno? La nuova era,
quella della terapia personalizzata, del farmaco intelligente che colpisce
solo il bersaglio voluto, dell'applicazione della genetica alle malattie di
massa è già cominciata, prima ancora che ce ne accorgessimo.
Ma, accanto a questo fenomeno, nel corso degli ultimi mesi un'inaspettata
accelerazione della ricerca ha fatto balzare il patrimonio genetico al
centro della scena scientifica. È per questo che, nonostante l'annuncio
della decifrazione dell'intero Dna di un essere umano risalga a febbraio
2001, il 2002 ci sembra si possa definire l'anno del genoma. Dalla bozza al
testo definitivo In primo luogo c'è da dire che l'annuncio del 2001
riguardava una prima bozza del sequenziamento del patrimonio genetico umano.
Da quel momento scienziati in tutto il mondo hanno cominciato a lavorare
all'assemblaggio finale. Si è calcolato che l'intera sequenza del Dna
dovrebbe essere completata nella primavera del 2003. A settembre 2002,
tuttavia, oltre il 90% aveva già assunto la forma definitiva, ovvero i vari
pezzi erano stati messi insieme nello stesso ordine nel quale sono presenti
nelle nostre cellule, senza salti e con un'accuratezza che supera il 99,9%.
Abbiamo dunque per le mani una versione pressoché definitiva del «manuale di
istruzioni per la vita», in esso troviamo tutto ciò che serve per la
«costruzione» di un essere umano. Oggi sappiamo che questo «manuale»,
presente in ogni singola cellula, contiene da 30 a 35 mila geni (un numero
più piccolo di quello che ci si aspettava). E che è composto da una serie di
tre miliardi di lettere: a metterle tutte di seguito riempiremmo 6000 volumi
dell'Enciclopedia Britannica.

Topi, zanzare e riso

La ricerca genetica ha subito nel corso di quest'anno un'accelerazione
notevole, spinta probabilmente dai buoni risultati del progetto genoma
umano. Nel corso del 2002 si è giunti ad alcuni risultati così significativi
da essere stati inseriti nella lista delle dieci scoperte più importanti
dell'anno stilata dalla prestigiosa rivista scientifica «Science». Il primo
risultato è il sequenziamento del Dna del parassita che causa la malaria e
della zanzara che lo trasmette. Le due ricerche, pubblicate su Science e
Nature, hanno un indiscutibile valore teorico, ma anche un possibile e
auspicabile valore pratico: la malaria è al secondo posto nella lista delle
malattie infettive che uccidono di più e le armi che nel Ventesimo secolo
erano state trovate per combatterla si sono spuntate nel corso del tempo.
Ormai le zanzare sono resistenti a quasi tutti gli insetticidi e il
plasmodio ha sviluppato delle resistenze al farmaco principale contro la
malaria, la clorochina, che quindi non ha quasi più effetto sugli ammalati.
Lo studio del genoma di zanzara e parassita ha mostrato però che le
resistenze sono dovute alla modificazione di alcuni geni. Si potrebbe quindi
sperare in una terapia genica per affilare di nuovo le armi contro questa
malattia che uccide un milione di persone ogni anno. L'altro grande
risultato del 2002 è la mappatura del genoma del topo. Grazie alla grande
somiglianza genetica tra topi ed esseri umani, questo risultato è una chiave
essenziale per decifrare i segre ti del nostro patrimonio genetico.
Del resto, ogni giorno circa 25 milioni di topolini nei laboratori di
ricerca di tutto il mondo aiutano i ricercatori a comprendere il
funzionamento del Dna e quindi a trovare vie per contrastare pericolose
malattie. Ora che gli scienziati dispongono sia della mappa del genoma
dell'uomo che di quella del topo possono metterle a confronto e, usando i
topi in sperimentazioni impensabili sugli esseri umani, possono studiare i
geni in azione in modo da comprendere come funzionano. E ancora: è di pochi
giorni fa la notizia che un gruppo di ricercatori di una decina di Paesi,
coordinati dal Giappone, hanno decodificato il genoma del riso. Anche qui la
scoperta potrebbe avere conseguenze importanti, aprendo la porta a
interventi per produrre varietà di riso più resistenti a malattie e insetti,
contribuendo così alla lotta contro la fame nel mondo, dove almeno una metà
della popolazione trova nel riso l'alimento base e dove circa 800 milioni di
persone soffrono di malnutrizione.

Dalle malattie rare a quelle diffuse

Ma il fatto più importante che la ricerca sul genoma ha prodotto è quella
che abbiamo chiamato una rivoluzione culturale, un cambiamento di
prospettiva che si è andato precisando proprio nel corso degli ultimi mesi.
Per alcuni decenni le conoscenze nel campo della genetica hanno avuto un
ruolo importante nella cura di malattie genetiche rare, ma un ruolo quasi
inesistente nella cura delle malattie che affliggono la maggioranza degli
individui. Oggi siamo entrati in un periodo di transizione nel quale
specifiche conoscenze genetiche diventano critiche per l'assistenza della
salute di ogni cittadino. Qui dunque si misura la differenza tra genetica e
genomica. Laddove la prima è lo studio dei singoli geni e dei loro effetti,
la seconda è invece lo studio delle funzioni e delle interazioni di tutti i
geni presenti nel genoma. Gli obiettivi della genomica sono ambiziosi:
intervenire non solo in quelle malattie determinate d alla modificazione di
un singolo gene (ad esempio, l'anemia mediterranea), ma anche in quelle
dovute all'interazione tra molti geni diversi e fattori ambientali: i
cosiddetti disordini multifattoriali. Si tratta delle malattie più diffuse,
come il cancro, il diabete, l'asma, l'Aids, il Parkinson, l'Alzheimer, la
tubercolosi.

Le promesse della postgenomica

Nell'arco di quest'ultimo anno, dunque, si è aperta una nuova era: l'era
della postgenomica, ovvero quella in cui si cerca di tradurre il linguaggio
del genoma in informazioni che siano utilizzabili per applicazioni cliniche,
dalla diagnosi alle terapie. E le sue promesse sono allettanti. Si possono
identificare le varianti genetiche che determinano la risposta di un
paziente a un farmaco, aprendo la strada alle terapie personalizzate. Si
possono vedere le differenze genetiche tra due malattie che oggi vengono
trattate nello stesso modo. Si possono avere indicazioni precise sul
bersaglio da abbattere per far regredire la malattia, eliminando i farmaci
che colpiscono indiscriminatamente tutte le cellule dell'organismo. Alcuni
risultati si sono già raggiunti: la ricerca sul cancro al seno che abbiamo
ricordato all'inizio è un esempio di questa nuova strada. E basta pensare
che questa malattia colpisce il 10% delle donne nei paesi occidentali, per
capire il grande impatto che questo nuovo approccio può avere rispetto alla
medicina genetica che conoscevamo. Se, come scrive Christopher Mathew sul
British Medical Journal, «le promesse del genoma vengono mantenute anche
solo parzialmente, i prossimi 10 anni vedranno la genetica uscire
rapidamente fuori dai confini dei centri specialistici per entrare nella
assistenza medica di routine». La rivoluzione entra nelle nostre case.


Il futuro della genomica e la proteomica

13.01.2003

Il sogno della proteomica

di Ivano Eberini*

 Una volta a Siena mi capitò di incontrare un anziano signore che da tanti
anni porta con sé un sogno.

Norman G. Anderson, prima che qualcuno pensasse anche al più rudimentale
progetto genoma, aveva già intuito l'importanza di un progetto proteoma.
Quando non avevamo ancora nemmeno iniziato a catalogare i geni, c'era chi
aveva già capito che i veri attori biologici, su cui concentrarsi per
comprendere i meccanismi molecolari dell'insorgenza delle malattie ed il più
intimo meccanismo di azione dei farmaci, sono le proteine.

Si sarebbe potuto usare il verbo 'catalogare' anche parlando di proteine,
soprattutto se interpretiamo con eccessivo zelo la definizione del termine
'proteomica'. Coniato per analogia con il vocabolo genomica, il termine
proteomica indica lo studio di tutte le proteine espresse da un organismo,
tessuto o cellula in un preciso istante.

La proteomica è una scienza più complessa della genomica per una lunga serie
di motivi. Il principale è che le molte cellule di uno stesso organo
esprimono proteine diverse e che perfino lo stesso tipo cellulare in
condizioni diverse (età, malattia, ambiente, ecc.) esprime proteine
differenti.

Come ogni scienza che si rispetti, anche la proteomica si avvale di
metodologie specifiche, molte delle quali ancora in fase di perfezionamento:
elettroforesi bidimensionale, spettrometria di massa, analisi statistica. Ma
allora tutti quelli che nel loro laboratorio fanno un'elettroforesi
bidimensionale oppure impiegano uno spettrometro di massa stanno facendo
proteomica?

La risposta a questa domanda non è ovvia e solleva continue discussioni fra
gli addetti ai lavori, soprattutto in un periodo in cui i termini che
finiscono in '-omica' sembrano andare decisamente di moda.

Quello che in realtà distingue la proteomica dalle scienze biologiche più
classiche è la filosofia con cui ci si pongono i quesiti e si cercano le
risposte. Con le tecniche classiche, un ricercatore deve avanzare un'ipotesi
a priori e poi pensare e realizzare un esperimento ad hoc che confermi o
smentisca tale ipotesi. Al contrario la proteomica è una scienza con un
approccio olistico: non dobbiamo fare ipotesi a priori - sempre restrittive
perché ci obbligano a focalizzare la nostra attenzione su una particolare
proteina o al massimo su uno specifico sistema. Piuttosto dobbiamo scegliere
il sistema che ci interessa ed analizzarlo in toto. Il confronto fra un
tessuto sano ed uno malato può infatti mostrare un gran numero di proteine
alterate. Ma è solamente l'identificazione di tutte queste proteine e della
loro funzione che può permetterci a posteriori di comprendere il complesso
meccanismo di insorgenza e progressione di una malattia. Lo stesso
ragionamento si può fare nel caso si desideri studiare il meccanismo di
azione di un farmaco.

Un esempio molto elegante di approccio proteomico ci viene da un lavoro di
Ileana Zucchi, Luca Bini, Renato Dulbecco e collaboratori che hanno
contribuito a chiarire a livello molecolare un importante meccanismo di
differenziamento della ghiandola mammaria, organo decisamente difficile da
studiare a causa della complessa organizzazione dei suoi tessuti**. Chiarire
i meccanismi di differenziamento delle cellule della ghiandola mammaria è un
obiettivo molto rilevante anche per una migliore comprensione dell'
insorgenza delle patologie della mammella, quali ad esempio le neoplasie
(cancri).

Quello proteomico è quindi un approccio fortemente non riduzionistico, che
ci aiuta a comprendere la realtà senza trascurare la complessità, che è
parte di tutti i fenomeni biologici che caratterizzano la vita.

E allora il sogno di Norman? Il suo valore per l'epoca in cui è stato
formulato è enorme e presto sono certo che lo vedremo avverarsi. Ma la
proteomica non può e non deve essere una copia della genomica: l'obiettivo
non è descrivere tutti gli eventi nel dettaglio, ma sforzarci di comprendere
meglio i meccanismi attraverso cui questi eventi si realizzano. Fondamentali
sono un'oculata scelta dei sistemi da studiare, dei metodi per l'analisi dei
dati raccolti e del personale reclutato per il lavoro di ricerca, altrimenti
si rischia di sprecare una grande occasione.

Vi ricordate come diceva quella pubblicità? «La potenza è nulla senza il
controllo».


*Dipartimento di Scienze farmacologiche dell'Università di Milano

**I. Zucchi et al.; PNAS; May 8, 2001; vol. 98; no. 10; pag 5608 e I. Zucchi
et al; PNAS; June 25, 2002; vol. 99; no. 13; pag. 8660.