viaggio nella fabbrica che non inquina



il manifesto - 27 Settembre 2003

Viaggio nella fabbrica che non inquina
MAURIZIO PALLANTE

Viaggio nella fabbrica che non inquina
CO2 addio Si chiama «Solvis»: lo stabilimento è vicino Hannover. E' una
fabbrica modello che produce pannelli solari termici e serbatoi integrabili
e lo fa senza inquinare e senza contributi pubblici. E i profitti sono
elevati

MAURIZIO PALLANTE

L'immagine del secchio bucato come metafora del nostro sistema energetico mi
è tornata in mente visitando una fabbrica tedesca che produce pannelli
solari termici e serbatoi di accumulo integrabili con caldaie ad alta
efficienza. Utilizzando un latino maccheronico, stridente dal punto di vista
filologico ma efficace in termini di comunicazione, è stata chiamata Solvis,
unendo la parola «sol», che vuol dire sole, con «vis», che vuol dire forza.
Si trova vicino ad Hannover, nel nord della Germania, in una zona climatica
non favorevole per l'energia solare, non solo in confronto all'Italia, ma
anche alla maggior parte dei länder tedeschi. Fondata nel 1988 da cinque
persone, nell'arco di 15 anni è arrivata a occupare un centinaio di addetti.
Tutti coloro che ci lavorano, dopo tre anni possono, se lo vogliono,
acquistare una quota di 6.000 euro del capitale sociale diventando
comproprietari dell'azienda. Tutti i soci lavoratori, qualunque sia il loro
ruolo, sono pertanto coinvolti in una gestione democratica e partecipativa
dell'impresa. Nel corso degli anni la qualità dei prodotti ha raggiunto
livelli di assoluta eccellenza (i serbatoi di accumulo dell'acqua scaldata
dal sole perdono appena 3 gradi al giorno, meno di un thermos) e la gamma
dei prodotti è stata ampliata. Attualmente comprende anche la produzione di
pannelli fotovoltaici e di caldaie a pellets di legna. Nel 1994 l'azienda è
stata divisa in due parti: produzione e sviluppo sono rimaste ai soci
lavoratori, mentre il reparto commerciale è stato venduto a 330 soci
finanziatori, che hanno investito 2,5 milioni di euro fornendo all'azienda
la liquidità che le banche le avevano negato. In conseguenza della crescita
produttiva e commerciale, nel 2001 si è deciso di costruire, su un'area di
8.000 metri quadrati, un nuovo stabilimento con standard ecologici di
altissimo livello e zero emissioni di CO2.

«Non è mica così difficile» - mi ha detto un amico ambientalista quando
gliel'ho raccontato. «Basta utilizzare le fonti alternative e il gioco è
fatto». Quando gli ho ricordato che in Germania praticamente non danno
contributi di denaro pubblico agli investimenti nelle energie rinnovabili,
si è grattato la zucca perplesso domandandosi come mai, nonostante ciò, da
loro le fonti rinnovabili siano molto più sviluppate che da noi in Italia.
«Perché non agiscono con criteri assistenzialistici, che frenano
l'innovazione tecnologica - ho risposto - ma utilizzano incentivi finanziari
che la stimolano rendendola conveniente economicamente. Nelle ore in cui la
domanda di energia elettrica è maggiore e l'offerta stenta a starle dietro,
gli autoproduttori da fonti rinnovabili ricevono per i chilowattora che
riversano in rete un prezzo più alto del prezzo dei chilowattora prodotti
con fonti fossili, tanto più alto quanto meno inquinante e, allo stato
attuale dell'arte, meno redditizia è la fonte rinnovabile che utilizzano.
Per il fotovoltaico si arriva a 50,8 centesimi di euro. Se si deve fare
l'investimento di tasca propria e il guadagno è proporzionale al numero dei
chilowattora prodotti, si è stimolati a far rendere l'impianto al massimo e
a progettare impianti sempre più efficienti. Le ragioni dell'ecologia e
quelle dell'economia vanno di pari passo».

«Vuoi dirmi - mi ha interrotto l'amico ambientalista grattandosi sempre più
perplesso la testa - che il fotovoltaico e tutte le fonti rinnovabili si
sviluppano di più e più rapidamente senza contributi agli investimenti».
«Questa invece è una condizione necessaria, ma non sufficiente. L'esperienza
della Solvis dimostra che per riuscire a coprire il fabbisogno energetico
con le fonti rinnovabili c'è un altro pre-requisito da rispettare: poiché a
parità d'investimento rendono molto meno delle fonti fossili, per avviare
processi di sostituzione significativi occorre ridurre il fabbisogno di
energia eliminando gli sprechi, gli usi impropri e le inefficienze. Per
riuscire a riempire il secchio con meno acqua occorre prima di tutto
chiudere bene tutti i buchi. Questa operazione, tra l'altro, si ripaga da
sé. Se chiudere i buchi del secchio ha un costo, l'eliminazione delle
perdite comporta un risparmio con cui dapprima si copre il costo della
chiusura dei buchi, poi, si fa ciò che si vuole.

Nella progettazione dello stabilimento a zero emissioni di CO2, i soci della
Solvis si sono preoccupati in primo luogo di abbattere i consumi di energia
termica del 70% rispetto a un edificio industriale di pari volumetria,
mediante una elevata coibentazione e il recupero del calore dell'aria in
uscita. Per ottenere un efficace isolamento termico a costi competitivi, le
pareti esterne e la costruzione del tetto sono state realizzate con
strutture di legno a telaio. I ricambi d'aria vengono effettuati attraverso
scambiatori di calore in cui l'aria calda in uscita cede il suo calore
all'aria fredda in entrata. Anche il raffrescamento estivo è assicurato in
modi passivi, senza bisogno di condizionatori. Per quanto riguarda
l'organizzazione del lavoro, forti contributi alla riduzione dei consumi
energetici sono stati dati da un'alta flessibilità di gestione degli spazi e
dalla possibilità di modificare i mezzi operativi. Inoltre, il ricevimento e
la spedizione dei materiali sono stati organizzati in modo da ridurre al
minimo le dispersioni termiche dai portali esterni.

I consumi di energia elettrica sono stati abbattuti del 50%, tramite una
progettazione architettonica finalizzata al massimo sfruttamento della luce
del giorno e l'utilizzazione di apparecchi d'ufficio a risparmio energetico.
I consumi di acqua nei servizi sono stati ridotti del 70% con i riduttori di
flusso nei rubinetti e gli scarichi a vuoto dei gabinetti. Sebbene la Solvis
produca pannelli solari termici e fotovoltaici, la diminuzione dei consumi
mediante una maggiore efficienza nell'uso dell'energia, incide molto più
delle fonti rinnovabili nel raggiungimento dell'obbiettivo di eliminare le
emissioni di CO2. La riduzione della domanda apporta un contributo del 70%,
mentre la diversificazione dell'offerta copre il 30%. Una percentuale
altissima rispetto agli standard che si raggiungono in Italia, dove l'enfasi
è stata posta quasi esclusivamente sulle fonti rinnovabili, ma in ogni caso
molto inferiore all'altra. Ne deduco che chi parla in buona fede a ogni piè
sospinto di fonti rinnovabili, presentandole come l'alternativa delle fonti
fossili, in realtà le scredita suscitando aspettative che non possono essere
soddisfatte. L'unica alternativa realistica per ridurre significativamente
le emissioni di CO2 è una forte riduzione dei consumi che consenta di dare
un ruolo significativo alle fonti rinnovabili.

La strategia deve essere articolata in due fasi: fare in modo di aver
bisogno di meno energia possibile e produrre quella che serve nei modi più
puliti possibili». Il mio amico ambientalista, che sino ad allora era
rimasto silenzioso, ritrovò il suo entusiasmo quando il discorso arrivò al
mix di energie rinnovabili con cui la Solvis copre il suo fabbisogno
energetico residuo. Ma anche qui le sue convinzioni furono messe a dura
prova, perché al 70% cento provvede un cogeneratore a olio di colza e al 30%
una batteria di collettori solari termici e pannelli fotovoltaici.

Anche in questo caso, rispetto agli standard del nostro paese si tratta di
una percentuale altissima che apre il cuore alla speranza, ma ciò che lo
lasciava perplesso era la micro-cogenerazione diffusa, cioè la generazione
contemporanea (co-generazione) di energia termica e di energia elettrica da
un solo processo di combustione, una tecnologia di cui aveva sentito parlare
solo in abbinamento al teleriscaldamento nelle centrali termoelettriche. «In
ogni caso - ha obbiettato - la cogenerazione emette CO2». Come ogni processo
di ossidazione, la combustione dell'olio di colza nel motore che alimenta il
cogeneratore, emette CO2, ma si tratta semplicemente di una restituzione
all'atmosfera della stessa CO2 assorbita dalle piantine di colza nel corso
della loro crescita attraverso la fotosintesi clorofilliana, per cui il
bilancio è nullo. Il vantaggio è nel recupero e nella riutilizzazione del
calore che si spreca nei processi di produzione termoelettrica ed è pari al
65% della fonte energetica utilizzata. Anche in questo caso si chiude un bel
buco del secchio mentre si usa una fonte rinnovabile generata dall'energia
solare attraverso la vegetazione. Insomma un solare biologico che nel mix
della fabbrica a zero emissioni di CO2 si affianca al solare inorganico dei
pannelli termici e fotovoltaici. Una batteria molto ben integrata nella
progettazione architettonica dell'edificio, di cui ricopre quasi tutto il
tetto per fornire il 30% di un fabbisogno energetico ridotto al 30% rispetto
a un edificio industriale standard con caratteristiche omologhe.