i parassiti dello sviluppo umano



il manifesto - 02 Dicembre 2003


I parassiti dello sviluppo umano
MARTIN KHOR


I parassiti dello sviluppo umano
La globalizzazione economica produce diseguaglianze. La conseguente
polarizzazione sociale riguarda sia la concentrazione della ricchezza
all'interno delle singole nazioni che una distribuzione iniqua dei benefici
e delle perdite tra i pochi paesi sviluppati e la maggioranza della
popolazione mondiale. Un'anticipazione dal volume edito da Baldini Castoldi
«Ripensare la globalizzazione» dell'economista malaysiano Martin Khor,
nonché direttore del Third world network
La santà trinità La Banca mondiale, il Fmi e il Wto sono gli organismi
sovranazionali usati dai paesi del nord ricco per tutelare i loro interessi

MARTIN KHOR

La «globalizzazione» è un processo diseguale, caratterizzato da un'iniqua
distribuzione dei benefici e delle perdite. Questo disequilibrio genera una
polarizzazione tra i pochi paesi e gruppi che traggono dei vantaggi e i
numerosi paesi e gruppi sociali che ci rimettono o vengono emarginati.
Globalizzazione, polarizzazione, concentrazione di ricchezza ed
emarginazione sono quindi collegate dallo stesso processo, al cui interno le
risorse dell'investimento, la crescita e la tecnologia moderna sono
concentrate in un pugno di paesi (principalmente nel Nord America, in
Europa, in Giappone e nei nuovi Paesi in via di sviluppo dell'Est asiatico,
i cosiddetti Nic). La maggioranza dei paesi in via di sviluppo rimane
esclusa da questo processo, o vi partecipa per vie marginali, spesso dannose
per i suoi interessi; ad esempio, la liberalizzazione delle importazioni
potrebbe nuocere ai produttori interni dei paesi in via di sviluppo e la
liberalizzazione finanziaria potrebbe determinare instabilità. In questo
modo la globalizzazione influenza, con modalità diverse, le differenti
categorie di paesi. Il processo può essere in generale suddiviso in questo
modo: crescita ed espansione nei pochi paesi leader o pienamente partecipi
al processo; crescita moderata e variabile in alcuni paesi che stanno
cercando di inserirsi nel modello della globalizzazione/liberalizzazione; ed
emarginazione o deterioramento per i numerosi paesi che non sono in rado di
lasciasi alle spalle problemi gravi come i bassi prezzi dei prodotti e il
debito, e che sono incapaci di fare fronte ai problemi della
liberalizzazione e di beneficiare delle opportunità offerte dalle
esportazioni.

La natura diseguale e iniqua dell'attuale processo di globalizzazione si
manifesta nel divario sempre più ampio tra le popolazioni ricche e povere
del mondo e tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, e nelle
grandi differenze, da nazione a nazione, nella distribuzione dei guadagni e
delle perdite.

Il Rapporto sullo Sviluppo Umano del 1992 stilato dal «Programma delle
Nazioni Unite per lo Sviluppo» (Unpd) stimava che il 20% della popolazione
mondiale nei paesi sviluppati riceve l'82,7% del reddito mondiale totale,
mentre il 20% delle persone nei Paesi più poveri ne riceve soltanto l'1,4%.
Nel 1989, il reddito medio del 20% della popolazione dei paesi più ricchi
era 60 volte più alto rispetto a quello del 20% dei paesi più poveri. Questa
proporzione era raddoppiata 30 volte a partire dagli anni Cinquanta.

Quattro anni dopo, il Rapporto sullo Sviluppo Umano indicava che negli
ultimi trent'anni solo 15 paesi avevano goduto di una crescita elevata,
mentre 89 nazioni si trovavano in condizioni economiche peggiori rispetto a
10 anni prima o anche di più. In 70 paesi in via di sviluppo, i recenti
livelli di reddito erano inferiori rispetto a quelli degli anni Sessanta e
Settanta. Il documento denunciava che pochi paesi avevano beneficiato
ampiamente dei vantaggi economici a spese di molti altri. A partire dal
1980, 15 paesi (principalmente asiatici) hanno avuto tassi di crescita molto
più elevati rispetto a qualunque tasso dell'Occidente durante
l'industrializzazione.

Nella maggior parte del mondo in via di sviluppo, tuttavia, il declino
economico è durato ben più a lungo e lo ha intaccato più profondamente di
quanto accadde durante la «Grande Depressione» degli anni Trenta. Mentre la
maggioranza dei paesi ricchi si ripresero dalla depressione entro quattro o
cinque anni, il «decennio perso» degli anni Ottanta sta in realtà ancora
producendo effetti per centinaia di milioni di persone in numerosi paesi
dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina. In alcuni casi la popolazione
è più povera di 30 anni fa, con poca speranza di un rapido miglioramento.

Il Rapporto su Commercio e Sviluppo del 1997 stilato dall'Unctad ha
esaminato in dettaglio queste ampie disparità tra i paesi, così come quelle
tra i gruppi di reddito all'interno delle nazioni stesse, disparità che sono
associate ai processi di globalizzazione. Il rapporto ha evidenziato che a
partire dai primi anni Ottanta l'economia mondiale è stata caratterizzata da
una crescente diseguaglianza, e i divari di reddito tra il Nord e il Sud
hanno continuato ad allargarsi. Nel 1965 il reddito medio pro capite del
«Gruppo dei Sette Paesi più industrializzati» (G7) era pari a 20 volte
quello delle sette nazioni più povere; mentre il 1995 si era saliti a 39
volte.

La polarizzazione tra i paesi è stata anche accompagnata da una crescente
disparità di reddito all'interno dei paesi stessi. A partire dai primi anni
Ottanta, la quota di reddito del 20% della popolazione più ricca è cresciuta
quasi ovunque, mentre le fasce più povere non hanno acquisito vantaggi reali
nello standard di vita (in diverse nazioni il reddito pro capite del 20%
della popolazione più povera ammonta oggi in media a meno di un decimo di
quello del 20% della fascia più ricca), e anche la quota della classe media
è diminuita. La crescente disparità è evidente anche in paesi in via di
sviluppo più o meno fortunati, e in tutte le regioni, compreso l'Est
asiatico, l'America Latina e l'Africa.

Secondo le analisi del Rapporto su Commercio e Sviluppo, questi andamenti
sono stati generati da una serie di forze scatenate dalla rapida
liberalizzazione, la quale crea maggiori disparità favorendo certi gruppi di
reddito rispetto ad altri. Tra questi andamenti ritroviamo: la crescente
disparità salariale, sia al Nord che al Sud, tra operai specializzati e non
specializzati (dovuta principalmente alla diminuzione dei posti di lavoro
nell'industria per gli operai non specializzati e alle pesanti riduzioni
assolute dei loro salari reali); l'ottenimento di maggiori redditi di
capitale rispetto a quelli prodotti dalla forza lavoro, con quote di
profitto in crescita ovunque; la nascita di una nuova classe benestante (i
«rentier») a seguito della liberalizzazione finanziaria e della rapida
crescita del debito (nei paesi in via di sviluppo, il governo era impegnato
non solo a rimborsare il debito pubblico, ma anche a distribuire il reddito
dai poveri ai ricchi); e i vantaggi dovuti alla liberalizzazione dei prezzi
agricoli a beneficio principalmente dei commercianti piuttosto che dei
contadini.

La crescente diseguaglianza evidenzia alcuni aspetti particolarmente
inquietanti. In primo luogo, l'accresciuta concentrazione del reddito
nazionale nelle mani di pochi non è stata accompagnata da maggiori
investimenti e da una crescita più veloce. «La vera causa di preoccupazione
è questa combinazione di crescenti profitti e stagnazione dell'investimento,
di aumento della disoccupazione e salari ridotti». Secondariamente, alcuni
dei fattori responsabili di questa maggiore disparità in un mondo
globalizzato scoraggiano l'investimento e contemporaneamente rallentano la
crescita. Ad esempio: il veloce ritmo della liberalizzazione finanziaria ha
allontanato la finanza dal commercio internazionale e dall'investimento; i
tassi di interesse più elevati, dovuti a politiche monetarie restrittive,
hanno aumentato i costi di investimento e spinto gli imprenditori a
concentrarsi, invece, sulla compravendita di attività di seconda mano; il
vantaggio assegnato dai flussi finanziari globali alla liquidità, e il loro
rapido afflusso e deflusso nei/dai mercati finanziari alla ricerca di
guadagni veloci hanno minato «l'energia vitale» necessaria per impegni di
investimento a più lungo termine in nuove attività produttive; mentre le
ristrutturazioni societarie, il taglio di manodopera e la repressione dei
salari hanno aumentato l'incertezza del posto di lavoro e del reddito.

Minata da numerosi punti deboli, la maggior parte dei paesi del Sud non è
stata in grado di ottenere vantaggi dalla globalizzazione. L'economista
indiano Deepak Nayyar esamina questo fenomeno di «sviluppo diseguale»,
evidenziando come la globalizzazione benefici principalmente il mondo
sviluppato, mentre nel mondo in via di sviluppo i vantaggi raggiungono solo
pochi paesi. Sul finire del XX secolo solo 11 Paesi in via di sviluppo
costituivano parte integrante del processo di globalizzazione. Nel 1992 essi
contribuivano per il 66% delle esportazioni totali provenienti dai Paesi in
via di sviluppo (partendo dal 30% del periodo 1970-1980); ne decennio
1981-1991 contribuivano per il 66% degli afflussi annuali di investimento
straniero diretto (Fdi) nei Paesi in via di sviluppo, e per la maggior parte
degli investimenti finanziari nel mondo in via di sviluppo. Da allora alcuni
di questi 11 paesi sono stati fortemente colpiti da crisi finanziarie,
dall'indebitamento e da un rallentamento dell'economia, stemperando così
ulteriormente il tasso di successo del Sud nell'integrazione nell'economia
mondiale.

Le debolezze del Sud traggono origine da diversi fattori. Tanto per
cominciare, i paesi in via di sviluppo erano economicamente deboli, e questo
a causa della mancanza di una capacità economica interna e di una fragile
infrastruttura sociale conseguente all'esperienza coloniale. Furono resi
ancora più deboli dai bassi prezzi all'esportazione e da un significativo
declino dei termini di scambio, così come dalle crisi debitorie e dal
fardello imposto dal rimborso del debito. Le condizionalità politiche legate
ai pacchetti di rinegoziazione dei prestiti ostacolarono la ripresa di
numerosi paesi e portarono a un ulteriore deterioramento dei servizi
sociali. Date le diverse capacità di Nord e Sud, lo sviluppo della
tecnologia (specialmente quella delle informazioni e delle comunicazioni) ha
ampliato ulteriormente il divario. In aggiunta a questi sfavorevoli fattori
internazionali, diversi paesi in via di sviluppo sono anche stati
caratterizzati da regimi dittatoriali, abuso di potere e cattiva gestione
economica, tutti elementi che minarono il processo di sviluppo. Tutti questi
fattori indicavano che il Sud si trovava in una posizione debole per
affrontare le sfide poste dalla globalizzazione, poiché in esso non erano
presenti le condizioni per avere successo nella liberalizzazione. Data la
mancanza di condizioni favorevoli e di preparazione, la rapida
liberalizzazione fu più causa di mali che di benefici.

La debolezza del Sud ha origine anche dalla mancanza di una forza di
contrattazione e negoziazione nell'ambito delle relazioni internazionali.
Essendo pesantemente indebitati e dipendendo da aiuti economici bilaterali e
da organizzazioni multilaterali per la concessione di prestiti, i paesi in
via di sviluppo sono stati prosciugati della loro capacità di negoziazione
(persino in materia di condizionalità di prestito). I poteri delle Nazioni
Unite, all'interno delle quali il Sud gode di una posizione più favorevole,
sono stati diminuiti, mente il mandato e i poteri delle istituzioni sotto il
controllo dei paesi sviluppati (il Fmi, la Banca Mondiale e il Wto) sono
stati enormemente accresciuti. Il Nord è in grado di influenzare le
istituzioni di Bretton Woods e il Wto affinché questi modellino il contenuto
della globalizzazione secondo le sue necessità e formulino delle politiche
che i paesi in via di sviluppo devono accettare.

Nonostante il Nord si trovi in una posizione dominante e si sia preparato
per farne uso in modo da favorire il proprio controllo dell'economia
globale, il Sud non è comunque rimasto senza difese, ma può organizzare
meglio le sue reazioni e proposte.

(....) I paesi sviluppati sono in ottima posizione per decidere l'agenda
della globalizzazione. Sono ben organizzati al loro interno, dispongono di
personale preparato nei dicasteri che si occupano di commercio e finanza, e
di esponenti del mondo accademico e di gruppi di esperti, privati o
semi-governativi, che collaborano all'ottenimento di informazioni e alla
pianificazione delle politiche e delle strategie. Dispongono inoltre di
associazioni e di gruppi di pressione ben organizzati, legati alle grandi
imprese e alle istituzioni finanziarie nazionali, le quali esercitano una
grande influenza sui dicasteri governativi. I paesi sviluppati hanno anche
istituzioni e meccanismi che li aiutano a coordinare le loro posizioni e le
loro politiche, ad esempio la Commissione Europea, l'Ocse e il G8, con le
loro agenzie ed enti sussidiari.

Per contro, i paesi in via di sviluppo non sono ben organizzati al loro
interno. I ministeri che si occupano del collegamento con l'economia globale
non dispongono di personale a sufficienza, specialmente in relazione ai
rapidi sviluppi che avvengono nel processo di globalizzazione e nelle
negoziazioni globali. Il settore accademico e i pochi gruppi di esperti
esistenti non sono attrezzati per ottenere e accertare le informazioni
relative agli andamenti della globalizzazione, e ancora meno per formulare
delle proposte di politiche economiche di cui i governi potrebbero
avvalersi. Spesso anche i collegamenti tra questi settori intellettuali, le
Organizzazioni Non Governative (Ong) e i governi sono fragili. La comunità
finanziaria e commerciale non è sufficientemente ben organizzata per
monitorare le tendenze globali o per fare pressione sui governi in relazione
ai problemi di portata mondiale. A livello regionale si è sviluppata una
crescente collaborazione tra i paesi grazie ai raggruppamenti regionali, e
tuttavia la cooperazione non ha raggiunto ancora un livello così sofisticato
come nell'Unione Europea. A livello internazionale, il Sud si è organizzato
nel Gruppo dei 77 e nel «Movimento Non-Allineato». Questi raggruppamenti
operano sovente in modo ragionevolmente efficace all'interno della struttura
delle Nazioni Unite e nell'ambito dei vertici e delle assemblee di questa
stessa organizzazione. Essi non sono tuttavia dotati di un numero adeguato
di personale e non sono in grado di tenersi al corrente in modo
soddisfacente dei diversi eventi e sviluppi, o di formulare politiche e
strategie a lungo termine. Nel Wto, nel Fmi e nella Banca Mondiale, la forza
collettiva dei membri dei paesi in via di sviluppo deve ancora manifestarsi
in modo efficace, sebbene vi siano dei segnali incoraggianti di una maggiore
collaborazione, ad esempio nel Wto.