deregulation e uso del territorio



da liberazione
domenica 28 dicembre 2003

Deregulation e uso del territorio fuori da ogni disegno coerente: salviamoci
dagli «improvvisatori»

La "nuova" urbanistica liberista.
E la città diventa occasionale

Nel 1943 Giuseppe de Finetti, singolare figura di architetto e urbanista
milanese, che nell'immediato dopoguerra ricoprì anche l'incarico di
assessore nella deputazione ciellenistica alla Provincia di Milano, in uno
scritto profeticamente intitolato "Per la città del 2000", con singolare
antiveggenza scriveva: «Guai a lasciar prendere la mano ai praticoni od ai
cosiddetti uomini d'azione, che credono di fare la civiltà d'oggi perché
costruiscono case o producono beni industriali o commerciano le merci od il
danaro e lo fanno sempre con furia gloriandosi della velocità della loro
azione e del loro successo, ma sciupando la civiltà del domani, l'industria
del domani, la ricchezza del domani. E questi realizzatori noi sappiamo sin
d'ora che balzeranno alla ribalta alla prima occasione a bandire programmi
mirabolanti e semplicistici, a chiedere libero campo per le loro imprese, a
battersi per il sistema del fare pur di fare perché il tempo stringe e la
necessità è grande. Conviene dunque precederli e cercar di fissare qualche
concetto fondamentale per lo sviluppo della città, che valga anche a
difenderla dagli improvvisatori».
Sono parole di straordinaria attualità che mi sono tornate alla mente
leggendo l'articolo di Giuseppe Campos Venuti pubblicato sul numero 190 di
"Urbanistica Informazioni", in cui lo storico protagonista di tante
battaglie contro la rendita fondiaria dichiara: «Non ci resta altra strada
che approfittare della proposta avanzata dall'on. Lupi (Fi) e di quella
dell'on. Mantini (Margherita) per rilanciare il dibattito sulla riforma
della legge (urbanistica) e del piano, non potendo accettare come terreno di
confronto l'elefantiaco progetto dell'on. Sandri (Ds), che rappresenta nella
forma e nella sostanza un arretramento preoccupante rispetto al testo
licenziato nella passata legislatura dalla Commissione parlamentare
presieduta dall'on Lorenzetti (Ds)».
Se accettassimo questa rinunciataria impostazione si affermerebbe
definitivamente una concezione urbanistica caratterizzata dal più dilagante
liberismo in termini di uso della città e del territorio, al di fuori di
qualunque disegno urbano coerente e consapevolmente assunto da parte della
collettività. I progetti di legge indicati da Campos come terreno di
confronto, infatti, non fanno altro (un po' come è accaduto per il sistema
televisivo) che fotografare la destrutturazione logica dell'apparato
legislativo in campo urbanistico registratasi in una serie di legislazioni
regionali che si sono andate evolvendo in modo del tutto eterogeneo sotto la
spinta della deregulation introdotta nel 1992 dalla legge Botta Ferrarini e
smantellando via via le storiche conquiste ottenute dalla sinistra con la
Legge Ponte del 1967 e la legge Bucalossi del 1977.
Si è consentito, infatti, ai privati di avanzare proposte di edificare aree
e quantità non previste come tali dai piani regolatori, sulla base di
contrattazioni spesso assai poco limpide con amministrazioni comunali che si
dimostrano sempre più condizionabili, quando non apertamente conniventi con
gli interessi particolaristici consolidati. La prospettiva di quei disegni
di legge è, dunque, quella che Francesco Indovina ha connotato come la città
occasionale.
Essa ha avuto i suoi prodromi nelle Colombiadi, nei Mondiali di calcio, nel
Giubileo e oggi prosegue con le Olimpiadi invernali in Piemonte ed i
Mondiali di sci in Valtellina. La Coppa America per ora è sventata, ma
qualcosa d'altro non tarderà ad arrivare. Insomma, panem (per imprese e
proprietari d'aree) et circenses (per i sudditi teleguidati).
Occorre che il nostro Partito si dichiari nettamente contrario a questa
prospettiva e apra da subito una discussione su un'ipotesi alternativa di
legge urbanistica quadro nazionale che, ferma restando la possibilità per le
regioni di declinarne al meglio i principi, si basi, tuttavia, sulla
prevalenza dell'interesse pubblico, che in quanto riferito ad una sorta di
carta costituzionale o statuto del territorio su cui la collettività è
insediata, deve essere espresso da decisioni assunte attraverso una vasta
consultazione e maggioranze assai più ampie di quelle della ordinaria
gestione amministrativa.
E' una prospettiva che tenderebbe a fare giustizia di quella congerie di
strumenti deregolativi della pianificazione pubblica diffusisi nello scorso
decennio (piani integrati, piani di riqualificazione, accordi di programma)
e dell'ambigua idea della perequazione, che ha visto una netta divergenza
tra i consiglieri comunali del Prc e lo stesso Campos in sede di
approvazione del Piano regolatore del Comune di Roma e che ora si vorrebbe
legittimare a livello nazionale.
Credo che questa debba essere una delle discriminanti su cui verificare la
possibilità di una convergenza tra le forze politiche su un programma di
reale alternativa al liberismo dilagante che, come dimostrano le parole di
Campos, ha ormai contagiato gran parte di quella che pretenziosamente
vorrebbe ancora definirsi opposizione.

Sergio Brenna

docente di urbanistica
alla Facoltà di Architettura civile
del Politecnico di Milano