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europa sociale problemi e prospettive
- Subject: europa sociale problemi e prospettive
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 16 Dec 2003 07:06:26 +0100
da fdv novembre 2003 PRESENTAZIONE Nell'aprire i lavori del Convegno "Europa sociale. Problemi e prospettive." vorrei esprimere un ringraziamento a coloro che sono intervenuti e in particolare a Pietro Larizza, Presidente del Cnel, questa importante struttura che ci ospiterà per due giorni. La Fondazione Giuseppe Di Vittorio, nell'ambito delle sue attività scientifiche e culturali, attribuisce un ruolo preminente e assolutamente fondamentale allo studio e alla ricerca su temi e questioni di carattere sociale, non solo con riguardo alla dimensione nazionale, ma anche con una particolare attenzione all'ambito internazionale. E' in quest'ottica che nasce la collaborazione con la Fondazione Friedrich Ebert e la Fondazione Alternativas, il Ciss e l'Ihs, che hanno contribuito in maniera determinante alla realizzazione dell'evento odierno ed i cui rappresentanti voglio sentitamente ringraziare. Spero che possa essere l'avvio di un processo di comune riflessione sui grandi temi della sinistra sindacale e politica europea. Il Convegno sull'Europa sociale vuole rappresentare un momento di discussione e di confronto sul sistema europeo dei diritti sociali alla luce del lavoro svolto dalla Convenzione e di quello in corso d'opera nella Conferenza intergovernativa che provvederà alla stesura finale della Costituzione Europea. L'Unione Europea, dopo aver raggiunto l'integrazione finanziaria e il coordinamento delle politiche economiche e di sviluppo, deve giungere all'istituzione di un patto politico capace di fornire una legittimazione condivisa al nuovo assetto istituzionale e geografico del continente. Un patto politico che sia soprattutto in grado di aggiornare e rilanciare quelle istituzione di mediazione dello stato sociale che hanno contribuito a formare e diffondere il welfare in tutta Europa, nell'ambito di differenti sistemi nazionali, ma nell'ottica di un comune sentire e di una comune condivisione di principi e di valori. Questa prospettiva appare impensabile senza un patto sociale che sia in grado di dare forma e sostanza a quei concetti di "sviluppo sostenibile basato su una crescita economica equilibrata che mira alla piena occupazione e al progresso sociale" che sono stati ribaditi dalla Convenzione e dovranno comparire come principi fondamentali della nuova carta costituzionale europea affinché la tutela dei diritti socio-economici sanciti dalla Carta dei Diritti Fondamentali non rimangano lettera morta. Partendo proprio dall'indispensabilità del patto sociale come presupposto ineludibile di qualsivoglia articolazione politica che voglia riconoscere tra i suoi valori fondativi l'uguaglianza, la solidarietà e la protezione sociale, occorre sostenere il dibattito in corso con un nuovo slancio per favorire la costruzione di un rinnovato modello sociale europeo forte e condiviso. La futura Costituzione europea, a nostro giudizio, avrà un fondamento democratico nella misura in cui esso comprenderà il patto sociale, anche alla luce dell'inedito profilo del soggetto politico-costituzionale in costruzione, che oscilla tra una dimensione federale, una dimensione interstatale e una dimensione funzionalistica. Saranno i temi delle politiche attive per l'occupazione, le riflessioni sui sistemi previdenziali, sanitari, assistenziali e sugli ammortizzatori sociali, lo sviluppo del capitale umano e delle iniziative E-Government, l'attenzione per la dimensione ambientale, a costituire la nuova identità europea e a sancirne la specificità. Tale identità non potrà far riferimento ad una semplice costruzione statale sopranazionale quanto ad una Costituzione i cui caratteri fondamentali dovranno essere un forte e condiviso patto sociale e una definizione di una "sfera pubblica europea", secondo l'intuizione di Habermas. Il percorso non è certo privo di ostacoli e contraddizioni che è necessario risolvere. Appare evidente che la Conferenza intergovernativa è dominata dal confronto-scontro di diverse spinte che mettono continuamente a rischio il difficile e precario equilibrio raggiunto dalla Convenzione e che sottintendono l'esistenza di diversi modi di interpretare l'avanzamento del processo di integrazione. Sembra contrapporsi un'Europa continentale, che si muove intorno ad un asse francotedesco rafforzato dalla nascita di strutture di cooperazione sempre più avanzate, e da una simbiosi in politica estera che appare più strategica che meramente tattica, nonchè dai primi esperimenti di amministrazione comune, e un'Europa mediterranea-atlantica (Inghilterra, Spagna, Italia), che pur non esprimendo un modello omogeneo, si fa interprete ed espressione in Europa di un modello sociale ed economico ispirato all'ultraliberismo americano. "A questi due modelli si affianca ormai un'Europa "periferica", il vasto spazio di congiunzione con la Russia, articolata in un'area baltica, in una centro-orientale e in una balcanica. Ciascuna di esse è attraversata da peculiari processi di transizione e di adattamento geoeconomico e geopolitica dal comunismo alla dimensione della democrazia liberale. Quest'Europa, che una parte delle elites americane ama definire "nuova Europa", oscilla in realtà tra la necessità di integrazione nel sistema economico dell'Europa continentale, una decisa attrazione per le forme ultraliberiste del sistema produttivo americano e una delega agli stessi Stati Uniti per quanto concerne i problemi della sicurezza politico-militare e strategici. La crisi irakena ha messo in luce l'impatto destabilizzante che potrebbe avere l'allargamento dell'Unione europea se questa non sarà in grado di dotarsi di un progetto costituzionale-istituzionale e soprattutto sociale di sviluppo in grado di omogeneizzare le difformi realtà nazionali. La spaccatura politica tra i paesi della "vecchia Europa" e i paesi della "nuova Europa" in relazione ai rapporti transatlantici pone con forza il problema della capacità di attrazione che il modello americano esercita nei confronti di tanti Stati europei, rendendo fluido e tutt'altro che definitivo il processo di sviluppo della realtà istituzionale e sociale europea. Ed è proprio verso l'esterno, e specificatamente nei riguardi del rapporto verso gli Stati Uniti di America che si percepisce con più forza e con maggiore intensità il valore delle scelte politicosociali che l'Europa è chiamata oggi a fare in maniera indifferibile. Negli ultimi cinquant'anni, gli Usa si sono proposti come modello sociale ed economico propulsivo nei confronti di un'Europa uscita distrutta e disarticolata dalle macerie della seconda guerra mondiale. Ma quella spinta innovatrice grazie alla quale il capitalismo europeo costruì il più importante circuito virtuoso della sua storia, sembra essersi esaurita definitivamente. La scelta multilaterale che sottostava alle politiche americane è stata coscientemente abbandonata dall'amministrazione conservatrice di George W. Bush. La crisi in Iraq ha sancito definitivamente l'apertura di una nuova era della politica americana fondata sull'unilateralismo dell'iperpotenza che si separa dall'esperienza europea e rivendica da essa una totale autonomia. Il rilancio del neoliberismo e la teoria strategica dei neoconservatori in realtà rappresentano un'autentica frattura nella continuità del modello sociale e politico transatlantico costruitosi dopo la fine della seconda guerra mondiale. L'ultimo ventennio della storia americana si configura sempre più come una fase di elaborazione di un sistema di valori sociali ed economici e di scelte politico strategiche legate quasi esclusivamente ad un'ipotesi di sviluppo degli Stati Uniti come potenza mondiale (iperpotenza). Appare evidente come una tale scelta determini oggi la necessità e apra insieme l'opportunità per l'Europa di costruire un modello politico e sociale continentale diverso così da quello americano che dal tradizionale modello transatlantico precedente. Occorre ci sembra dare al progetto di costituzione un forte contenuto sociale innovativo nell'ambito di una chiara logica di alternativa piuttosto che di mediazione e di adeguamento. E' solo a partire da ciò che l'Europa sociale, oltre ad assumere un profilo originale e autenticamente rinnovato, può contribuire a rilanciare un confronto con gli Stati Uniti per definire un più avanzato sistema di relazioni transatlantiche nel quadro di un assetto geopolitico multipolare che appare il più idoneo a governare le trasformazioni in corso. Accanto alla diversità nelle scelte di politica estera, concernenti la categoria della guerra e il ruolo delle istituzioni internazionali, è necessario evidenziare i diversi principi impliciti in idee di sviluppo economico, ma anche culturale, che sottintendono diverse interpretazioni della società, delle sue articolazioni e delle sue forme di rappresentanza; che sottintendono, in ultima istanza, una difforme e diseguale valutazione dei "diritti sociali" intesi come garanzia e fondamenta del concetto di "cittadinanza". Sembra, così, concretizzarsi la possibilità che l'Europa torni ad essere un modello innovatore di riferimento sul panorama internazionale capace di proporsi come un interlocutore attivo anche all'interno del dibattito tra le forze politiche e culturali americane, contribuendo a spezzare le logiche sottese alla concezione imperiale dei neoconservatori. L'Europa può tornare ad avere un ruolo guida per tutto l'occidente solo attraverso un'affermazione forte di se stessa che sottolinei l'esistenza tra le due sponde dell'Atlantico di due modelli sociali e di due filosofie politiche che interpretano in modo diverso gli stessi meccanismi basilari della democrazia. Democrazia intesa sia a livello istituzionale, sia a livello di strutture intermedie di rappresentanza sociale nelle quali si devono organizzare le relazioni industriali e sindacali, espressione di un mondo del lavoro che evolve sotto la spinta della globalizzazione. Quello che è in gioco, in ultima istanza, è il futuro dell'Europa come "grande potenza" proprio in virtù della costruzione di un suo peculiare sistema politico federale, che trovi un punto di equilibrio tra il federalismo solidaristico di stampo tedesco, un federalismo cooperativo, e uno stato sociale rinnovato. Sono queste le conquiste imprescindibili per impedire una deriva del continente verso una posizione marginale nel panorama delle relazioni internazionali. Il movimento sindacale europeo, per essere protagonista di questo processo di costruzione della democrazia europea, deve rafforzare i modelli di tutela e di rappresentanza del mondo del lavoro dipendente. Ciò comporta una più decisa politicizzazione della sua azione, rivolta verso nuove forme di internazionalismo solidaristico, attraverso la regolazione delle diversità e la realizzazione di corridoi di intervento per la politica sindacale nell'ambito della contrattazione collettiva. E' inoltre ipotizzabile una evoluzione dal tradizionale ruolo distributivo del sindacalismo europeo verso forme di più forte valorizzazione delle sue "funzioni produttive". Ed è sull'analisi e sulla riflessione di questi temi che si è voluta incentrare la nostra attenzione in questo Convegno. Il modello europeo: i diritti sociali nell'economia della conoscenza Relazione di Sergio Cofferati Roma, 18 novembre 2003 Il modello sociale europeo è oggi sottoposto a una delle prove più difficili della sua pur lunga esistenza. Non è soltanto sollecitato al confronto con il modello anglosassone: è soprattutto chiamato a fare i conti con le novità prodotte dall'allargamento dell'Unione e dalle scelte che di conseguenza verranno adottate per il modello istituzionale della nuova Europa. L'insieme di politiche che hanno definito storicamente il modello sociale di questa parte del mondo, e che hanno rappresentato un punto di riferimento per tante altre realtà nella costruzione del sistema delle protezioni per i cittadini, verrà scosso sempre più profondamente fino al punto, come hanno sostenuto Adolfo Pepe e Tonino Lettieri, che tutti i diversi attori europei dovranno impegnarsi in un percorso che porti alla realizzazione di un nuovo patto sociale in grado di confermare, rafforzandolo, quel modello. Il modello che abbiamo conosciuto in questi decenni è infatti importante per l'Europa non soltanto perché definisce il suo profilo sociale, ma perché nel corso del tempo ha assicurato coesione e garantito importanti tratti di civiltà del vivere quotidiano. Questo modello è importante perché la coesione rappresenta uno dei fondamenti della competizione internazionale dei prossimi anni, che dovrà essere fondata su un'idea di autonomia dell'Europa nei confronti degli Stati Uniti che abbia come tessuto connettivo un modello istituzionale, un modello sociale, regole condivise e un sistema di diritti integrati nell'uno e nell'altro. Questo modello verrà sottoposto a prove impegnative in una condizione nuova che è bene non ignorare. L'Europa sta attraversando da tempo uno dei momenti di maggiore difficoltà economica degli ultimi decenni. La flessione che ha colpito il continente e che ha condizionato ancor più pesantemente paesi come l'Italia, dura dal 2000 e ha cambiato in larga parte lo scenario in cui si sono svolti i lavori della Convenzione che ha stilato il progetto di trattato per l'istituzione della Costituzione europea. Si è verificato cioè un vero e proprio arretramento che ancora oggi non mostra punti di arrivo. È infatti tuttora difficile immaginare se e come cambieranno le condizioni dello sviluppo per l'Europa anche rispetto ai primi e pur timidi segnali di inversione di tendenza da parte dell'economia degli Stati Uniti. Bisognerà dunque fare i conti con questo quadro nuovo e con il fatto che esso accentua il logoramento e peggiora la tenuta di alcune delle condizioni fondamentali del modello sociale europeo. In questa situazione con cui siamo confrontati è però indispensabile che si determini una prima svolta politica: è necessario cioè che la Convenzione, nei suoi atti conclusivi, recuperi pienamente l'agenda sociale e che i temi connessi al modello sociale, alla sua utilità e alla sua efficacia, trovino nel dibattito politico tutto lo spazio che finora oggettivamente non hanno invece avuto. Un'Europa che si impegna nel definire la sua Costituzione ma che non tiene conto adeguatamente di come la Costituzione formale abbia poi bisogno di politiche concrete che la rendano efficace, è un'Europa che non realizza pienamente gli obiettivi che si è data. Ed è altrettanto indispensabile che questo recupero delle politiche avvenga attorno all'asse strategico che gli Stati dell'Unione hanno indicato nel 2000 a Lisbona con la scelta dell'economia della conoscenza, superando perciò le incertezze e gli arretramenti che il vento di destra, che in questi anni ha soffiato fortemente sull'Europa, ha invece prodotto con il vertice di Barcellona. Sono trascorsi dieci anni dal varo del Libro bianco di Jacques Delors. Le politiche indicate a Lisbona sono la naturale evoluzione e lo sviluppo coerente delle intuizioni contenute in quel documento. Ai suoi indirizzi occorre fare riferimento, scontando il fatto che nel breve termine l'estensione e l'allargamento dei confini dell'Europa produrranno maggiori e più profonde divergenze economiche. Ci vorrà infatti tempo, dovranno trascorrere degli anni, perché possano realizzarsi prime armonizzazioni tra le economie dei paesi della nuova Europa. E con tutta probabilità queste divergenze si trascineranno dietro, come elemento fisiologico, anche un'iniziale flessione dell'occupazione. Nella transizione del processo di allargamento, proprio in tema di diritti sociali, tutti saremo inoltre chiamati a fare i conti con le drammatiche condizioni di marginalità, quando non addirittura di esclusione, che toccano molte piccole minoranze etniche; e sarà questo il primo dei problemi che il modello sociale europeo dovrà affrontare e risolvere positivamente. Ho detto che il punto di riferimento debbono essere le decisioni prese a Lisbona, gli obiettivi definiti in quel vertice, l'idea complessiva delle politiche che lì è stata strutturata; e i governi dei paesi membri, insieme agli attori sociali, dovranno assumere concretamente l'obiettivo dell'innalzamento del tasso di occupazione indicato a Lisbona, e contemporaneamente dovranno anche assumere, come politica inclusiva, la priorità della lotta alla povertà che si è accentuata nel corso degli ultimi anni in conseguenza di una redistribuzione ineguale della ricchezza prodotta in Europa. Lisbona ci indica la strada dell'economia della conoscenza. È evidente che indicare e poi praticare un obiettivo di questa natura significa scegliere con coerenza un impianto di politiche concrete che muovano tutte, in primo luogo, dalla scelta della valorizzazione del capitale umano. La cultura delle persone, la loro intelligenza, la capacità di tutti di apprendere con continuità e di lavorare e produrre in conseguenza di tale apprendimento, è una delle leve fondamentali di un modello economico che si riferisce sistematicamente alla conoscenza. E il nuovo lavoro da realizzare dovrà rispondere per questo a due direttrici fondamentali che risultano decisive nel determinare contemporaneamente quantità e qualità dello sviluppo dell'occupazione. Il nuovo lavoro, questa è la prima direttrice, dovrà avere un contenuto adeguato di sapere che consenta, soprattutto alle nuove generazioni, di essere in grado non soltanto di svolgere positivamente il compito che deve essere assolto in quel modello economico, ma anche di ripeterlo e farlo crescere successivamente. L'accesso al sapere e la quantità di conoscenza saranno perciò una delle frontiere dell'emancipazione degli anni a venire, esattamente come nel nostro passato l'emancipazione delle persone che lavoravano, e anche dei cittadini, era legata al miglioramento delle loro condizioni di vita e alla certezza di poter utilizzare diritti individuali e collettivi. A questa condizione antica si aggiungerà quella nuova, modernissima, della possibilità di avere tutti la stessa quantità di sapere a disposizione, le stesse condizioni di accesso alla conoscenza. Il nuovo lavoro, quello che dovrà consentire di raggiungere il tasso di occupazione fissato a Lisbona, per tale ragione dovrà in primo luogo avere questa condizione risolta e realizzata. La seconda direttrice, per ciascuna delle modalità di lavoro, è invece quella relativa al contenuto di diritti fondamentali della persona che dovranno accompagnarsi ai diritti che le persone liberamente associate dovranno poter agire collettivamente. Saperi e diritti, dunque, strettamente connessi tra loro come paradigma dell'incremento dell'occupazione nell'ambito di un modello di crescita connesso alla conoscenza. Si tratta in fondo, a ben guardare, del primo campo di intervento concreto che i paesi dell'Unione saranno chiamati ad effettuare nell'assetto del modello sociale europeo dopo che a Nizza è stata varata la Carta dei diritti. Una Carta che non casualmente ha come elemento di valore fondativo la connessione tra i diritti della persona, i diritti che nascono nella sfera economica e riguardano le lavoratrici e i lavoratori, e i diritti di cittadinanza. Una catena che non si può scindere, pena la decadenza di ognuno degli anelli che la compongono. Bisognerà poi, per naturale e logica coerenza, che altre pratiche positive vengano messe in campo. L'obiettivo della piena occupazione attraverso uno sviluppo e una crescita connessi alla conoscenza, deve infatti essere attuato realizzando per tutti i cittadini europei in primo luogo condizioni di pari opportunità. Ho già accennato alle grandi disuguaglianze che oggi esistono in Europa e che si accentueranno con l'allargamento dei suoi confini. Rispetto a questo quadro, dunque, la possibilità di avere politiche in grado di restituire e supportare cittadinanza attraverso il lavoro, passa dalla condizione che si rendano disponibili per tutti pari opportunità tra i diversi generi e tra le condizioni sociali o economiche che oggi fanno diseguali tantissimi cittadini d'Europa. E poi servirà anche la realizzazione di una concreta ed efficace parità tra donne e uomini, che non passa semplicemente dalla costruzione di occasioni paritarie, ma da politiche concrete di mainstreaming che in ogni occasione consentano di poter garantire alle donne gli stessi sbocchi professionali, occupazionali e di cittadinanza consentiti agli uomini. Inoltre bisognerà avere nelle politiche nazionali, così come nel coordinamento sovranazionale, un'idea di sviluppo che abbia in sé la nozione di limite. La nozione di limite è fondamentale perché la crescita e lo sviluppo siano rispettosi dell'ambiente, perché l'ambiente non venga considerato come fattore competitivo o, per meglio dire, perché la violazione di elementari norme di rispetto dell'ambiente non diventi parte della competizione tra i sistemi economici e tra le singole imprese. Nel contempo bisognerà sviluppare ciò che l'Unione europea da tempo chiede ad alta voce al sistema delle imprese. Ogni impresa deve assumere una effettiva responsabilità sociale, deve cioè impegnarsi liberamente per costruire una cultura che sia in grado di modificare l'idea e la funzione dell'impresa che oggi risultano prevalenti. Il modello neoliberista consegna alle imprese l'obbligo del ritorno a breve, dell'investimento mirato al massimo di profitto nel minor tempo possibile, con una rottura sistematica di relazioni tra l'impresa e tutti gli stake holders che partecipano alla sua attività. L'idea di responsabilità sociale che ancora una volta Jacques Delors indicò alle imprese europee alla fine del secolo precedente, oggi si può tradurre in politiche in grado di cambiare progressivamente la natura dell'impresa senza snaturarne la funzione storica, trasformando cioè l'obiettivo del ritorno economico da obbligo a breve ad obbligo di medio e lungo periodo laddove vengano soddisfatti, con equità e con attenzione, i problemi dei rapporti con ogni stake holder. In questa nuova pratica le imprese potranno farsi carico della soluzione strutturale di una parte dei problemi che nel modello dell'economia della conoscenza viene loro destinata, ma sarà importante che, sulla base di prassi autonome, la responsabilità sociale delle imprese si realizzi come promozione di cultura e come comportamento diverso rispetto all'idea prevalente indicata dalle teorie neoliberiste, e che tutto ciò avvenga contemporaneamente al rafforzamento delle relazioni tra le parti sociali. Dunque non un'impresa autonoma che agisce in forma separata dal rapporto con una quota consistente, storicamente definita, dei suoi stake holders, ma un'impresa in grado di costruire un sistema di relazioni con i suoi interlocutori all'interno della sua gestione e nel rapporto tradizionale con il lavoro dipendente. Ed è significativo che da parte della sinistra in Europa si indichi e, laddove le condizioni politiche lo rendono possibile, si pratichi un'idea di confronto d'anticipo, per far sì che gli assetti del sistema produttivo di beni e di servizi vengano progressivamente aggiornati e resi competitivi attraverso verifiche e confronti che possono anticipare le esigenze di cambiamento e di trasformazione; ed è significativo che a questa pratica del confronto d'anticipo gli Stati offrano strumenti in grado non soltanto di ridurre l'impatto sociale degli effetti dei cambiamenti, ma addirittura di volgere i cambiamenti in positivo impiegando e dando certezze alle risorse umane che si liberano, avendole a questo fine rivitalizzate attraverso processi formativi. Il modello sociale che ne può discendere integrando e aggiornando, come bene si può vedere, l'antica prassi e le sperimentate politiche europee, è o può diventare componente decisiva dell'idea di sviluppo. Non c'è conoscenza senza valorizzazione della ricerca, dell'innovazione e del sapere delle donne e degli uomini, ma lo sviluppo e la conoscenza hanno come fondamento e presupposto, senza confusione di ruoli e sovrapposizione di competenze e di funzioni, anche una pratica radicata e diffusa di partecipazione, cioè di un coinvolgimento sistematico dei grandi soggetti che sia rispettoso della loro autonomia e tale da dar luogo a prassi e a procedure che poi possono e debbono consolidarsi attraverso la definizione della norma. Questo modello sociale è parte integrante della nostra idea di rapporto, di relazione e di vita in questa parte del mondo, e deve diventare esplicitamente condizione intorno alla quale si costruisce un modello di competizione europeo, un modello cioè che abbia come fondamento l'idea e la pratica della qualità anteposta e contrapposta a quella dei costi. Un'idea di competizione che abbia in sé delle soglie da rispettare, quali quelle che riguardano il rapporto tra le attività economiche e l'ambiente di cui ho già parlato. Analogamente si può dire di quelle che riguardano il rapporto tra le attività economiche e le politiche di protezione sociale, e ancor più direttamente di quelle che riguardano il rapporto tra le attività economiche e i diritti individuali e collettivi; soglie da non valicare e quindi processi da costruire al di sopra di tali soglie che, una volta rispettate, non soltanto riconfermerebbero, aggiornandolo, il vecchio modello europeo così importante per milioni di cittadini, ma potrebbero offrire un'idea di competizione alta anche nell'intero mondo globale. E' in questo mondo che occorre infatti collocare l'assetto, la struttura e l'aggiornamento del modello sociale europeo con l'obiettivo più volte dichiarato di far sì che la realizzazione del progetto della nuova Europa avvenga attraverso trasparenti politiche di equità, con atti fondativi di condizioni di giustizia, con un'idea della coesione legata non soltanto al benessere delle persone ma anche al valore competitivo che essa ha, così che quel modello possa in questo modo rappresentare imprescindibile punto di riferimento positivo nella globalizzazione. I processi di globalizzazione sono processi complessi, non hanno mai un andamento lineare e hanno bisogno di essere regolati in quanto, per loro natura, se regolati e orientati possono prestarsi a diventare occasione di crescita per tantissime persone, oppure, se lasciati privi di regole e di strumenti di governo, realizzarsi come l'esatto opposto, detonatori cioè che accentuano le differenze e le diversità e che favoriscono l'esclusione. L'uno o l'altro esito dipendono soltanto dalla volontà politica dei soggetti in campo, dipendono molto da quello che si potrà e si sarà capaci di fare nel corso delle settimane e dei mesi a venire. Diceva prima Tonino Lettieri, e non si può che essere d'accordo con lui, del deficit di discussione che oggi si riscontra sui temi sociali, sulle loro condizioni oggettive e sul valore che rappresentano non per la storia passata ma per la storia futura dell'Europa. Lo spazio perché questo limite venga recuperato c'è; dipende molto da come si orienteranno in un futuro ravvicinato molti dei soggetti che sono in campo in Europa. Prevale oggi, in alcuni paesi, un orientamento negativo nei confronti dell'Europa, a volte reso esplicito, a volte praticato surrettiziamente. È bene per la sinistra, nella sua dimensione politica come in quella sociale, aver chiaro quale debba essere l'obiettivo da realizzare. Io sono convinto, e non da ora, che l'Europa sia per noi importante. L'Europa che si allarga, l'Europa che si dà regole, l'Europa che si dà un profilo istituzionale, pur nelle sue contraddizioni e nei suoi difetti deve essere considerata come un obiettivo prioritario per la sinistra in tutti i paesi dell'Unione. Avremo un'occasione ravvicinata e importante non semplicemente per tentare di colmare lacune e divari esistenti, ma per dare anche qualche elemento di ulteriore consistenza a questo obiettivo. È indispensabile che la sinistra politica di ogni paese consideri le elezioni europee non come una occasione rituale ed esterna alla sua ragion d'essere, ma come un impegno prioritario per il futuro. Se la sinistra politica saprà dare con nettezza questo segnale ai cittadini in ogni paese dell'Unione, sarà più semplice anche per la sinistra sociale affrontare i temi del modello e delle politiche sociali per rafforzarli alla luce delle nuove esigenze che sommariamente ho richiamato.
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