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pensioni il confronto che non può partire
- Subject: pensioni il confronto che non può partire
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 5 Jan 2004 08:00:27 +0100
da lavoceinfo.it 22-12-2003 Verso il 10 gennaio Molto rumore per nulla? Tito Boeri e Agar Brugiavini Le vacanze di Natale non sono il momento migliore per parlare di riforme della previdenza, ma è giusto porre un limite di tempo al confronto. Non può andare avanti all'infinito tenendo in ansia milioni di persone. Tuttavia, abbiamo il forte sospetto, confermato dagli interventi di chi ha voluto cortesemente raccogliere il nostro invito a intervenire sul sito, che il confronto non partirà mai. E alla fine tutto si risolverà nel nulla. Oppure avremo solo una riforma "virtuale", che ci toglie l'opzione di intervenire fino al 2008, peraltro non risparmiandoci ore di sciopero e fughe precoci verso le anzianità. Le stesse di cui abbiamo avuto sentore negli ultimi mesi, in cui le domande di prepensionamento cresciute del 20 per cento e si è avuta una estesa conflittualità sociale. Insomma, un bis della vicenda articolo 18. Speriamo solo di essere smentiti. Perché il confronto non può partire Il confronto non può partire perché qualsiasi riforma alternativa a quella messa sul piatto dal Governo dovrebbe iniziare ad entrare in vigore prima del 2008. Il sindacato, lo scrivono chiaramente sia Pierpaolo Baretta (Cisl) che Beniamino Lapadula (Cgil), ritiene irrinunciabile salvaguardare la flessibilità, quanto alle scelte di pensionamento, prevista dal regime contributivo introdotto con la riforma Dini. È un principio condivisibile perché i lavoratori soggetti al regime Dini hanno già pagato e perché, nell'ambito del sistema contributivo, un'andata in pensione prima dei 65 anni è sostenibile per le casse dell'Inps. Le stesse imprese, ce lo ricorda Giulio De Caprariis (Confindustria), preferiscono un sistema di incentivi e disincentivi, insomma correzioni delle prestazioni, piuttosto che interventi che impongano d'imperio un innalzamento dei requisiti contributivi minimi per andare in pensione. Per risparmiare, essere equi e procedere con gradualità, senza stravolgere l 'impianto della riforma Dini, bisogna agire subito, fin dal 2004. Ma quale sindacato potrà mai proporre di tagliare le pensioni a dei lavoratori cui il Governo ha addirittura promesso premi e la certificazione dei diritti acquisiti? I leader di sindacati sempre più vecchi (vedi Galasso) devono fare i conti con le quattro generazioni di lavoratori che matureranno i requisiti per le anzianità da qui al 2008. Non è certo facile far digerire una proposta per loro peggiorativa rispetto a quella del Governo. E l' esempio degli autoferrotranvieri, con i vertici sindacali sconfessati dalla base, è sotto gli occhi di tutti. Peccato, perché il sindacato ha mostrato, anche negli interventi su la voce.info, una certa disponibilità a prendere in considerazione ipotesi di riforma che, in passato, erano tabù. L'intervento di Beniamino Lapadula (Cgil) sottolinea, ad esempio, come riduzioni attuariali delle pensioni di anzianità, debbano essere compensate da un aumento degli ammortizzatori sociali, per non porre problemi di equità. Siamo d'accordo: una riforma che acceleri l'introduzione del metodo contributivo, dovrebbe essere accompagnata dal rafforzamento degli ammortizzatori sociali, soprattutto in questa fascia di età, onde evitare che a farne le spese siano lavoratori forzati ad andare in pensione dai loro datori di lavoro prima dei 65 anni, quando otterrebbero le stesse prestazioni cui hanno oggi diritto. Partendo subito con la riforma, come nota Gabriele Olini (Cisl) sarebbe possibile finanziare ammortizzatori con durate fino a due anni fin dal 2004. E sarebbe un primo passo verso quella riforma complessiva del nostro sistema di protezione sociale auspicata da Pierpaolo Baretta (Cisl). Se volesse davvero aprire il confronto, il Governo dovrebbe allora contemplare anche scenari di riforma con interventi che entrino in vigore fin da subito, senza aspettare il 2008. Sarebbe anche un modo per non contraddire il presidente del Consiglio che nel suo messaggio a reti unificate in ottobre e nella sua conferenza stampa natalizia ha sottolineato che la riforma delle pensioni è improrogabile. Il valore di opzione Senza confronto si rischia di arrivare a uno stallo. Oppure a qualcosa di molto simile alla riforma Tremonti: niente fino al 2008 e poi, in una notte, uno scalone. Meglio di niente, come sembra trasparire dalle ultime righe dell'intervento di De Caprariis? Lasciateci avere qualche dubbio in merito. Non solo perché la riforma Tremonti viola clamorosamente il principio della parità di trattamento (come sottolinea giustamente Elsa Fornero nel suo intervento) e non è politicamente sostenibile lo scalone del 2007, per cui si rischia che alla fine i risparmi siano molto ridotti e mangiati dalle fughe anticipate. Un costo aggiuntivo e spesso ignorato della Tremonti risiede nel fatto che ci fa perdere un valore d'opzione: ci impone di lasciare tutto com'è per quasi metà dei dieci anni, da qui al 2013, prima che cominci a entrare in vigore il regime contributivo. Sono gli unici anni su cui è possibile intervenire senza stravolgere la riforma Dini. Abbiamo già enunciato cosa, a nostro giudizio, sarebbe giusto fare. Lasciatecelo illustrare con una tabella, che ha anche il pregio di fugare alcuni dubbi avanzati da Gabriele Olini nel suo acuto intervento. La tabella mostra i trattamenti previdenziali cui andrebbe soggetto un lavoratore della classe 1954, che non avesse né un progresso, né una riduzione in termini reali del proprio salario negli ultimi anni della propria carriera lavorativa. Mostriamo le prestazioni lorde, a diverse anzianità contributive e anagrafiche con lo status quo, la riforma Tremonti e la riforma delle prestazioni descritta in dettaglio nel nostro intervento precedente. Abbiamo scelto la classe 1954, perché sarebbe la prima cui, nell 'ipotesi di un intervento graduale, si applicherebbero interamente le correzioni attuariali che anticipino l'entrata in vigore del metodo contributivo. La tabella ci dice che la riforma delle prestazioni è molto meno penalizzante della Tremonti per queste classi di età. Questo perché applica le riduzioni attuariali in avanti, cioè alle prestazioni cui il lavoratore avrebbe diritto a 65 anni secondo il regime cui è soggetto (retributivo o misto), anziché imporre, come fa la Tremonti, il metodo contributivo pieno all'indietro. In passato i contributi versati sono stati minori del 32,7 per cento del salario. Per questo motivo, i lavoratori che andassero in pensione dopo il 2008 a 57 anni con 35 anni di contributi, avrebbero con la Tremonti pensioni inferiori al 50 per cento dell'ultimo salario, contro il 63 per cento della riforma delle prestazioni da noi auspicata. In termini di valore atteso netto delle prestazioni (la somma delle prime prestazioni scontate, moltiplicato per la probabilità di andare in pensione tra i 57 e i 65 anni di età) ci dice che la Tremonti riduce il valore presente della prestazione pensionistica di una donna del 21 per cento contro il 15 per cento della riforma alternativa. Nel caso di un uomo, la differenza è ancora più marcata: -28 per cento per la Tremonti contro meno 15 per cento della riforma delle prestazioni, che, a differenza della Tremonti, è neutrale rispetto al genere. Possibili anche maggiorazioni La strada del contributivo, anziché pregiudicare future riforme e creare asimmetrie di trattamento, introduce un principio di equità che può essere anche esteso al di sopra dei 65 anni. Perché, ad esempio, non contemplare maggiorazioni attuariali per chi continua a lavorare dopo i 65 anni di età (il che vuol dire più anni di contributi alle spalle e meno anni in media di ricezione delle prestazioni)? Secondo i nostri calcoli, ritardando la pensione di un paio d'anni, a 67 anni, la lavoratrice e il lavoratore mediani avrebbero diritto a incrementi delle loro pensioni di vecchiaia pari a quasi 2mila euro, arrivando a un tasso di rimpiazzo non lontano dal 100 per cento del loro ultimo salario. Un traguardo raggiungibile per molti, dato l'allungamento della speranza di vita.
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