pensioni il confronto che non può partire



da lavoceinfo.it

22-12-2003

Verso il 10 gennaio

Molto rumore per nulla?

Tito Boeri e Agar Brugiavini

Le vacanze di Natale non sono il momento migliore per parlare di riforme
della previdenza, ma è giusto porre un limite di tempo al confronto. Non può
andare avanti all'infinito tenendo in ansia milioni di persone.
Tuttavia, abbiamo il forte sospetto, confermato dagli interventi di chi ha
voluto cortesemente raccogliere il nostro invito a intervenire sul sito, che
il confronto non partirà mai. E alla fine tutto si risolverà nel nulla.
Oppure avremo solo una riforma "virtuale", che ci toglie l'opzione di
intervenire fino al 2008, peraltro non risparmiandoci ore di sciopero e
fughe precoci verso le anzianità. Le stesse di cui abbiamo avuto sentore
negli ultimi mesi, in cui le domande di prepensionamento cresciute del 20
per cento e si è avuta una estesa conflittualità sociale. Insomma, un bis
della vicenda articolo 18. Speriamo solo di essere smentiti.

Perché il confronto non può partire

Il confronto non può partire perché qualsiasi riforma alternativa a quella
messa sul piatto dal Governo dovrebbe iniziare ad entrare in vigore prima
del 2008.
Il sindacato, lo scrivono chiaramente sia Pierpaolo Baretta (Cisl) che
Beniamino Lapadula (Cgil), ritiene irrinunciabile salvaguardare la
flessibilità, quanto alle scelte di pensionamento, prevista dal regime
contributivo introdotto con la riforma Dini.
È un principio condivisibile perché i lavoratori soggetti al regime Dini
hanno già pagato e perché, nell'ambito del sistema contributivo, un'andata
in pensione prima dei 65 anni è sostenibile per le casse dell'Inps.
Le stesse imprese, ce lo ricorda Giulio De Caprariis (Confindustria),
preferiscono un sistema di incentivi e disincentivi, insomma correzioni
delle prestazioni, piuttosto che interventi che impongano d'imperio un
innalzamento dei requisiti contributivi minimi per andare in pensione.
Per risparmiare, essere equi e procedere con gradualità, senza stravolgere l
'impianto della riforma Dini, bisogna agire subito, fin dal 2004. Ma quale
sindacato potrà mai proporre di tagliare le pensioni a dei lavoratori cui il
Governo ha addirittura promesso premi e la certificazione dei diritti
acquisiti? I leader di sindacati sempre più vecchi (vedi Galasso) devono
fare i conti con le quattro generazioni di lavoratori che matureranno i
requisiti per le anzianità da qui al 2008. Non è certo facile far digerire
una proposta per loro peggiorativa rispetto a quella del Governo. E l'
esempio degli autoferrotranvieri, con i vertici sindacali sconfessati dalla
base, è sotto gli occhi di tutti.
Peccato, perché il sindacato ha mostrato, anche negli interventi su la
voce.info, una certa disponibilità a prendere in considerazione ipotesi di
riforma che, in passato, erano tabù.
L'intervento di Beniamino Lapadula (Cgil) sottolinea, ad esempio, come
riduzioni attuariali delle pensioni di anzianità, debbano essere compensate
da un aumento degli ammortizzatori sociali, per non porre problemi di
equità. Siamo d'accordo: una riforma che acceleri l'introduzione del metodo
contributivo, dovrebbe essere accompagnata dal rafforzamento degli
ammortizzatori sociali, soprattutto in questa fascia di età, onde evitare
che a farne le spese siano lavoratori forzati ad andare in pensione dai loro
datori di lavoro prima dei 65 anni, quando otterrebbero le stesse
prestazioni cui hanno oggi diritto. Partendo subito con la riforma, come
nota Gabriele Olini (Cisl) sarebbe possibile finanziare ammortizzatori con
durate fino a due anni fin dal 2004. E sarebbe un primo passo verso quella
riforma complessiva del nostro sistema di protezione sociale auspicata da
Pierpaolo Baretta (Cisl).
Se volesse davvero aprire il confronto, il Governo dovrebbe allora
contemplare anche scenari di riforma con interventi che entrino in vigore
fin da subito, senza aspettare il 2008. Sarebbe anche un modo per non
contraddire il presidente del Consiglio che nel suo messaggio a reti
unificate in ottobre e nella sua conferenza stampa natalizia ha sottolineato
che la riforma delle pensioni è improrogabile.

Il valore di opzione

Senza confronto si rischia di arrivare a uno stallo. Oppure a qualcosa di
molto simile alla riforma Tremonti: niente fino al 2008 e poi, in una notte,
uno scalone. Meglio di niente, come sembra trasparire dalle ultime righe
dell'intervento di De Caprariis? Lasciateci avere qualche dubbio in merito.
Non solo perché la riforma Tremonti viola clamorosamente il principio della
parità di trattamento (come sottolinea giustamente Elsa Fornero nel suo
intervento) e non è politicamente sostenibile lo scalone del 2007, per cui
si rischia che alla fine i risparmi siano molto ridotti e mangiati dalle
fughe anticipate. Un costo aggiuntivo e spesso ignorato della Tremonti
risiede nel fatto che ci fa perdere un valore d'opzione: ci impone di
lasciare tutto com'è per quasi metà dei dieci anni, da qui al 2013, prima
che cominci a entrare in vigore il regime contributivo. Sono gli unici anni
su cui è possibile intervenire senza stravolgere la riforma Dini.
Abbiamo già enunciato cosa, a nostro giudizio, sarebbe giusto fare.
Lasciatecelo illustrare con una tabella, che ha anche il pregio di fugare
alcuni dubbi avanzati da Gabriele Olini nel suo acuto intervento.
La tabella mostra i trattamenti previdenziali cui andrebbe soggetto un
lavoratore della classe 1954, che non avesse né un progresso, né una
riduzione in termini reali del proprio salario negli ultimi anni della
propria carriera lavorativa. Mostriamo le prestazioni lorde, a diverse
anzianità contributive e anagrafiche con lo status quo, la riforma Tremonti
e la riforma delle prestazioni descritta in dettaglio nel nostro intervento
precedente. Abbiamo scelto la classe 1954, perché sarebbe la prima cui, nell
'ipotesi di un intervento graduale, si applicherebbero interamente le
correzioni attuariali che anticipino l'entrata in vigore del metodo
contributivo.
La tabella ci dice che la riforma delle prestazioni è molto meno
penalizzante della Tremonti per queste classi di età. Questo perché applica
le riduzioni attuariali in avanti, cioè alle prestazioni cui il lavoratore
avrebbe diritto a 65 anni secondo il regime cui è soggetto (retributivo o
misto), anziché imporre, come fa la Tremonti, il metodo contributivo pieno
all'indietro. In passato i contributi versati sono stati minori del 32,7 per
cento del salario.  Per questo motivo, i lavoratori che andassero in
pensione dopo il 2008 a 57 anni con 35 anni di contributi, avrebbero con la
Tremonti pensioni inferiori al 50 per cento dell'ultimo salario, contro il
63 per cento della riforma delle prestazioni da noi auspicata.
In termini di valore atteso netto delle prestazioni (la somma delle prime
prestazioni scontate, moltiplicato per la probabilità di andare in pensione
tra i 57 e i 65 anni di età) ci dice che la Tremonti riduce il valore
presente della prestazione pensionistica di una donna del 21 per cento
contro il 15 per cento della riforma alternativa. Nel caso di un uomo, la
differenza è ancora più marcata: -28 per cento per la Tremonti contro meno
15 per cento della riforma delle prestazioni, che, a differenza della
Tremonti, è neutrale rispetto al genere.

Possibili anche maggiorazioni

La strada del contributivo, anziché pregiudicare future riforme e creare
asimmetrie di trattamento, introduce un principio di equità che può essere
anche esteso al di sopra dei 65 anni. Perché, ad esempio, non contemplare
maggiorazioni attuariali per chi continua a lavorare dopo i 65 anni di età
(il che vuol dire più anni di contributi alle spalle e meno anni in media di
ricezione delle prestazioni)? Secondo i nostri calcoli, ritardando la
pensione di un paio d'anni, a 67 anni, la lavoratrice e il lavoratore
mediani avrebbero diritto a incrementi delle loro pensioni di vecchiaia pari
a quasi 2mila euro, arrivando a un tasso di rimpiazzo non lontano dal 100
per cento del loro ultimo salario.  Un traguardo raggiungibile per molti,
dato l'allungamento della speranza di vita.