economicità dei termovalorizzatori



da federico valerio
28 dicembre 2003

  Se i miei rifiuti sono utilizzati come combustibile per produrre
elettricità che viene venduta, perchè devo pagare per questo loro
utilizzo?

Bella domanda!
Una prima risposta è che, nonostante la  campagna pubblicitaria a
favore dei  termovalorizzatori,  questa tecnica è un  sistema di
smaltimento dei rifiuti e non di recupero energetico.
Proprio questo è il recente parere del Tribunale della UE, con
riferimento alla  combustione dei rifiuti indifferenziati.  Quindi, a
rigor di logica, l' elettricità prodotta dai termovalorizzatori non
dovrebbe avvalersi degli incentivi per l' uso delle fonti energetiche
rinnovabili (circa 0,15 euro per Kwattora prodotto), come il governo
italiano  benignamente riconosce a questo tipo di gestione dei rifiuti.
Infatti, non solo i  produttori-proprietari dei rifiuti-combustibili
devono pagare per termovalorizzarli, ma con le loro tasse tutti i
contribuenti  pagano anche i generosi contributi statali per l'
elettricità prodotta bruciando rifiuti.
La verità  è che nessun impresa realizzerebbe termovalorizzatori senza
questo singolare capovolgimento delle regole del mercato.
Infatti,  seguendo queste regole,  l' affare non reggerebbe: i costi di
investimento e gestione di un termovalorizzatore  sono talmente alti da
non essere coperti dalla sola vendita di energia elettrica al prezzo di
mercato (0,07 euro a Kwattora), anche potendo disporre di
"combustibile" a costo zero.
A confronto, una centrale termoelettrica  paga  il carbone 0.018 euro
al chilo  e  la vendita dell' elettricità, senza alcuna sovvenzione
statale, permette un giusto guadagno al gestore.
Il fatto è che i rifiuti sono un pessimo combustibile e i
termovalorizzatori un "fiasco" dal punto di vista dell' efficienza
energetica.
La seconda possibile risposta  è che in Italia si sta organizzando una
colossale truffa a danno  di tutti i cittadini, con la connivenza del
governo, succube della "lobby" degli inceneritoristi.
I capisaldi di questa truffa sono:
1) Aver fissato la quota minima di riciclaggio al 35% (con l' ipotesi
di ridurla al 20 %) . In questo modo, la maggior parte  dei rifiuti
rimane per la termovalorizzazione. E più rifiuti brucia un
termovalorizzatore, più ci guadagna il suo gestore.
2) Non aver realizzato nessuna seria politica nazionale per incentivare
la riduzione e  il riciclaggio dei rifiuti ( vedi punto 1)
3) Avere legalmente attribuito ai  rifiuti  la qualità di  "fonte
energetica rinnovabile". Grazie a questa norma i termovalorizzatori
possono godere tutti i benefici del caso:  incentivi economici per l'
elettricità prodotta, procedure semplificate per le autorizzazioni.
4) Non  aver reso subito  obbligatoria l' introduzione della tariffa
(che  fa pagare al contribuente in proporzione alla quantità di
rifiuto indifferenziato prodotto) prima della realizzazione del piano
nazionale di  termovalorizzazione dei rifiuti  (oltre 200 impianti in
tutt' Italia). Una volta che questi impianti si sono realizzati e sono
stati sottoscritti  i contratti ventennali per  i quantitativi di
rifiuti da conferire  obbligatoriamente agli impianti di
termovalorizzazione, non sarà più possibile tornare indietro e i
cittadini consumatori non potranno far altro che produrre sempre più
rifiuti e pagare senza fiatare per la loro termovalorizzazione.
5) Avere emanato la norma che espropria i rifiuti al loro produttore
naturale e ne attribuisce  la proprietà all' ente predisposto alla loro
raccolta.