spazi di interconnessione umana



da boiler.it
martedi 5 settembre 2003

giornale di scienza, innovazione e ambiente
                 02.09.2003


SPECIALE.Futuro
Sei livelli di interconnessione

di DUNCAN WATTS

 Duncan Watts, autore di Six Degrees: The Science of a Connected Age, è
professore associato di sociologia alla Columbia University e consulente del
Santa Fe Institute.

QUANDO PARLIAMO di distanze, quasi sempre ci riferiamo allo spazio tra
oggetti e luoghi diversi nel mondo fisico. E lo facciamo per una ragione
precisa: il più delle volte è proprio questo genere di distanza a fare la
differenza. Oggi però, dopo un secolo di rivoluzioni nelle comunicazioni e
nei trasporti, lo spazio fisico può essere limitante se non addirittura
fuorviante. Da tempo i sociologi parlano di spazio sociale, di divario tra
le persone in termini di ricchezza, di istruzione, di religione o di etnia.
E negli ultimi tempi scienziati e matematici hanno iniziato a studiare un
nuovo tipo di spazio, sempre più importante nella nostra comprensione della
realtà: lo spazio dei network.

Un esempio interessante (e concettualmente semplice) di spazio dei network è
la teoria del "mondo piccolo", ovvero l'idea che chiunque, sul pianeta, sia
connesso a chiunque altro attraverso soli sei gradi di separazione. Un
concetto presente nella cultura popolare già all'inizio del Ventesimo
secolo, ma direttamente testato in un esperimento dallo psicologo sociale
Stanley Milgram solo alla fine degli anni Sessanta. In quell'occasione,
Milgram distribuì a circa trecento persone di Boston e Omaha delle lettere
contenenti l'indicazione di farle pervenire tutte allo stesso "target", un
agente di borsa di Boston. Ogni missiva poteva essere inviata solo ad amici
intimi della persona che ne era di volta in volta in possesso. Ebbene, più
di sessanta lettere arrivarono effettivamente a destinazione, passando di
mano in mano, in media, non più di sei volte. La conclusione di Milgram fu
che anche gente apparentemente molto lontana in termini di spazio fisico e
sociale può essere in realtà molto più vicina di quanto immaginiamo.

In breve, dovremmo incominciare a pensare all'individuo come nodo integrato
di una complessa ragnatela di legami sociali, economici e istituzionali.
Nello spazio dei network, due nodi possono essere intimamente connessi tra
loro a prescindere dalla loro vicinanza fisica o sociale. Ovviamente, le
interferenze sociali e fisiche non perdono la loro importanza - spesso
conosciamo delle persone perché ci abitano vicino o perché sono simili a noi
per certi versi, come il grado di istruzione o la professione che svolgono -
ma adesso sappiamo che esiste una relazione tra tali fattori e lo spazio dei
network, una relazione che per anni è rimasta un mistero. Lo stesso Milgram,
per esempio, non è mai riuscito a spiegare perché il suo esperimento avesse
funzionato. I dati relativi ai network sono difficili da ottenere, e l'
analisi approfondita di realtà così complesse è praticamente impossibile
senza l'ausilio di computer molto potenti.

Il prossimo sei tu

Negli ultimi cinque anni, però, abbiamo iniziato a comprendere meglio il
funzionamento dello spazio dei network, in rapporto e a prescindere dalla
realtà sociale. La teoria del "mondo piccolo" si è dimostrata applicabile
anche ai campi elettrici, ai circuiti neuronali, alle reazioni chimiche.
Questo modello di relazione può collegare fra loro comitati di direzione,
team di scienziati, star di Hollywood. Ecco perché Kevin Bacon sembra oggi
il centro dell'universo cinematografico (in realtà è solo una coincidenza:
qualsiasi altro attore potrebbe essere al suo posto). In termini di
percezione del mondo, però, sei gradi di separazione restano molti. Ci
interessiamo molto ai nostri amici (un grado solo), un po' anche agli amici
di amici che non abbiamo mai incontrato (due gradi). Ma agli amici di amici
di amici? Una persona a tre gradi di separazione da noi è, in pratica, uno
sconosciuto, alla stessa stregua di chi ci passa casualmente accanto per
strada. Non ce ne importa nulla.

Questo in teoria. Perché ciò che accade a questi estranei può contare molto,
a volte. La diffusione dell'epidemia globale di Hiv, per esempio, è stata
agevolata dalla convinzione diffusa che il contagio riguardasse solo
omosessuali e tossicodipendenti. Non conoscere nessun esponente di
"categorie del genere" diventava automaticamente fattore di tranquillità.
Invece poi si scopre che anche quello che accade oltre il nostro orizzonte
limitato può danneggiarci. O giovarci, anche: non possiamo certo chiamare un
amico di un amico di un amico e chiedergli un lavoro, ma possiamo farci
aiutare cercando, per suo tramite, gli agganci giusti. Lo facciamo
continuamente, senza rendercene conto. Ogni persona con cui entriamo in
contatto via mail, per telefono, o a un rinfresco, è un'acquisizione del
network. Ora che iniziamo a capire, le implicazioni di questo fenomeno ci
appaiono in tutta la loro rilevanza. Dobbiamo abituarci a pensare in termini
di network: per quanto riguarda le epidemie, le mode, gli andamenti dei
mercati azionari, tutto. A volte il network ci aiuta, a volte ci danneggia.
Farne parte può essere sia un bene che un male. Ma il nuovo paradigma
spaziale resta. Quando chiunque può essere connesso a chiunque altro in soli
sei passaggi, tutto ciò che c'è in giro può arrivare a contatto con noi, più
velocemente di quanto pensiamo.

SPECIALE.Futuro
Condivisioni mentali

di STEVEN JOHNSON


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 Steven Johnson (www.stevenberlinjohnson.com) ha scritto Emergence: The
Connected Lives of Ants, Brains, Cities, and Software.

ORMAI SIAMO talmente abituati all'idea del Web come sistema di documenti
interconnessi, che ci sembra praticamente inconcepibile pensarlo organizzato
in un altro modo. Eppure, la Rete può strutturarsi benissimo in maniera
diversa: non più intorno a delle pagine, bensì intorno a delle menti. La
diffusione esplosiva dei blog sta creando opportunità irripetibile per
realizzare questo salto di qualità. Centinaia di migliaia di individui,
oggi, hanno un proprio weblog, che aggiornano regolarmente con link,
commenti, aneddoti personali. Ovviamente esistono anche dei fantastici
esperimenti di gruppo, ma il principio generale del blog è di carattere
prettamente individuale. A parte la convivenza, seguire un blog aggiornato e
ben tenuto è il metodo migliore per sapere tutto ciò che passa per la mente
di un'altra persona: a che cosa sta lavorando, cosa le interessa, le sue
ossessioni, le sue aspettative, le sue letture. Giorno per giorno, sono in
contatto più profondo con l'intimità dei miei dieci blogger preferiti di
quanto non lo sia con l'esistenza dei miei più cari amici. E pensare che ho
incontrato di persona solo tre di queste mie dieci amicizie Web. Uno di
loro, Rael Dornfest, mi ha detto: «Seguire il blog di qualcuno è come
guardare una telenovela».

Ovviamente, modificare l'organizzazione del Web rende possibile - anzi
necessaria - l'elaborazione di nuove architetture nello spazio della Rete.
Gli stessi blog sono una specie di effetto collaterale dell'originario
concetto di ipertesto. Costruire un sistema di documenti collegati rende
spiana la strada all'affermazione di una nuova tipologia di documento, fatto
solo ed esclusivamente di collegamenti. Che succede quando si inizia a
concepire il Web come una struttura di menti e non di file? La fiducia
diventa una componente irrinunciabile. L'importanza dei dati comincia a
essere valutata non più sulla base delle gerarchie stabilite dai motori di
ricerca, ma a partire da testimonianze personali (per la serie «Questa
pagina è utile perché sei persone che stimo la ritengono tale»). Idee e
notizie vengono scovate con l'aiuto delle dieci persone la cui opinione in
merito viene considerata più significativa: è quella che Cory Doctorow
chiama "intelligenza esterna". Recentemente Dave Sifry, responsabile del
sito di analisi dei blog Technorati, ha progettato un'applicazione
attraverso la quale, digitando un indirizzo Url, si ha automaticamente
accesso a un elenco di blogger che lo hanno commentato. Qualsiasi cosa ci si
imbatta in Rete può essere filtrata attraverso il punto di vista di altri
blogger.

La mente diventa un elemento spaziale. Il sito personale diventa un'
estensione della memoria, come nel Memex di Vannevar Bush, e i vostri
ricordi entrano a far parte dell'intelligenza collettiva del Web. Un
esempio? Il fantastico sito Random Access Memory, un mosaico di migliaia di
contributi spontanei di individui di tutto il mondo. Senza contare che una
Rete orientata al collegamento tra menti diverse facilita gli incontri anche
nel mondo reale: prova ne è il recente successo di Meetup.com. Da quando
Internet ha fatto il suo ingresso nella coscienza popolare, molti critici
hanno sottolineato come attraverso questo mezzo le informazioni siano a
portata di mano, ma il sapere più profonda quasi irraggiungibile. In uno
spazio di condivisioni mentali, però, il traguardo comincia a sembrare più
vicino. Il Web resta un sistema funzionalmente illimitato di dati, ma sempre
più regolato dalle sensibilità umane, collegate tra loro in maniere oggi
ancora pressoché inimmaginabili. Se è la vera conoscenza ciò che state
cercando, non potevate trovare una guida migliore.

SPECIALE.Futuro
Vagando liberi

di LUC STEELS

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 Luc Steels è docente di informatica alla Libera Università di Bruxelles e
direttore del Sony Computer Science Laboratory di Parigi.

UN ROBOT appena nato deve provare un profondo senso di confusione. Cos'è il
"sopra"? E il "sotto"? Per un androide, gli input sensoriali sono un magma
indecifrabile. Le masse percepite dagli occhi sembrano fluttuare, i suoni
colpiscono disordinatamente il suo udito, e lo spazio tridimensionale è un
ammasso di coordinate indistinte. Il problema non è l'hardware. Automi come
l'Asimo dell'Honda e l'Sdr-4X della Sony sono dotati di dispositivi per la
percezione della profondità e di microfoni per individuare le sorgenti di
rumore. E le ricerche di laboratorio sull'intelligenza artificiale hanno
fatto passi da gigante nel settore del ragionamento simbolico, tanto che
oggi le macchine possono compiere deduzioni sulla base delle definizioni dei
concetti spaziali.

Ma l'effettiva sintesi di percezione sensoriale e decodifica razionale resta
problematica. Ai robot manca il senso della dimensione spaziale. Non sanno
come muoversi in un edificio, come interagire con gli oggetti o come
spostarsi da una stanza all'altra. Il problema è che nessuno sa come davvero
funzioni la cognizione dello spazio. Sappiamo solo che è un processo
estremamente complesso e difficile da realizzare pienamente. Un meccanismo
talmente complicato che è impossibile programmarlo: deve svilupparsi da
solo. Le differenze culturali e linguistiche pongono ulteriori difficoltà.
In inglese, per esempio, è naturale concepire il "davanti" di un albero come
orientato verso chi parla. Quindi diciamo «La macchina è davanti all'
albero», intendendo che la vettura si trova tra noi e la pianta. Ma in molti
idiomi africani, il davanti dell'albero è posto nella stessa direzione dello
sguardo di chi lo sta osservando. Dunque, per indicare l'esatta posizione
della macchina bisognerebbe dire che «è dietro la pianta». E questo rende la
comunicazione quantomeno ingannevole.

Trovare un modo efficace di insegnare la cognizione dello spazio è l'
obiettivo cruciale della robotica più recente. Anche il mio laboratorio si
sta occupando di questo problema. Stiamo cercando di progettare robot in
grado di sviluppare nel corso del tempo un loro personale approccio allo
spazio, al tempo e al movimento. Per riuscirci, le macchine devono
accumulare una vasta quantità di esperienze sensoriali per poi provare a
processarle e riconoscerle a partire dai vari frammenti. A lungo termine,
ciò consentirà loro di dare una struttura al mondo che le circonda,
imparando a capire le conseguenze delle proprie azioni. Inoltre,
programmiamo questi automi a creare dei giochi di parole attraverso i quali
possono inventare e apprendere nuovi termini e costrutti grammaticali,
nonché stabilire da soli il significato delle espressioni utilizzate. In uno
degli ultimi esperimenti, migliaia di androidi hanno elaborato circa mezzo
milioni di giochi linguistici, comunicando fra loro a proposito di alcuni
oggetti presenti in laboratorio e della loro collocazione, sviluppando un
vocabolario condiviso e dei concetti comuni. Test del genere ci mostrano un
futuro in cui i robot potranno coltivare un loro proprio linguaggio e una
loro specifica nozione dello spazio, adattabili al contesto in cui verranno
inseriti. Senza questa capacità rimarranno freddi strumenti di calcolo e non
riusciranno mai a interagire pienamente con un mondo aperto e in continua
evoluzione.