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viaggio nella fabbrica che non inquina
- Subject: viaggio nella fabbrica che non inquina
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 8 Oct 2003 11:30:04 +0200
il manifesto - 27 Settembre 2003 Viaggio nella fabbrica che non inquina MAURIZIO PALLANTE Viaggio nella fabbrica che non inquina CO2 addio Si chiama «Solvis»: lo stabilimento è vicino Hannover. E' una fabbrica modello che produce pannelli solari termici e serbatoi integrabili e lo fa senza inquinare e senza contributi pubblici. E i profitti sono elevati MAURIZIO PALLANTE L'immagine del secchio bucato come metafora del nostro sistema energetico mi è tornata in mente visitando una fabbrica tedesca che produce pannelli solari termici e serbatoi di accumulo integrabili con caldaie ad alta efficienza. Utilizzando un latino maccheronico, stridente dal punto di vista filologico ma efficace in termini di comunicazione, è stata chiamata Solvis, unendo la parola «sol», che vuol dire sole, con «vis», che vuol dire forza. Si trova vicino ad Hannover, nel nord della Germania, in una zona climatica non favorevole per l'energia solare, non solo in confronto all'Italia, ma anche alla maggior parte dei länder tedeschi. Fondata nel 1988 da cinque persone, nell'arco di 15 anni è arrivata a occupare un centinaio di addetti. Tutti coloro che ci lavorano, dopo tre anni possono, se lo vogliono, acquistare una quota di 6.000 euro del capitale sociale diventando comproprietari dell'azienda. Tutti i soci lavoratori, qualunque sia il loro ruolo, sono pertanto coinvolti in una gestione democratica e partecipativa dell'impresa. Nel corso degli anni la qualità dei prodotti ha raggiunto livelli di assoluta eccellenza (i serbatoi di accumulo dell'acqua scaldata dal sole perdono appena 3 gradi al giorno, meno di un thermos) e la gamma dei prodotti è stata ampliata. Attualmente comprende anche la produzione di pannelli fotovoltaici e di caldaie a pellets di legna. Nel 1994 l'azienda è stata divisa in due parti: produzione e sviluppo sono rimaste ai soci lavoratori, mentre il reparto commerciale è stato venduto a 330 soci finanziatori, che hanno investito 2,5 milioni di euro fornendo all'azienda la liquidità che le banche le avevano negato. In conseguenza della crescita produttiva e commerciale, nel 2001 si è deciso di costruire, su un'area di 8.000 metri quadrati, un nuovo stabilimento con standard ecologici di altissimo livello e zero emissioni di CO2. «Non è mica così difficile» - mi ha detto un amico ambientalista quando gliel'ho raccontato. «Basta utilizzare le fonti alternative e il gioco è fatto». Quando gli ho ricordato che in Germania praticamente non danno contributi di denaro pubblico agli investimenti nelle energie rinnovabili, si è grattato la zucca perplesso domandandosi come mai, nonostante ciò, da loro le fonti rinnovabili siano molto più sviluppate che da noi in Italia. «Perché non agiscono con criteri assistenzialistici, che frenano l'innovazione tecnologica - ho risposto - ma utilizzano incentivi finanziari che la stimolano rendendola conveniente economicamente. Nelle ore in cui la domanda di energia elettrica è maggiore e l'offerta stenta a starle dietro, gli autoproduttori da fonti rinnovabili ricevono per i chilowattora che riversano in rete un prezzo più alto del prezzo dei chilowattora prodotti con fonti fossili, tanto più alto quanto meno inquinante e, allo stato attuale dell'arte, meno redditizia è la fonte rinnovabile che utilizzano. Per il fotovoltaico si arriva a 50,8 centesimi di euro. Se si deve fare l'investimento di tasca propria e il guadagno è proporzionale al numero dei chilowattora prodotti, si è stimolati a far rendere l'impianto al massimo e a progettare impianti sempre più efficienti. Le ragioni dell'ecologia e quelle dell'economia vanno di pari passo». «Vuoi dirmi - mi ha interrotto l'amico ambientalista grattandosi sempre più perplesso la testa - che il fotovoltaico e tutte le fonti rinnovabili si sviluppano di più e più rapidamente senza contributi agli investimenti». «Questa invece è una condizione necessaria, ma non sufficiente. L'esperienza della Solvis dimostra che per riuscire a coprire il fabbisogno energetico con le fonti rinnovabili c'è un altro pre-requisito da rispettare: poiché a parità d'investimento rendono molto meno delle fonti fossili, per avviare processi di sostituzione significativi occorre ridurre il fabbisogno di energia eliminando gli sprechi, gli usi impropri e le inefficienze. Per riuscire a riempire il secchio con meno acqua occorre prima di tutto chiudere bene tutti i buchi. Questa operazione, tra l'altro, si ripaga da sé. Se chiudere i buchi del secchio ha un costo, l'eliminazione delle perdite comporta un risparmio con cui dapprima si copre il costo della chiusura dei buchi, poi, si fa ciò che si vuole. Nella progettazione dello stabilimento a zero emissioni di CO2, i soci della Solvis si sono preoccupati in primo luogo di abbattere i consumi di energia termica del 70% rispetto a un edificio industriale di pari volumetria, mediante una elevata coibentazione e il recupero del calore dell'aria in uscita. Per ottenere un efficace isolamento termico a costi competitivi, le pareti esterne e la costruzione del tetto sono state realizzate con strutture di legno a telaio. I ricambi d'aria vengono effettuati attraverso scambiatori di calore in cui l'aria calda in uscita cede il suo calore all'aria fredda in entrata. Anche il raffrescamento estivo è assicurato in modi passivi, senza bisogno di condizionatori. Per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro, forti contributi alla riduzione dei consumi energetici sono stati dati da un'alta flessibilità di gestione degli spazi e dalla possibilità di modificare i mezzi operativi. Inoltre, il ricevimento e la spedizione dei materiali sono stati organizzati in modo da ridurre al minimo le dispersioni termiche dai portali esterni. I consumi di energia elettrica sono stati abbattuti del 50%, tramite una progettazione architettonica finalizzata al massimo sfruttamento della luce del giorno e l'utilizzazione di apparecchi d'ufficio a risparmio energetico. I consumi di acqua nei servizi sono stati ridotti del 70% con i riduttori di flusso nei rubinetti e gli scarichi a vuoto dei gabinetti. Sebbene la Solvis produca pannelli solari termici e fotovoltaici, la diminuzione dei consumi mediante una maggiore efficienza nell'uso dell'energia, incide molto più delle fonti rinnovabili nel raggiungimento dell'obbiettivo di eliminare le emissioni di CO2. La riduzione della domanda apporta un contributo del 70%, mentre la diversificazione dell'offerta copre il 30%. Una percentuale altissima rispetto agli standard che si raggiungono in Italia, dove l'enfasi è stata posta quasi esclusivamente sulle fonti rinnovabili, ma in ogni caso molto inferiore all'altra. Ne deduco che chi parla in buona fede a ogni piè sospinto di fonti rinnovabili, presentandole come l'alternativa delle fonti fossili, in realtà le scredita suscitando aspettative che non possono essere soddisfatte. L'unica alternativa realistica per ridurre significativamente le emissioni di CO2 è una forte riduzione dei consumi che consenta di dare un ruolo significativo alle fonti rinnovabili. La strategia deve essere articolata in due fasi: fare in modo di aver bisogno di meno energia possibile e produrre quella che serve nei modi più puliti possibili». Il mio amico ambientalista, che sino ad allora era rimasto silenzioso, ritrovò il suo entusiasmo quando il discorso arrivò al mix di energie rinnovabili con cui la Solvis copre il suo fabbisogno energetico residuo. Ma anche qui le sue convinzioni furono messe a dura prova, perché al 70% cento provvede un cogeneratore a olio di colza e al 30% una batteria di collettori solari termici e pannelli fotovoltaici. Anche in questo caso, rispetto agli standard del nostro paese si tratta di una percentuale altissima che apre il cuore alla speranza, ma ciò che lo lasciava perplesso era la micro-cogenerazione diffusa, cioè la generazione contemporanea (co-generazione) di energia termica e di energia elettrica da un solo processo di combustione, una tecnologia di cui aveva sentito parlare solo in abbinamento al teleriscaldamento nelle centrali termoelettriche. «In ogni caso - ha obbiettato - la cogenerazione emette CO2». Come ogni processo di ossidazione, la combustione dell'olio di colza nel motore che alimenta il cogeneratore, emette CO2, ma si tratta semplicemente di una restituzione all'atmosfera della stessa CO2 assorbita dalle piantine di colza nel corso della loro crescita attraverso la fotosintesi clorofilliana, per cui il bilancio è nullo. Il vantaggio è nel recupero e nella riutilizzazione del calore che si spreca nei processi di produzione termoelettrica ed è pari al 65% della fonte energetica utilizzata. Anche in questo caso si chiude un bel buco del secchio mentre si usa una fonte rinnovabile generata dall'energia solare attraverso la vegetazione. Insomma un solare biologico che nel mix della fabbrica a zero emissioni di CO2 si affianca al solare inorganico dei pannelli termici e fotovoltaici. Una batteria molto ben integrata nella progettazione architettonica dell'edificio, di cui ricopre quasi tutto il tetto per fornire il 30% di un fabbisogno energetico ridotto al 30% rispetto a un edificio industriale standard con caratteristiche omologhe.
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