acqua in bottiglia scandalo sommerso



da cunegonda.it
dicembre 2003


Acqua in bottiglia. Scandalo sommerso
 I Paesi sfruttati, altrimenti detti compassionevolmente Paesi poveri da noi
occidentali, soffrono la carenza di acqua potabile: la sete e le malattie
causate dall'inquinamento dei pozzi rappresentano veri e propri flagelli che
portano a morte milioni di esseri umani. L'acqua, non sarà mai inutile
ricordarlo, è il problema vitale del presente e del futuro. Nell'Italia
benestante l'acqua, oltre che essere un problema, è divenuta l'oggetto di
uno dei più stupefacenti casi di suggestione collettiva che la storia
conosca: il fenomeno dell'acqua in bottiglia.

Nel Sud del mondo, nelle realtà più povere, l'acqua corrente il più delle
volte non è disponibile, perché non ci sono acquedotti, depuratori. Ci sono
solo sorgenti, pozzi, acquiferi naturali presso i quali ci si reca
periodicamente per fare scorta d'acqua. Questa è la realtà, per esempio, di
molta parte del continente africano. In Italia la realtà è molto diversa:
esistono gli acquedotti, l'acqua corrente è presente nel 98% degli edifici,
e ci sono depuratori moderni che forniscono acqua pulita a intere città.
Come in Africa, tuttavia, la maggioranza delle persone si reca
periodicamente a fare scorta d'acqua: al supermercato. Perché?

Il mercato dell'acqua in bottiglia non solo distrae l'opinione pubblica dal
nucleo del problema che risulta essere invece quello della salvaguardia di
un bene che deve rimanere pubblico (gli acquiferi naturali, laghi, fiumi,
falde), ma mina alla radice le logiche della sostenibilità ambientale dal
momento che enormi quantità di CO2 vengono prodotte a causa del trasporto su
gomma delle centinaia di milioni di litri d'acqua, da un capo all'altro del
Paese. Un altro aspetto assolutamente deleterio per il discorso energetico è
rappresentato dall'impressionante numero di bottiglie di plastica che
vengono continuamente prodotte e riciclate ad un ritmo vertiginoso, tanto
vertiginoso che le imprese di smaltimento stentano a seguirne il passo, ed è
così che, ogni tanto, assolutamente per caso, e in maniera evidentemente
fortuita, i depositi di plastica vanno stranamente a fuoco. Ci avete fatto
caso?

Per queste ragioni, l'acqua minerale è stata inclusa tra gli otto mali che
affliggono l'acqua in Italia nel controforum organizzato a Firenze negli
stessi giorni del Terzo forum mondiale dell'acqua che si è tenuto a Kyoto
nel marzo 2003. L'acqua minerale in effetti è un male, e non andrebbe
comprata, e l'unica ragione che potrebbe giustificarne ulteriormente il
consumo, cioè la sua pretesa purezza rispetto all'acqua di rubinetto, è
crollata sotto il peso dei controlli e della legislazione vigente. Proviamo
quindi a fare luce su tre aspetti legati a doppio filo con il fenomeno tutto
italiano delle acque minerali, sulla base del "Rapporto sullo stato delle
acque in Italia", a cura di Riccardo Petrella, presidente del Comitato
italiano del contratto dell'acqua.

L'acqua in bottiglia non è più pura di quella di rubinetto. Anzi, l'acqua
minerale potrebbe essere contaminata e pericolosa per la salute. Anzitutto
l'acqua minerale non è considerata dal legislatore un'acqua potabile, ma
come un'acqua terapeutica in ragione di certe caratteristiche
fisico-chimiche che ne suggeriscono un uso per fini specifici. Per queste
ragioni è consentito alle acque minerali di contenere sostanze come
l'arsenico, il sodio, il cadmio in quantità superiori a quelle consentite
per l'acqua potabile. Mentre non è permesso all'acqua potabile di avere più
di 10µg/l (microgrammi per litro) di arsenico, è frequente che la maggior
parte delle acque minerali siano contenute 40/50µg/l di arsenico senza
l'obbligo di dichiararlo sulle etichette. Lo stesso vale per altre sostanze.
Una clamorosa omissione che può essere pericolosa per la salute di chi beve
acqua minerale per anni senza controllo medico. Ricordiamo, inoltre, che nel
febbraio 2000, l'Italia ha ricevuto un ammonimento da parte della
Commissione dell'Unione europea, perché i valori massimi previsti per alcune
sostanze tossiche e indesiderabili nelle acque minerali italiane erano
superiori alle norme imposte a livello comunitario. Per capire cosa
rischiamo sarà sufficiente dare una occhiata alla tabella.

L'acqua in bottiglia è un business ai danni dello Stato. L'acqua minerale è
molto più cara dell'acqua di rubinetto: dalle 300 alle 600 e persino 1000
volte più cara. Secondo gli ultimi dati, derivati da un'inchiesta della
Federconsumatori, il costo medio in Italia di 200 metri cubi d'acqua
potabile, corrisponde al consumo medio di una famiglia, è pari, nel 2000, a
361.269 lire annue, cioè 1806 lire al metrocubo (0.93 euro). Un guadagno di
dimensioni colossali: ma l'acqua non è un bene demaniale, e quindi, secondo
quanto recita la legge Galli del 1994, parte del patrimonio inalienabile
delle Regioni? E quanto costa una concessione per lo sfruttamento di questo
bene? Poco, molto poco, dato che le regioni hanno ceduto il diritto di
gestione delle acque minerali a tariffe incredibilmente basse. Quindi, non è
così insensato affermare che lo sfruttamento di questo bene avviene con il
formale nulla osta delle autorità pubbliche.

Il caso della Lombardia: nel
2000 a fronte di 8 miliardi di litri di acqua estratti, la regione Lombardia
ha incassato ben (si fa per dire) 300 milioni di lire, una miseria rispetto
agli incassi delle imprese private.

Inoltre, la bottiglia in plastica fa risparmiare le imprese ma grava sulle
casse pubbliche. Il costo di una bottiglia in PET è di circa un cent contro
i 25 cent per una bottiglia in vetro. I costi dello smaltimento ricadono
invece sulle regioni che spendono di più di quanto incassino dai canoni
delle concessioni di sfruttamento delle fonti.

Profitto per le imprese,
indebitamento per lo stato. Il rogo dei depositi (acidentale, ovviamente) è
uno dei tanti modi per tagliare i costi di smaltimento.

Non appare sorprendente quindi l'impegno delle multinazionali sul fronte
delle acqua minerali: il consumo insensato di acque minerali in Italia è
sostenuto da imponenti e costose campagne pubblicitarie. Il business dell'
acqua minerale è chiaramente un business a forte concentrazione industriale
e finanziaria. Il grande business delle minerali in Italia è infatti
saldamente nelle mani della Nestlé e della Danone. Nestlé (multinazione
svizzera) e Danone (francese) sono rispettivamente la numero uno e la numero
due delle imprese mondiali d'acqua imbottigliata. Da sole rappresentano più
del 30% del mercato mondiale. Nestlé possiede più di 260 marche d'acqua
minerale in tutto il mondo, fra cui Vittel, Contrex, Terrier (la più
importante del mondo) e le italiane San Pellegrino, Lievissima, Panna. Fanno
parte invece della Danone: Ferrarelle, San Benedetto (Guizza).

L'acqua in bottiglia è solo il primo stadio di un processo. Business chiama
business, e i colossali profitti che le multinazionali dell'acqua in
bottiglia stanno realizzando solo lo stimolo per un ulteriore fase del
processo: privatizzare l'acqua del rubinetto. Se lo stato italiano non
solleva alcuna obiezione economica, politica, sociale, etica e risulta
essere così tonto (o complice?) da permettere profitti così alti, e se la
popolazione, debitamente disinformata, è così disponibile a comprare acqua,
allora perché non vendergli anche quella del rubinetto, e a caro prezzo?
Perché le imprese private non dovrebbero prendersi cura anche dei servizi
idrici? Arezzo è stata la prima città italiana a indire una gara d'appalto,
vinta dalla Suez Lyonnaise Des Eaux che ora ha la concessione degli
impianti. E numerose città italiane stanno facendo lo stesso. Con che
effetti sulla bolletta e sulla qualità dell'acqua rimane tutto da vedere.

Ma l'acqua di rubinetto molte volte è già arrivata sugli scaffali dei
supermercati. Attirate dagli alti livelli di profitto e dalla allettanti
promesse future del business acqua, potenti imprese come la Coca Cola sono
entrate anch'esse nel settore introducendo un nuovo tipo di "acqua da bere",
l'acqua purificata. L'acqua "purificata" non è altro che acqua d'acquedotto
sottoposta ad alcune operazioni di demineralizzazione e di declorizzazione.
Passo dopo passo, il legislatore ha autorizzato anche in Italia la vendita
in bottiglia dell'acqua di rubinetto. Una grande confusione caratterizza
sempre più il business dell'acqua composto da un numero crescente di tipi d'
acqua: acqua potabile di rubinetto, acqua da tavola (si tratta di acque da
potabili in bottiglia), acqua potabile in bottiglia "naturale" con aggiunta
di anidride carbonica, acqua "purificata", acqua naturale minerale (acqua
minimamente mineralizzata, acqua oligominerale, acqua minerale terapeutica),
acqua di sorgente (cioè acqua potabile prelevata alla fonte ma che non può
essere clorata. Tutte le acque minerali sono di sorgente ma non tutte le
acque di sorgente sono minerali), acqua di sorgente "naturale", acqua di
falda.

E in questa confusione sbucano anche imprese che con l'acqua non hanno mai
avuto alcun rapporto, come la Parmalat che, per esempio, ha messo
recentemente sul mercato una sua acqua in bottiglia, l'acqua Parlamat. E'
chiaro che tutti vogliono entrare nel grande affare delle acque minerali,
perché i profitti in gioco sono enormi. Ma fino a quando? Tutto ha una fine.
Un po' a causa del caro Euro, un po' in virtù di una accresciuta cultura
relativa al problema, i cittadini stanno imparando a rinunciare all'inutile
acqua minerale, semplicemente girando un rubinetto, o magari ricorrendo ad
alternative tecnologiche a basso impatto economico come per esempio l'
installazione di un piccolo depuratore casalingo.

Forse per l'acqua in bottiglia vale il principio della critica dei consumi
rispetto a quello del consumo critico. Non spetta a noi indicare questa o
quella impresa distributrice di acque minerali da sottoporre a boicottaggio,
ma è nostra responsabilità quella di modificare i nostri stili di consumo
con l'obiettivo di non assecondare un disegno generale finalizzato alla
privatizzazione di un bene pubblico e vitale come l'acqua.

I dati riportati sono tratti da un libro pubblicato di recente sull'
argomento, e che consigliamo a tutti. Si tratta di Giuseppe Altamore,
Qualcuno vuol darcela a bere, Fratelli Frilli editori, 2003.

[Gianni, Redazione Cunegonda Italia]