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welfare italia caso anomalo ?
- Subject: welfare italia caso anomalo ?
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 22 Dec 2003 07:25:49 +0100
da fdv dicembre 2003 SISTEMI DI WELFARE : L'Italia è un caso anomalo ? * di Felice Roberto Pizzuti 1. Le tendenze nei sistemi di welfare Nei paesi avanzati dell'Occidente la riforma dei sistemi di welfare costituisce, ormai da molti anni, uno dei temi principali del dibattito politico, sociale, economico e culturale. Quasi tutte le ipotesi di cambiamento, proposte o realizzate, incidono sul rapporto tra pubblico e privato. Su tale rapporto si sono accumulate conoscenze teoriche ed esperienze reali. Sotto il profilo teorico è generalmente acquisito che la natura specifica dei beni e servizi sociali rende estremamente difficile per il mercato, da solo, assicurare risultati che siano insieme efficienti ed equi, o anche solo efficienti. D'altra parte, la dimostrazione delle inadeguatezze del mercato - cui ha molto contribuito lo stesso pensiero economico liberale - non giustifica, automaticamente, la scelta di soluzioni basate su un generico maggiore coinvolgimento delle istituzioni pubbliche. E' noto, infatti, che anche sui cosiddetti "fallimenti del non mercato" si dispone ormai di letteratura ed esperienze consistenti. * Il testo riprende la presentazione dell'autore al Rapporto annuale Inpdap sullo stato sociale 2002. 2 Un risultato del dibattito largamente condiviso è che le scelte tra le diverse possibili combinazioni di stato e mercato, da un lato, debbano giovarsi dei risultati più consolidati offerti dalla teoria, d'altro lato, non possano astrarre dalle peculiarità empiriche dei sistemi politici, sociali e culturali nei quali quelle scelte concretamente si collocano. * * * Nell'evoluzione della spesa sociale nei paesi occidentali a partire dal secondo dopoguerra, si individuano fasi diverse. Alla crescita piuttosto sostenuta ed estesa nel periodo compreso tra gli anni cinquanta e gli anni settanta, fa seguito negli anni ottanta un'inversione di tendenza che progressivamente interessa la quasi totalità dei paesi avanzati. In particolare, nel corso degli anni novanta, sono ben pochi i paesi dell'area Ocse nei quali la spesa sociale pubblica non registri un chiaro rallentamento. Molto circoscritti sono, invece, i casi di arretramento. La componente privata della spesa sociale tende ad espandersi quasi ovunque. Ciò risulta ben visibile, ad esempio, nel settore sanitario. Dal riequilibrio a favore del privato ci si attende non soltanto un miglioramento - apparentemente ovvio - dei conti pubblici, ma anche - soprattutto per gli effetti sperati della concorrenza - servizi migliori a costi inferiori, e perfino miglioramenti sul terreno dell'equità, grazie all'eliminazione di alcune distorsioni attribuite al welfare state. La spinta ad un maggior peso della logica di mercato non ha comunque comportato l'affermazione del modello liberale di stato 3 sociale minimale o residuale. Peraltro, proprio in alcuni dei paesi dove domina un welfare di tipo liberale, sono stati compiuti o ipotizzati anche passi nella direzione opposta. Le principali linee di riforma La varietà di riforme, adottate o tentate, dei sistemi di welfare non consente di individuare un percorso unitario ben definito. Sono però evidenti alcune linee di tendenza. Per quanto riguarda il finanziamento, sono state tentate e realizzate modifiche dirette ad alleviare l'impatto che lo stato sociale avrebbe sul costo del lavoro, specialmente quando le risorse vengono acquisite mediante contributi a carico di imprese e lavoratori. La Germania, anche se con successo parziale, è stata interessata da queste proposte. Come vedremo, nel nostro paese sono in discussione progetti animati dallo stesso tipo di preoccupazioni. I cambiamenti più incisivi ed estesi sono stati operati sul versante dell'erogazione dei servizi. Anzitutto, si è cercato di introdurre elementi di mercato tesi a favorire la competizione, nell'ipotesi che in tal modo sarebbe aumentata l'efficienza produttiva e la libertà di scelta dei fruitori di tali servizi. Il sistema sanitario e quello dell'istruzione sono stati maggiormente interessati da questi tentativi. Tra gli strumenti utilizzati si segnalano la realizzazione dei cosiddetti mercati interni o i quasi-mercati e l'emissione di voucher. 4 Sempre sul versante delle erogazioni, si è cercato di controllare e selezionare meglio l'accesso ai servizi sociali o ai trasferimenti, anche nell'ottica di attenuare uno dei pericoli più seri ravvisati nel welfare universalistico e cioè il comportamento opportunistico dei beneficiari che porta, in generale, ad abusare della generosità pubblica. La preoccupazione è che prestazioni eccessive o inappropriate introducano distorsioni nel funzionamento dei mercati di entità tale da creare ostacoli al processo di crescita; sarebbe questo, in particolare, il caso di sistemi di protezione dalla disoccupazione troppo generosi e poco sorvegliati. Proprio in questi sistemi è stata introdotta, in diversi paesi, maggiore severità e si sono adottate politiche di welfare-to-work, cioè di prestazioni non rivolte ai disoccupati, ma finalizzate all'aumento dell'occupazione. Sempre nell'ottica di prevenire comportamenti opportunistici dannosi per la crescita economica e per le casse pubbliche, vanno interpretati i tentativi di predeterminare le prestazioni (come nella sanità) o di legarle più strettamente ai contributi (come nella previdenza), previlegiando una logica assicurativa più individuale che sociale. * * * Le riforme miranti ad estendere il ruolo e la logica del mercato sono state, però, spesso formulate dimenticando proprio le insufficienze del mercato stesso, già evidenziate dalla teoria. Non è dunque sorprendente se i cambiamenti introdotti nel finanziamento e nell'erogazione dei servizi sociali, oltre ad alcuni 5 effetti positivi, abbiano anche riproposto nel concreto quelle insufficienze. L'esperienza più avanzata dei voucher, quella praticata negli Stati Uniti per favorire la concorrenza nell'istruzione, segnala alcuni miglioramenti in termini di percezione dei benefici, ma non ci sono prove di miglioramenti più oggettivi. Si conferma invece che la peculiarità del bene istruzione limita le possibilità che forme di competizione tipiche dei mercati concorrenziali consentano di perseguire risultati efficienti; in ogni caso sono da mettere in conto peggioramenti sul piano equitativo. Il tentativo più compiuto di introdurre forme di welfare-to-work è quello attuato dall'amministrazione Clinton nel 1996. A questi cambiamenti è stato attribuito il merito della più rapida collocazione dei disoccupati nel mercato del lavoro americano. E' dubbio, però, che tale risultato dipenda interamente o principalmente da quella riforma. Un contributo positivo determinante è certamente venuto dal lungo ciclo economico favorevole degli Stati Uniti che ha preceduto la recente inversione di tendenza e dalle politiche espansive adottate in quel paese. Peraltro, nell'analisi dell'esperienza americana andrebbero esaminate anche altre connessioni, come quella tra l'introduzione delle forme di welfare-to-work e il contestuale incremento della povertà. Nell'ambito della sanità, il tentativo di riforma, poi fallito, effettuato dal presidente Clinton conferma i limiti di un sistema largamente basato su logiche privatistiche e le difficoltà che si frappongono al loro superamento. In particolare, le assicurazioni 6 volontarie - che la riforma intendeva ridimensionare drasticamente - escludono dalla copertura sanitaria i soggetti a più alto rischio e meno dotati finanziariamente. Tale risultato determina problemi sociali e un aumento dei costi per la collettività. E' proprio per rimuovere questi effetti strutturali dannosi che venne tentato il processo di riforma rimasto però senza esito. Nella seconda parte degli anni novanta, il numero di cittadini americani troppo poveri per permettersi un'assicurazione privata ma non tanto da essere coperti dal sistema sanitario pubblico è ulteriormente cresciuto fino a circa 45 milioni. * * * La diffusione della previdenza a capitalizzazione conferma sia le linee di tendenza già individuate negli altri settori del welfare, sia il tipo di problematiche che esse suscitano. Come dimostrano i casi di Cile, Stati Uniti, Regno Unito e Svezia, le differenti modalità applicative incidono significativamente sui risultati. Il grado di libertà concesso nella scelta dei fondi pensione, le modalità d'integrazione tra i vari pilastri e il differente ruolo assegnato al sistema pubblico costituiscono elementi che si riverberano sulla performance dei diversi sistemi. I rendimenti assicurati dai fondi, a causa della loro variabilità, dipendono dal periodo di tempo preso a riferimento. Ad esempio, negli Stati Uniti, tra il 1981 e il 2000, il rendimento reale annuale medio è stato superiore alla crescita del Pil. Se invece si considerano soltanto gli anni successivi al 1995, i risultati sono sensibilmente inferiori, fino a diventare anche fortemente negativi. 7 Nell'ultimo triennio 2000-2002, la perdita di valore delle attività patrimoniali dei fondi pensione a livello mondiale è stata di circa il 20%. Solo nell'ultimo anno, la distruzione di risparmio depositato presso i fondi pensione è stato di circa 1400 miliardi di dollari, l'equivalente dell'intero reddito nazionale prodotto nel nostro paese. In ogni caso, come mostrano in particolare i casi cileno e britannico, proprio a causa della concorrenza tra i fondi, i costi di gestione da sottrarre ai rendimenti lordi possono essere anche molto elevati. In Svezia - ove si è cercato di conciliare la libertà di scelta con la centralizzazione - questi costi sono più contenuti. I processi di transizione dalla ripartizione alla capitalizzazione, a causa della necessità di corrispondere le pensioni in essere e di rispettare i diritti già acquisiti dai lavoratori, implicano la necessità di nuove risorse finanziarie che, almeno in parte, vengono ricercate nel bilancio pubblico. L'esperienza cilena è, a questo riguardo, piuttosto significativa. Sul versante della effettiva copertura pensionistica dei lavoratori e della complessiva equità, emergono i problemi tipici che la teoria evidenzia nell'analisi delle forme private di assicurazione. La copertura è, in generale, limitata e i benefici affluiscono in maggior grado ai percettori di redditi elevati; ciò accade anche a causa delle modalità di incentivazione regolate dal criterio della deduzione fiscale che avvantaggia i contribuenti con aliquote marginali d'imposta maggiori. 8 2. I sistemi di welfare europei e le (vere o presunte) peculiarità italiane L'analisi comparativa in ambito europeo mostra che il sistema di welfare italiano presenta delle specificità; ma alcune preoccupanti anomalie che comunemente gli vengono attribuite non sono confermate da una valutazione omogenea dei dati. Dopo aver raggiunto un massimo del 27,5% del Pil nel 1993, la spesa sociale media in Europa si è attestata al 26,4%. Rispetto al dato medio europeo, quello italiano, che nel 1990 era inferiore solo di 0,4 punti, è diventato inferiore di 2 punti. Le due principali voci di spesa nella media dei paesi europei sono le prestazioni per le pensioni di vecchiaia e quelle per la sanità; le prime costituiscono una quota di poco inferiore al 40% del totale. I valori medi derivano da situazioni estremamente differenziate fra i vari paesi. Tuttavia ciò dipende non solo dalle diversità nazionali effettivamente esistenti, ma anche dalla non omogeneità dei dati e dei criteri di classificazione, che rende i confronti non sempre significativi. Un'analisi più approfondita volta a superare queste disomogeneità mette in evidenza che la spesa previdenziale italiana in rapporto al Pil non è anomala, come sembrerebbe a un primo esame dei dati, ma risulta sostanzialmente in linea con il valore medio europeo ed è inferiore a quella di Francia e Germania. Le prestazioni ai pensionati e ai disoccupati nei diversi paesi spesso si distinguono solo nominalmente, ma sono erogate con finalità analoghe di sostegno al reddito. Il loro valore aggregato è al 9 16,2% nella media europea, al 16,3% in Italia, al 16,5% in Francia e al 16,8% in Germania. Negli studi comparativi della Commissione europea, nonostante le previsioni demografiche indichino per l'Italia uno scenario futuro fra i più pessimisti in ambito comunitario, il nostro paese si caratterizza per un sentiero di crescita della spesa pensionistica in rapporto al Pil molto meno accentuato. * * * Le modalità di finanziamento dei sistemi di welfare state possono avere implicazioni per la competitività del sistema produttivo e per il costo del lavoro. Anche nei sistemi contributivi, il peso degli oneri sociali costituisce solo una parte del carico sopportato dai lavoratori e dalle imprese; infatti tutti i paesi, in varia misura, fanno ricorso anche alla fiscalità generale. E' dunque utile valutare congiuntamente l'incidenza del prelievo contributivo e fiscale sul costo del lavoro, il cosiddetto cuneo fiscale. In tutti i paesi, nel 2000, si è manifestata una tendenza alla riduzione della sua dimensione. Dall'esame comparato del cuneo fiscale emerge che in Italia il suo valore è più basso che in Francia e in Germania, paesi che presentano una struttura del welfare simile alla nostra. Un valore nettamente inferiore di questo indicatore si registra nel Regno Unito, dove però i lavoratori devono attingere alla busta paga per finanziare privatamente tramite il mercato una parte di beni e servizi sociali che i loro colleghi dell'Europa continentale ricevono dallo stato sociale. 10 Rispetto al costo del lavoro per unità di prodotto (il Clup), del quale il cuneo fiscale rappresenta una componente, l'Italia è posizionata al fondo della graduatoria europea, su livelli inferiori anche a quelli del Regno Unito. Dunque, anche per quanto riguarda il costo del lavoro e i suoi collegamenti con il welfare, dalla comparazione europea non emergono specificità negative del nostro paese tali da giustificare, di per se stesse, necessità di correzioni drastiche orientate alla competitività di prezzo. L'attenzione andrebbe invece più opportunamente richiamata sui limiti strategici che il nostro sistema produttivo manifesta riguardo agli aspetti tecnologici e qualitativi della competitività resi più rilevanti dalla globalizzazione dei mercati. Per superare questi più reali e pericolosi limiti, è necessario innovare diffusamente il nostro sistema produttivo; ma per seguire con efficacia questa strada diventa strategica la presenza di ammortizzatori e reti di sicurezza economico-sociali capaci di compensare i rischi individuali e collettivi strettamente connessi agli investimenti innovativi. * * * L'esame, a livello europeo, delle modalità di uscita degli anziani dal mercato del lavoro evidenzia, negli ultimi due decenni, una tendenza generalizzata alla crescita della disoccupazione degli ultra-cinquantenni. A fronte di questo preoccupante e diffuso fenomeno, le forme istituzionali di sostegno al reddito adottate in ciascun paese presentano diversità che normalmente vengono sottovalutate. Se in Italia un canale improprio ma molto utilizzato di uscita dal mercato del lavoro è rappresentato dalle pensioni di anzianità, 11 altrove è ampio il ricorso a forme specifiche di indennità di disoccupazione e a pensioni anticipate o di invalidità concesse con criteri socio-economici che spesso accompagnano il lavoratore anziano fino all'età ufficiale di pensionamento. Anche l'analisi dei dati sulla composizione del reddito dei singoli e delle famiglie in funzione dell'età mostra che le differenze nei trasferimenti pensionistici tendono a essere compensate da altri tipi di prestazioni sociali. Tutto ciò non implica che i diversi sistemi siano tra loro equivalenti. Rimane vero che il costo economico e sociale connesso alle crescenti uscite precoci dal mercato del lavoro non può essere affrontato se non con misure ben calibrate alle caratteristiche specifiche di ciascun sistema socio-produttivo; gli interventi dovrebbero contrastare i bassi tassi di occupazione nelle classi di età prossime a quella di pensionamento e favorire un avanzamento volontario dell'età di ritiro dal lavoro. L'imposizione di un più elevato limite di età per il pensionamento, non coordinata con altri provvedimenti, potrebbe generare rischi controproducenti rispetto agli obiettivi finanziari. In presenza di un mercato del lavoro incapace di assorbire tutti gli anziani, il pericolo è che una correzione di questa natura si traduca, più o meno direttamente, in una crescente pressione su altre forme di protezione sociale delle quali, peraltro, il nostro paese non è particolarmente dotato. L'obiettivo dovrebbe essere quello di realizzare politiche per l'invecchiamento attivo tra le quali rientra certamente ogni misura 12 che riduca i rischi di esclusione degli anziani legati all'evoluzione tecnologica e alle barriere poste dalla società della conoscenza. * * * Nella sanità, la conoscenza dei limiti sperimentati dal modello americano dovrebbe orientare in altre direzioni la ricerca di una soluzione ai problemi che gravano sui sistemi europei. In Europa, sull'onda dell'esperienza britannica, il tipo di intervento più diffuso e significativo ha riguardato l'introduzione di maggiore competizione dal lato dell'erogazione dei servizi con la creazione dei quasi-mercati che presuppone, peraltro, la separazione tra erogatori e finanziatori. Interventi sono stati effettuati anche in altri ambiti. In particolare: si è cercato di predeterminare le tariffe per le diverse prestazioni per limitare gli incentivi a gonfiare la spesa; si è favorito il decentramento delle decisioni; sono stati posti vincoli di budget ai medici di base; si è cercato di valorizzare la libertà di scelta degli assistiti tra strutture sanitarie alternative. Riguardo al cambiamento di maggior rilievo, quello di accrescere la concorrenza e la libertà di scelta degli assistiti, si è dovuto tuttavia constatare la conseguenza di un lievitamento dei costi di transazione e di funzionamento. Nella gran parte dei paesi europei, specialmente in quelli maggiori, la tendenza in atto alla stabilizzazione, se non alla riduzione della spesa sanitaria pubblica si è accompagnata all'espansione della componente di mercato. Negli anni '90, maggiormente nella prima parte, l'Italia si è caratterizzata per una crescita particolarmente accentuata della 13 spesa privata che, unico caso, ha più che compensato la riduzione della spesa pubblica. 3. L'evoluzione del sistema di welfare italiano In Italia, la spesa sociale complessiva, pubblica e privata, al lordo dei costi amministrativi e delle imposte che gravano sulle prestazioni, è pari a circa un quarto del Pil. La prima voce di spesa è quella pensionistica che si è stabilizzata al 13,5%. Tale quota scende all'11,3% se si escludono le componenti assistenziali finanziate dalla apposita gestione nel bilancio Inps, la Gias (sulle pensioni si tornerà successivamente). * * * La spesa sanitaria pubblica, che al momento della creazione del Sistema sanitario nazionale nel 1978 era pari a poco meno del 5% del Pil, ha toccato il 6,5% nel 1991 (al lordo dei costi amministrativi), poi è scesa fino al 5,2% nel 1995; negli anni più recenti si assiste a una ripresa. Nel corso degli anni '90, la spesa sanitaria privata è aumentata sensibilmente: la sua quota su quella complessiva è passata dal 22 al 33%. La presenza nel nostro sistema sanitario di problemi di appropriatezza, di equità e di copertura assicurativa non esclude elementi di valutazione positivi da parte degli assistiti: l'86% dei soggetti ricoverati sarebbe molto o abbastanza soddisfatto per l'assistenza medica; il consenso però si riduce per il vitto e i servizi igienici. 14 Situazioni di inappropriatezza si riscontrano nella carenza di prevenzione, nell'eccesso della spesa farmaceutica, nei numerosi casi di ospedalizzazione ingiustificati, nella diffusione di lunghe liste di attesa. La crescita delle degenze in day hospital segnala la presenza di miglioramenti. Aspetti d'iniquità sono rivelati da numerosi indicatori. La mortalità per tutte le cause diminuisce sensibilmente tra i soggetti con maggior grado di istruzione e con maggior reddito. Il grado di accesso a cure specialistiche è minore per i pazienti con minore istruzione. Nel Sud del paese l'attesa di vita è inferiore. Anche per l'età media più bassa, nel Meridione ci si ammala di meno, ma, rispetto al Centro-Nord, si muore di più per malattie cardio-circolatorie e in una percentuale simile per i tumori. Le cure dentarie e l'assistenza ai non autosufficienti costituiscono due settori di significativa carenza di copertura del nostro sistema pubblico. La capacità dei mercati assicurativi di coprire questi rischi è particolarmente problematica. In ogni caso le differenti possibilità di accesso al mercato connesse ai redditi individuali creano problemi di iniquità e di riduzione del benessere collettivo. Come già è stato sperimentato in altri paesi, accentuare oltre misura le forme di concorrenzialità tipiche dei mercati, la libera scelta degli assistiti e il decentramento decisionale e finanziario potrebbe dar luogo non tanto agli effetti positivi sperati, quanto all'aumento dei costi e alla diminuzione di efficacia, di equità e di copertura del complessivo sistema sanitario. * * * 15 La spesa per l'assistenza - comprendendo anche la componente assistenziale insita nei trasferimenti previdenziali (operati dall'Inps e contabilizzata nella Gias) - è pari a meno del 4% del Pil, un valore nettamente inferiore alla media europea. L'inadeguatezza della spesa è connessa anche alla sua struttura caratterizzata da pochi strumenti di carattere universalistico per alleviare la povertà. Solo negli ultimi anni sono state timidamente introdotte misure quali l'assegno ai nuclei familiari e, in forma sperimentale, il reddito minimo d'inserimento. Le carenze del nostro sistema assistenziale sono certamente corresponsabili del significativo fenomeno della povertà che, peraltro, è prevalentemente concentrato nel Mezzogiorno. Nel 2001, il 12% delle famiglie italiane, che rappresentavano il 13,6% della popolazione, non raggiungeva la soglia della povertà relativa (fissata a 815 euro al mese per una famiglia di due persone). Nelle regioni meridionali la quota saliva al 24%, contro il 5% del Nord e l'8,4 del Centro. In condizioni di povertà "assoluta" (fissata per il 2001 a 560 euro mensili), viveva il 4,2% delle famiglie, corrispondenti al 5,3% della popolazione, cioè oltre 3 milioni di persone. In questo caso la concentrazione nel Mezzogiorno si presentava ancora più marcata. La sua sperequata diffusione territoriale conferma che, in Italia, la povertà è un fenomeno largamente correlato alla condizione di disoccupazione per la quale il nostro sistema di welfare non prevede adeguate forme di sussidio. Nel 2001, la spesa per gli ammortizzatori sociali è rimasta stabile; in rapporto al Pil siamo a meno di un terzo della media europea. 16 Il sistema pensionistico italiano Nel dibattito economico, sociale e politico del nostro paese, il sistema pensionistico continua ad avere una particolare importanza. L'attesa verifica governativa sugli effetti delle riforme operate negli anni novanta ha confermato la loro efficacia nello stabilizzare la spesa pensionistica sul Pil; i risparmi di spesa ottenuti e quelli prevedibili fino al 2005 sono superiori rispetto agli obiettivi fissati dalla legge di riforma del 1995. Nel più lungo periodo, l'insieme delle diverse proiezioni di spesa a legislazione vigente che può essere ragionevolmente considerato delinea un'evoluzione non allarmante. La Ragioneria generale dello stato, quando utilizza lo scenario macroeconomico e demografico di base che darebbe luogo ad una crescita media annua del Pil nel prossimo mezzo secolo di circa l'1,5%, prevede una leggera crescita progressiva del rapporto tra spesa pensionistica e Pil che arriverebbe ad essere di circa due punti nel 2035, per poi ridursi. Utilizzando il modello Modsim-P dell'Istat (che a parità di scenari ipotizzati fornisce previsioni analoghe a quelle della Ragioneria), sono state fatte ulteriori proiezioni per tener conto di alcune tendenze che dovrebbero verificarsi anche a legislazione costante. Il già previsto passaggio progressivo dal sistema retributivo a quello contributivo, che collega l'entità della pensione all'età di ritiro dal lavoro, dovrebbe indurre un avanzamento spontaneo dell'età di pensionamento e, dunque, una variazione del profilo temporale della spesa complessiva. 17 L'espansione relativa delle nuove categorie di lavoratori parasubordinati e di lavoratori autonomi che maturano pensioni più basse si tradurrà in un corrispondente contenimento del valore medio delle pensioni. Se si tiene conto di queste due prevedibili tendenze, la crescita massima prevista del rapporto tra spesa pensionistica e Pil si riduce ad un solo punto. Immaginando poi anche un più augurabile e possibile trend di aumento della produttività, che sia coerente con una crescita media annua del Pil pari al 2% anziché all'1,5%, l'andamento del rapporto tra spesa pensionistica e Pil risulterebbe tendenzialmente decrescente fino a valori inferiori al 13%. L'aggiornamento del modello MOPI, sviluppato dall'Inpdap per la previsione degli andamenti specifici del sistema pensionistico dei dipendenti pubblici, conferma l'incidenza negativa esercitata dalla riduzione dell'occupazione nel settore pubblico sugli equilibri finanziari di questo comparto del sistema previdenziale. * * * Oltre ai vincoli finanziari, un sistema pensionistico deve tener conto anche delle compatibilità economico-sociali che costituiscono la sua ragion d'essere primaria. La progressiva applicazione già in atto del sistema contributivo abbasserà i tassi di sostituzione della prima pensione rispetto all'ultima retribuzione; i tassi saranno tanto più ridotti quanto minore sarà l'età di pensionamento, compresa tra un minimo di 57 e un massimo di 65 anni. 18 Il già previsto adeguamento decennale dei coefficienti di trasformazione all'aumento della vita attesa ridurrà ulteriormente le prestazioni a parità di età di pensionamento. Con il sistema contributivo a regime e con i futuri coefficienti di trasformazione corrispondenti alle attese demografiche, il tasso di sostituzione per un lavoratore dipendente con 35 annualità contributive sarà compreso tra il 45% e il 56%, in base all'età di ritiro dal lavoro. Con il precedente sistema retributivo il tasso era del 67%, indipendentemente dall'età di pensionamento. Per un lavoratore con contratto di lavoro coordinato e continuativo, sempre con 35 annualità contributive, il tasso di sostituzione oscillerà tra il 27% e il 34%. Dal 1992, l'indicizzazione delle pensioni non tiene conto della crescita reale dei redditi da lavoro. Ipotizzando che quest'ultima sia pari al 2% annuo, un pensionato che a 60 anni avesse una pensione pari al 50% della retribuzione media vigente, a 80 anni la vedrebbe diminuita al 31%. Le statistiche indicano come la vecchiaia non sia attualmente, nel nostro paese, la principale causa di povertà, se non in particolari condizioni. Tale situazione deriva anche dalla copertura pensionistica assicurata finora dalla previdenza pubblica. Il futuro si prospetta più incerto. * * * Le valutazioni dell'assetto attuale del sistema pensionistico sono condizionate dal diverso peso che può essere accordato ad esigenze tra loro contraddittorie: la tutela previdenziale e gli 19 equilibri sociali, la sostenibilità finanziaria, i riflessi sul sistema produttivo e su quello finanziario. Il progetto di ridurre fino a cinque punti i contributi pensionistici a carico delle imprese costituirebbe un taglio significativo del costo del lavoro. Nel breve periodo si avrebbero effetti positivi sulla competitività di prezzo del nostro sistema produttivo; ma queste non sarebbero le uniche conseguenze. Per il bilancio pubblico, a regime, il mancato gettito contributivo sarebbe dell'ordine dello 0,7% del Pil. Se la riduzione dei contributi non fosse seguita dalla corrispondente riduzione delle prestazioni prevista dal meccanismo attuale, ne verrebbe sostanzialmente intaccato l'equilibrio attuariale. Se invece le prestazioni fossero adeguate al taglio contributivo, i tassi di sostituzione subirebbero un'ulteriore riduzione del 15% rispetto a quelli già decisi: a regime, la pensione di un lavoratore dipendente che si ritirasse a 60 anni con 35 anni di contributi, anziché essere pari al 48% dell'ultima retribuzione, sarebbe pari al 41%. La ridotta copertura pensionistica fornita dal sistema pubblico potrebbe essere compensata dallo sviluppo della previdenza integrativa a capitalizzazione adeguatamente incentivata dallo stato. I nuovi fondi pensione sarebbero finanziati dirottando su di essi i flussi di salario differito che attualmente sono gestiti dalle imprese e alimentano il Trattamento di fine rapporto (TFR); quest'ultimo non sarebbe più disponibile per i lavoratori. 20 Corrispondentemente allo sviluppo dei fondi a capitalizzazione, le prestazioni pensionistiche sarebbero maggiormente esposte all'instabilità dei mercati finanziari. Nei primi nove mesi del 2002, i fondi chiusi già operanti nel nostro paese hanno offerto rendimenti negativi medi del 7,7%; i fondi aperti hanno perso il 14,1%. Naturalmente, i risultati di un periodo di crisi come quello in atto da oltre un biennio non possono essere generalizzati; tuttavia, anche le precedenti speranze e promesse di elevati rendimenti diffuse mentre si gonfiava la cosiddetta bolla speculativa, sono ingiustificate. Negli ultimi decenni, caratterizzati dalla globalizzazione dei mercati, un sicuro elemento di novità che si è consolidato è la più accentuata variabilità dei rendimenti finanziari; si tratta di un mutamento stabile che evidentemente accresce le già note difficoltà dei sistemi a capitalizzazione di soddisfare i requisiti di sicurezza delle prestazioni richiesti ai sistemi pensionistici. Le peculiarità del sistema produttivo e finanziario italiano, caratterizzato da piccole imprese che non si quotano in borsa e hanno difficoltà di accesso al credito, rendono ancora più incerta la convenienza dello sviluppo dei fondi pensione nel nostro Paese. Già oggi, l'investimento azionario dei fondi pensione esistenti si rivolge verso titoli di imprese nazionali solo in misura del 18%. Il dirottamento completo per il futuro del TFR farebbe affluire ai fondi pensione circa 100 miliardi di euro in sette anni. E' facile prevedere che larghissima parte di questo ingentissimo flusso di risparmio nazionale, oggi gestito dalle nostre imprese, verrebbe investito all'estero. 21 Entro certi limiti e con le dovute accortezze, da valutare anche in rapporto alle condizioni di partenza e alle specificità nazionali, la previdenza a capitalizzazione può positivamente integrare quella a ripartizione; è più difficile che possa sostituirla in misura significativa senza rischiare effetti negativi sulla funzionalità del sistema pensionistico e sui delicati equilibri sociali ed economici ad esso connessi. Conclusioni Le problematiche connesse al welfare sono in continua evoluzione e si caratterizzano per la loro complessità. L'attenta valutazione dei risultati teorici e delle esperienze empiriche è indispensabile per adeguare opportunamente gli istituti dello stato sociale alle mutate esigenze della collettività. La sostenibilità finanziaria è un vincolo importante, ma qualsiasi intervento sul welfare state non può astrarre dalla salvaguardia della coesione sociale. Peraltro, la coesione sociale, oltre ad essere un valore fondante dello sviluppo civile, sempre più costituisce un prerequisito della competitività e della crescita economica. Pur caratterizzato da specificità nazionali che non vanno sottovalutate, il modello europeo di protezione sociale, che assegna un ruolo determinante alle istituzioni della collettività, si conferma quello maggiormente in grado di perseguire congiuntamente efficienza, equità e coesione sociale. E' auspicabile che la valorizzazione di questi aspetti salienti della storia e della cultura europea possa accompagnare e 22 sostenere come tratto distintivo la prosecuzione del processo d'integrazione del nostro continente.
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