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la nozione di rifiuto
- Subject: la nozione di rifiuto
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 29 Nov 2003 06:49:29 +0100
audione di g. amendola procuratore della repubblica roma alla com. naz. parl. rifiuti Seduta del 15/10/2003 Audizione del procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma, Gianfranco Amendola. PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma, Gianfranco Amendola. Nell'odierna seduta prosegue la serie di audizioni in merito alle problematiche inerenti la definizione normativa della nozione di «rifiuto». La Commissione ha già ascoltato su tale delicata materia, acquisendo utili e preziosi contributi, i rappresentanti dell'ENEA, dell'APAT, dell'Osservatorio nazionale sui rifiuti, delle associazioni ambientaliste, dell'associazione Ambiente e lavoro, dell'UNI (Ente nazionale di unificazione), di Ambiente Italia. La Commissione ha svolto altresì audizioni tese ad acquisire, su tale materia, anche il contributo del mondo accademico e della dottrina, ascoltando il professor Franco Giampietro, magistrato di Cassazione in congedo, il professor Renato Federici, docente di diritto amministrativo, e il magistrato di Cassazione Maurizio Santoloci. L'odierna audizione del dottor Gianfranco Amendola fornirà certamente alla Commissione utili elementi di valutazione sulle problematiche che afferiscono alla questione dell'esatta definizione giuridica della categoria dei rifiuti. Ricordo che la scorsa settimana sono stati ascoltati magistrati appartenenti alle procure di Udine, Trieste, Napoli, Venezia e Milano. Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata, do la parola al dottor Amendola, riservando eventuali domande dei colleghi al termine del suo intervento. GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Signor presidente, ho preso visione del materiale trasmesso alla Commissione da parte di alcuni colleghi, materiale comune a tanti magistrati: per esempio, quello che ha portato il procuratore Santoloci è stato in buona parte scritto da me stesso. Mi sembra, pertanto, del tutto inutile che adesso io ripeta cose già portate all'attenzione della Commissione e che voi certamente conoscete perfettamente. Forse è più opportuno che faccia una sintesi, portando pochi elementi nuovi, alcuni dei quali ancora non pubblicati. Ricorderete certamente che, al livello storico, la problematica sull'interpretazione autentica della nozione di «rifiuto» viene da lontano: fu proprio su richiesta di questa Commissione - all'epoca presieduta da altro presidente e con altri componenti - che si disse che era necessario ridefinire la nozione di rifiuto. Proprio in base a questo, nella Commissione ambiente della Camera, fu esaminato il disegno di legge definito Ronchi-quater, nel 1999, il cui iter andò avanti con grande velocità. Il testo fu speditamente approvato in Commissione in una stesura in cui si dava l'interpretazione autentica della nozione di rifiuto. Negli stessi giorni, tuttavia, fu emanata una sentenza della Corte europea di giustizia, la sentenza Arco del 2000, che, tra le altre cose, conteneva un elemento di base, pregiudiziale: nessuno Stato membro dell'Unione può dare un'interpretazione mettendo presunzioni iuris et de iure sulla definizione di rifiuto, cioè presunzioni che non ammettono prova contraria, in quanto la definizione di rifiuto non può essere codificata. In base ad alcuni criteri di valutazione dati dalla Corte europea, essa deve essere valutata caso per caso dal giudice nazionale. Nel caso concreto, non può quindi essere standardizzata prima. È appena il caso di ricordare che le sentenze interpretative della Corte europea sono vincolanti per i giudici e i funzionari italiani, come ha affermato anche la nostra Corte costituzionale. Il Ronchi-quater così si bloccò e il suo iter non andò avanti nella scorsa legislatura, ma lo stesso, identico testo che era stato approvato dalla Commissione fu riproposto come decreto-legge la scorsa estate dalla nuova maggioranza, dal nuovo Governo, diventando legge con una sola piccola modifica riguardante una frase. I rilievi che la Corte europea di giustizia aveva rivolto al cosiddetto Ronchi-quater restano quindi del tutto validi anche per il provvedimento varato successivamente. Tra l'altro, la Corte europea di giustizia ha poi affinato ancor di più la sua interpretazione con diverse sentenze. Ho visto che il collega Santoloci vi ha già citato la Palin Granit, che è una delle più importanti; pochi giorni fa è uscita un'altra sentenza, di cui ho portato copia (che vi posso lasciare, nel caso in cui non l'abbiate ancora), che riguarda l'Avesta Polarit Chrome Oy, sul caso di alcuni residui di una miniera che venivano utilizzati per chiudere le gallerie in disuso della miniera stessa. Si discuteva se fossero rifiuti o no. In questa lunga e articolata sentenza la Corte ribadisce ancora una volta la sua giurisprudenza, cioè che la nozione di rifiuto deve essere vista caso per caso, che tutto ciò che viene prodotto accidentalmente nel corso di un processo di produzione deve ritenersi, in linea di principio, rifiuto, che in ogni caso, se vi sono operazioni di trasformazione preliminare, questa cosa resta un rifiuto, ovviamente a maggior ragione se vi è un'operazione di recupero o, peggio ancora, di smaltimento, ripetendo i concetti già espressi per anni. Il concetto base ripetuto sempre in queste sentenze è che possono essere escluse dalla nozione di rifiuto solamente le situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale bensì certo, senza trasformazione preliminare e nel corso del processo di produzione. Quindi, tutti i casi in cui, invece, si volesse dire che non è rifiuto un riutilizzo - e già dovremmo sapere cos'è il riutilizzo rispetto al recupero - di un materiale, con trasformazione preliminare e non nel corso del processo di produzione, sarebbero contrari a questa normativa. In quest'ultima sentenza, la Corte ha aggiunto inoltre due altri aspetti, a mio sommesso avviso molto rilevanti. Si è occupata, infatti, dell'altro articolo fondamentale cui si è fatto ricorso in Italia per escludere alcuni rifiuti dall'ambito di applicazione dei rifiuti stessi. Mi riferisco all'ambito delle esclusioni, quello, per capirsi, su cui il Governo precedente aveva scritto quattro commi, quando la direttiva ne aveva uno: sette mesi dopo, a seguito dell'intervento della Commissione, fu costretto ad abrogare, con il Ronchi-bis, il secondo, il terzo e il quarto comma perché considerati illegittimi dalla Commissione europea. Quindi, vi era già stata l'idea di allargare le esclusioni dall'ambito della materia dei rifiuti, esclusioni che poi sono inopinatamente riaumentate recentemente con l'inserimento delle terre da scavo anche contaminate, del pet coke di Gela e di materiali vegetali. Questa sentenza è interessante perché afferma che gli Stati membri possono fare esclusioni dalla normativa comunitaria sui rifiuti. Quindi, per definizioni sarebbero già rifiuti. È ovvio che se una cosa non è un rifiuto non le si applica la normativa; le esclusioni sono invece i casi in cui queste cose sono certamente rifiuti ma ad essi non si applica la normativa sui rifiuti. Quindi, uno Stato membro lo può fare, ma esclusivamente nel caso in cui abbia una normativa che disciplina i rifiuti che dia quanto meno le stesse garanzie per la tutela dell'ambiente di quante ne dà la normativa generale europea sui rifiuti. Se ne desse di meno, sarebbe illegittima. Ciò mi sembra di grande interesse, nel momento in cui il legislatore si appresta - spero - a rivedere tutta la materia che giorno per giorno si è «incrostata» secondo i problemi contingenti. Probabilmente, occorre rivedere insieme sia la nozione di rifiuto sia, soprattutto, le esclusioni, perché bisogna tenere conto anche di questa sentenza, di cui vi lascio volentieri copia. PRESIDENTE. La acquisiamo con piacere. GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Un secondo argomento che può risultare interessante riguarda un articolo da me recentemente pubblicato in cui ho commentato le prime sentenze della Cassazione emesse sull'interpretazione autentica della definizione di rifiuto. L'unico vero contrasto che ho notato - ma certamente qualcuno lo avrà fatto notare alla Commissione - non è tanto sul fatto che si sia riconosciuto che qualcosa che sembrava rifiuto non lo è in base all'articolo 14 del decreto-legge n. 138 del 2002, ma esclusivamente sulla possibilità che il giudice italiano avrebbe o non avrebbe di disapplicare l'articolo 14 in base a normative comunitarie e sentenze della Corte di giustizia. Il vero contrasto interpretativo che si è avuto nell'ambito della terza sezione della Cassazione è su questo punto: non tanto sull'esatto contesto in cui inserire l'articolo 14, ma se il giudice italiano possa in qualche modo disattendere, disapplicare questo articolo 14 in base a obblighi comunitari. Mi è sembrato interessante far notare questo aspetto, trattandosi di un punto che certamente può essere rilevante ai fini delle vostre importanti decisioni. Che l'articolo 14 sia inidoneo a risolvere i problemi per i quali è stato emanato è sotto gli occhi di tutti. Se nella relazione si parla di rottami ferrosi del nord est italiano - e voi avete sentito certamente la Beltrame e gli altri colleghi che se ne sono occupati - e nel disegno di legge per la delega sulla normativa ambientale è stato aggiunto un comma dove si dice che i rottami ferrosi non sono rifiuti, evidentemente si è capito che l'articolo 14 non era idoneo a risolvere il problema (che occorra un nuovo intervento del legislatore è condivisibile o meno, secondo me non condivisibile). Quindi, evidentemente, questo articolo 14 non serve a ciò a cui era destinato, se crea solamente confusione. Ad esempio, usa il termine «riutilizzo» senza neanche dirci in cosa questo si differenzi dalle altre forme di recupero previste dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e non ci dice neppure cos'è una trasformazione preliminare diversa da una delle operazioni preliminari per il recupero previste dagli allegati B e C; se non ci dà neanche questi elementi fondamentali, è solo una fonte di incertezza e una fonte di sicura condanna, visto che siamo già al secondo parere motivato contro l'Italia della Commissione europea, e la Corte europea di giustizia dovrà decidere nei prossimi giorni. Ma la giurisprudenza della Corte è quella che ho detto, e da ex deputato europeo vi dico che la Corte, sotto questo profilo (anche se non si può mai sapere cosa decide un giudice), non potrà che condannarci. Mi sembra pertanto che, a questo punto, più che basarsi sull'articolo 14, su questa interpretazione autentica, si debba agire in sede comunitaria, per risolvere lì alcune situazioni e poi riportarle in tutta Europa, senza levare l'Italia da questo contesto. Non desidero farvi perdere altro tempo e sono a disposizione per rispondere ad eventuali domande. PRESIDENTE. Il senso della nostra iniziativa nasce proprio dalla registrazione dell'insuccesso dell'articolo 14, registrazione - come lei ha utilmente notato - da ambo le posizioni, nel senso che chi credeva che quella ratio potesse sostenere quell'articolato si è accorto che il prodotto è ininfluente; chi viceversa sosteneva e sostiene che la ratio è errata a maggior ragione ritiene inutile quell'articolato. Partendo da quella riflessione, ci siamo permessi di considerare una delle priorità della Commissione quella di ritornare su questo merito, di ridare alla Camera, al Senato e anche al Governo la possibilità di riflessione su questo tema. Con la sua esperienza e con le sue conoscenze, lei ha offerto uno spaccato puntuale e utilissimo. Sulla vicenda delle esclusioni è possibile ipotizzare in modo concreto delle reali condizioni escludenti, il che significa escludere dal regime dei rifiuti? GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Esattamente. PRESIDENTE. Che non significa non considerare che trattasi di rifiuto, ma escluderlo dal regime dei rifiuti. GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Esatto. Nella sentenza di cui ho parlato vi sono alcune righe che riguardano questo punto, che è il vero punto nuovo, che lei ha colto perfettamente. La Corte dice: «Tenuto conto delle caratteristiche molto particolari dei rifiuti di cui trattasi, il legislatore comunitario ha potuto preferire, in occasione dell'adozione della direttiva (...) lasciare applicare legislazioni nazionali esse stesse adattate a tali specificità» (cioè a rifiuti specifici) «piuttosto che assoggettare i rifiuti di ci trattasi all'ambito generale della direttiva 75/442. Tuttavia, al fine di evitare che, in talune situazioni, la gestione di questi rifiuti non rimanga soggetta ad alcuna legislazione, come in precedenza, esso ha accolto un dispositivo ai sensi del quale, in difetto di normativa comunitaria specifica e, in via subordinata, di legislazione nazionale specifica, si applica la direttiva 75/442», cioè quella sui rifiuti. Si aggiunge poi che questa esclusione opera solo se vi siano disposizioni precise che organizzano la loro gestione come rifiuti che porti a un livello di protezione dell'ambiente almeno equivalente a quello previsto dalla direttiva sui rifiuti. Quindi noi possiamo benissimo farlo, ma l'importante è non calare le difese. Non entro nei particolari di terre da scavo e pet coke. DONATO PIGLIONICA. È meglio che facciamo l'elenco di ciò che viene escluso dai rifiuti piuttosto che quello dei rifiuti. PRESIDENTE. L'innovazione straordinaria è che si possono fare quanti elenchi si vuole, a condizione che la normativa sia di tutela. GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Esattamente. EGIDIO BANTI. Di quando è questa sentenza? GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Dell'11 settembre del 2003. Non è ancora pubblicata. EGIDIO BANTI. Mi sembra interessante ragionare brevemente su questo aspetto dell'equipollenza della normativa qualora si dovesse uscire da quella prevista dalla direttiva sui rifiuti. Per esempio, la tutela penale, qualora fosse prevista una fattispecie di reato penale in caso di applicazione della direttiva stessa e fosse esclusa dall'eventuale legislazione nazionale, è considerata equipollente da questo punto di vista? GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Direi di no. L'esempio più classico viene nel classico caso delle esclusioni, cioè le acque di scarico rispetto ai rifiuti, laddove si discute dell'ambito di applicazione del decreto sui rifiuti e del decreto legislativo n. 152 del 1999 sulle acque (prima era la legge Merli). La normativa comunitaria e quella italiana dicono che sono escluse dalla normativa sui rifiuti in quanto disciplinate da altra legge le acque di scarico esclusi i rifiuti allo stato liquido. Il decreto n. 152 prevede sanzioni penali e amministrative con un livello di tutela almeno equivalente a quello di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997. Quindi, bene abbiamo fatto, è legittimo, è lecito, ma se lo facessimo senza dare, quantomeno, un livello equivalente, sarebbe censurabile almeno in sede di Corte europea di giustizia. PRESIDENTE. Queste occasioni di approfondimento - se mi è consentito di primo approfondimento, e qualora valutassimo l'esigenza di meglio comprendere o approfondire determinate questioni ci premetteremmo di disturbarla ancora, conoscendo la sua competenza, la sua passione e la sua sensibilità, e quindi anche la disponibilità a partecipare ai nostri lavori - sono molto utili per la Commissione. GIANFRANCO AMENDOLA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma. Grazie, presidente, è un piacere e un onore. PRESIDENTE. La ringrazio ancora, assieme ai colleghi intervenuti, e dichiaro conclusa l'audizione.
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