lettera alla rete GLAM 15 settembre 2003: CANCUN



Care e cari amici,
a ridosso della conclusione della Conferenza del WTO di Cancun ho
scritto un articolo cercando di dare l'informazione essenziale e un
minimo di valutazione a caldo. Poiché non tutti voi certo ricevete e
leggere "Riforma", vi allego l'articolo (nella forma integrale, che
apparirà sul prossimo numero di Riforma con qualche taglio per esigenze
di spazio) sperando di farvi cosa gradita. Per oggi mi limito a questo e
vi invio un fraterno saluto,

Franco Giampiccoli
coordinatore della Commissione "Globalizzazione e ambiente" (GL.AM.)
della
Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI)



CANCUN

Con le organizzazioni internazionali che domina, finora, in modo
incontrastato - Organizzazione mondiale del commercio (WTO), Fondo
monetario internazionale, Banca mondiale - il mondo sviluppato predica
da anni il dogma della liberalizzazione, subordinando prestiti e aiuti
al Terzo mondo all'apertura dei loro mercati senza ostacoli tariffari.
Ma ha continuato a contraddire questa dottrina mantenendo il
protezionismo dei propri mercati agricoli con dazi che bloccano le
esportazioni dei paesi del Sud e rovesciando sulla propria agricoltura
una valanga di sussidi interni (alla produzione) ed esterni (all'
esportazione). Con questo sistema il mondo sviluppato ha riversato nel
Terzo mondo le proprie eccedenze alimentari a prezzi sottocosto
(dumping) rovinando la produzione locale. Questa colossale menzogna, più
o meno mascherata o nascosta, è stata denunciata in faccia al mondo alla
V Conferenza ministeriale del WTO a Cancun, Messico, dai paesi del Sud e
dell'Est che si sono rifiutati di sottoscrivere un accordo che non
prevedesse un avvio dello smantellamento di questo protezionismo in
tempi rapidi e certi.
E' questa dunque la grande novità che emerge sull'orizzonte economico
mondiale: una variegata coalizione di paesi del Sud e dell'Est del mondo
per la prima volta hanno tenuto duro e non si sono piegati a raccogliere
qualche briciola sottoscrivendo qualche compromesso dell'ultima ora. In
testa il G21 (con numeri varianti che sono arrivati a 28), guidato dal
Brasile di Lula - invano pressato e ricattato dagli USA anche con
insistenti telefonate di Bush - dall'India, la Cina e il Sud Africa. Ma
accanto a questa colossale alleanza, che rappresenta più della metà
della popolazione mondiale (USA e UE ne costituiscono il 10%), altre
coalizioni, come quella del gruppo Africa-Caraibi-Pacifico (ACP), o
quella che si è presentata come un G90 unendo le rivendicazioni dell'
Unione Africana (UE), del gruppo ACP e dei Paesi meno sviluppati (LDC).
E' questa varietà di alleanze e connessioni che ha permesso di sopperire
al cedimento di alcuni e di mantenere un fronte sostanzialmente compatto
di fronte allo strapotere di USA e UE che non immaginavano di trovare
una resistenza così agguerrita.

Il fallimento di Cancun

In un intreccio complicatissimo di negoziati, basati sul deleterio
principio del "trade off" - per cui ogni accordo raggiunto può essere
ceduto come compensazione di un altro in un gigantesco "mercato delle
vacche" - sono emersi i due scontri fondamentali.
Il primo è quello sui sussidi e dazi agricoli a cui si è accennato, che
ha avuto il suo caso emblematico nel cotone. I 25.000 agricoltori degli
stati del sud degli USA ricevono dal loro governo sussidi che sono il
triplo degli aiuti che gli USA destinano a 500 milioni di africani. E 4
stati africani - Benin, Burkina Faso, Mali e Ciad - a causa di questa
concorrenza sleale perdono ogni anno più di 250 milioni di dollari di
reddito da esportazione. La richiesta di questi paesi di eliminare
progressivamente e rapidamente le sovvenzioni è stata seccamente
respinta dagli USA. L'Europa, che inizialmente sembrava orientata a non
opporsi alle rivendicazioni africane (la sua produzione di cotone non
arriva al 3% del totale mondiale) si è presto ricreduta per tema che un
cedimento su questo fronte si ripercuota sui propri prodotti sussidiati.
In generale, sia USA che UE - che prima di Cancan si erano accordati per
un generico impegno a rivedere le sovvenzioni, senza precisazioni né
scadenze, illudendosi che questo bastasse - di fronte alla decisa
offensiva da parte del Terzo mondo hanno puntato i piedi chiudendosi in
difesa. La loro arrogante intransigenza era arrivata al punto di
pretendere che diventasse permanente il provvisorio "patto di pace" che
impediva ai paesi membro di fare ricorso al tribunale del WTO in materia
agricola.
Il secondo nodo era costituito dai 4 "nuovi temi", detti di Singapore:
facilitazioni per il commercio, trasparenza degli appalti, investimenti,
regole per la concorrenza. Di questi, il più pericoloso è quello sugli
investimenti, che consentirebbe alle multinazionali di invadere
definitivamente i mercati del Sud e dell'Est comprando enti pubblici
privatizzati o ditte fallite a causa della spietata concorrenza,
integrando così i concorrenti locali nel proprio sistema o riducendoli
al ruolo di fornitori subordinati o eliminandoli. Un Accordo
multilaterale sugli investimenti (MAI) era già fallito nell'ambito OCSE
nel 1998 (anche grazie ad una decisa azione di denuncia del Consiglio
ecumenico delle chiese), era fallito anche a Seattle nel 1999, e
fallisce ora anche a Cancun. Sui 4 nuovi temi molti paesi del Terzo
mondo, in particolare India, Cina e Malesia, sono stati molto attenti.
Hanno contestato la legittimità della proposta di negoziato dei 4 temi
in blocco, prevista a Doha (2001) solo in presenza di un accordo
generale che evidentemente a Cancun non c'era. Hanno resistito anche di
fronte alla proposta di negoziare su due dei temi, appalti e
facilitazioni per il commercio, che stavano particolarmente a cuore agli
USA (che per gli investimenti ormai puntano alla trattativa bilaterale
in cui hanno maggiori possibilità di pressione e ricatto). Neppure la
proposta di trattare un solo tema, le facilitazioni per il commercio
(migliore accesso ai mercati per i prodotti industriali) è stata
accettata.
Il doppio scontro irrisolto, sull'agricoltura e sui nuovi temi, ha
quindi determinato il fallimento di Cancun. Su ambedue i tavoli il Terzo
mondo ha trovato il coraggio di difendere il suo diritto alla vita e ad
uno sviluppo controllato. Lo ha fatto in modo pacato e fermo, come
risulta dalle dichiarazioni del ministro delle Mauritius che alla
conferenza stampa seguita alla chiusura della Conferenza ha detto a nome
dei paesi ACP, LDC e Unione africana: "Noi paesi in via di sviluppo
siamo sempre impegnati per un'agenda commerciale multilaterale, ma
dobbiamo difendere gli interessi dei paesi in via di sviluppo. A Doha
abbiamo lanciato un'agenda di sviluppo. Lo sviluppo deve essere al
centro di questa agenda. Siamo stati molto propositivi e costruttivi,
qui a Cancan. Abbiamo presentato le nostre posizioni in tutti e cinque i
gruppi di lavoro. Quando è uscito il testo Derbez [la proposta di
dichiarazione finale] molti di noi hanno realizzato che non avevano
ascoltato per niente le nostre richieste.Noi abbiamo bisogno dei paesi
ricchi e vogliamo lavorare con e non contro di loro. Ma se ci sono
differenze noi vogliamo sederci, parlare con loro e dire la nostra".
Un terzo nodo stava venendo al pettine, quello dell'Accordo generale sul
commercio dei servizi (GATS). Con la conclusione di questo accordo, già
da tempo avviato, si sarebbe avuta la concorrenza privata nell'ambito di
servizi fin qui pubblici come la sanità, l'istruzione, i trasporti, le
comunicazioni, la distribuzione dell'acqua, ecc. Erano saltate le
scadenze entro cui i paesi membro dovevano dichiarare quali servizi si
offrivano di liberalizzare (avevano risposto una trentina di paesi su
148). Ma la bozza di risoluzione finale prevedeva già una pezza sullo
strappo, l'invito ai paesi che non avevano risposto a farlo "appena
possibile"; aveva smentito la flessibilità stabilita originariamente
(possibilità per i paesi membro di non fare alcuna offerta di
liberalizzazione); aveva ignorato i testi presentati dai paesi del Terzo
mondo e la vastissima richiesta della società civile di escludere l'
acqua dalla trattativa negoziale; e aveva ribadito la finalità di
"raggiungere progressivamente il più alto livello di liberalizzazione
senza nessuna esclusione". Tutto questo pericoloso complesso di accordi
è naufragato a Cancun insieme ai mancati accordi su agricoltura e nuovi
temi.

Quali prospettive?

A poche ore dalla conclusione di Cancun è difficile dare una valutazione
complessiva. Come hanno fortemente auspicato le organizzazioni della
società civile, a Cancun il WTO è stato fermato. L'estensione della sua
già gigantesca agenda è stata rifiutata; la sua impostazione di regole e
procedure poco democratiche (per es. le "green room", incontri
decisionali ristretti su invito) è stata contestata; la sua incapacità
di costruire una governance economica accettabile è stata messa in
evidenza. D'altra parte c'è il rischio che l'indebolimento della
prospettiva multilaterale in economia, come già in politica (vedi ONU),
favorisca la spinta verso la prospettiva bilaterale dominata dagli Stati
Uniti e condotta con la nota arroganza. Il negoziatore statunitense
Zoellick ha già detto di aver "preso nota dei paesi che hanno giocato un
ruolo costruttivo a Cancun e delle nazioni che non lo hanno giocato".
Tutto si sposta ora a Ginevra, alla sede del WTO, dove a metà dicembre
la discussione sarà ripresa a livello di ambasciatori. Sembra
impensabile che si arrivi con qualche risultato alla data del 1° gennaio
2005 fissato da Doha per la conclusione dell'agenda proposta, ma senza
dubbio le trattative andranno avanti. Molto dipenderà dalla capacità dei
paesi che si sono coalizzati a Cancun, in primis il G21, di mantenere
una posizione comune senza lasciarsi sgretolare dai ricatti e dalle
offerte di soluzioni bilaterali. Certo i paesi del Terzo mondo potranno
contare sull'alleanza stabile di un'imponente numero di organizzazioni
della società civile che a Cancun non si sono limitate a manifestare e a
seguire i lavori, ma hanno fornito ai paesi del Sud e dell'Est del mondo
un importantissimo supporto di conoscenza e di esperienza nella
trattativa economica e diplomatica. La campagna Our world is not for
sale, in Italia "Questo mondo non è in vendita", ha concluso la sua
partecipazione a Cancun con una forte dichiarazione: "A Seattle abbiamo
vinto e il movimento era in strada. Oggi questa vittoria conta ancor più
perché il movimento era dentro e ha sostenuto i più poveri nella
rivolta. Oggi è finita la democarazia del terrore del WTO in cui il
consenso era estorto con ricatti".
Una pagina importante è stata girata nella storia dell'economia
mondiale. Speriamo che su una nuova pagina si possa scrivere con meno
arroganza e con più giustizia.

Franco Giampiccoli
coordinatore della Commissione "Globalizzazione e ambiente" (GL.AM.)
della
Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI)




La Commissione "Globalizzazione e ambiente" (Glam) della Federazione
delle Chiese Evangeliche in Italia aderisce e sostiene la campagna
"Questo mondo non è in vendita"
http://www.campagnawto.org/