[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
spazi di interconnessione umana
- Subject: spazi di interconnessione umana
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 9 Sep 2003 06:50:24 +0200
da boiler.it martedi 5 settembre 2003 giornale di scienza, innovazione e ambiente 02.09.2003 SPECIALE.Futuro Sei livelli di interconnessione di DUNCAN WATTS Duncan Watts, autore di Six Degrees: The Science of a Connected Age, è professore associato di sociologia alla Columbia University e consulente del Santa Fe Institute. QUANDO PARLIAMO di distanze, quasi sempre ci riferiamo allo spazio tra oggetti e luoghi diversi nel mondo fisico. E lo facciamo per una ragione precisa: il più delle volte è proprio questo genere di distanza a fare la differenza. Oggi però, dopo un secolo di rivoluzioni nelle comunicazioni e nei trasporti, lo spazio fisico può essere limitante se non addirittura fuorviante. Da tempo i sociologi parlano di spazio sociale, di divario tra le persone in termini di ricchezza, di istruzione, di religione o di etnia. E negli ultimi tempi scienziati e matematici hanno iniziato a studiare un nuovo tipo di spazio, sempre più importante nella nostra comprensione della realtà: lo spazio dei network. Un esempio interessante (e concettualmente semplice) di spazio dei network è la teoria del "mondo piccolo", ovvero l'idea che chiunque, sul pianeta, sia connesso a chiunque altro attraverso soli sei gradi di separazione. Un concetto presente nella cultura popolare già all'inizio del Ventesimo secolo, ma direttamente testato in un esperimento dallo psicologo sociale Stanley Milgram solo alla fine degli anni Sessanta. In quell'occasione, Milgram distribuì a circa trecento persone di Boston e Omaha delle lettere contenenti l'indicazione di farle pervenire tutte allo stesso "target", un agente di borsa di Boston. Ogni missiva poteva essere inviata solo ad amici intimi della persona che ne era di volta in volta in possesso. Ebbene, più di sessanta lettere arrivarono effettivamente a destinazione, passando di mano in mano, in media, non più di sei volte. La conclusione di Milgram fu che anche gente apparentemente molto lontana in termini di spazio fisico e sociale può essere in realtà molto più vicina di quanto immaginiamo. In breve, dovremmo incominciare a pensare all'individuo come nodo integrato di una complessa ragnatela di legami sociali, economici e istituzionali. Nello spazio dei network, due nodi possono essere intimamente connessi tra loro a prescindere dalla loro vicinanza fisica o sociale. Ovviamente, le interferenze sociali e fisiche non perdono la loro importanza - spesso conosciamo delle persone perché ci abitano vicino o perché sono simili a noi per certi versi, come il grado di istruzione o la professione che svolgono - ma adesso sappiamo che esiste una relazione tra tali fattori e lo spazio dei network, una relazione che per anni è rimasta un mistero. Lo stesso Milgram, per esempio, non è mai riuscito a spiegare perché il suo esperimento avesse funzionato. I dati relativi ai network sono difficili da ottenere, e l' analisi approfondita di realtà così complesse è praticamente impossibile senza l'ausilio di computer molto potenti. Il prossimo sei tu Negli ultimi cinque anni, però, abbiamo iniziato a comprendere meglio il funzionamento dello spazio dei network, in rapporto e a prescindere dalla realtà sociale. La teoria del "mondo piccolo" si è dimostrata applicabile anche ai campi elettrici, ai circuiti neuronali, alle reazioni chimiche. Questo modello di relazione può collegare fra loro comitati di direzione, team di scienziati, star di Hollywood. Ecco perché Kevin Bacon sembra oggi il centro dell'universo cinematografico (in realtà è solo una coincidenza: qualsiasi altro attore potrebbe essere al suo posto). In termini di percezione del mondo, però, sei gradi di separazione restano molti. Ci interessiamo molto ai nostri amici (un grado solo), un po' anche agli amici di amici che non abbiamo mai incontrato (due gradi). Ma agli amici di amici di amici? Una persona a tre gradi di separazione da noi è, in pratica, uno sconosciuto, alla stessa stregua di chi ci passa casualmente accanto per strada. Non ce ne importa nulla. Questo in teoria. Perché ciò che accade a questi estranei può contare molto, a volte. La diffusione dell'epidemia globale di Hiv, per esempio, è stata agevolata dalla convinzione diffusa che il contagio riguardasse solo omosessuali e tossicodipendenti. Non conoscere nessun esponente di "categorie del genere" diventava automaticamente fattore di tranquillità. Invece poi si scopre che anche quello che accade oltre il nostro orizzonte limitato può danneggiarci. O giovarci, anche: non possiamo certo chiamare un amico di un amico di un amico e chiedergli un lavoro, ma possiamo farci aiutare cercando, per suo tramite, gli agganci giusti. Lo facciamo continuamente, senza rendercene conto. Ogni persona con cui entriamo in contatto via mail, per telefono, o a un rinfresco, è un'acquisizione del network. Ora che iniziamo a capire, le implicazioni di questo fenomeno ci appaiono in tutta la loro rilevanza. Dobbiamo abituarci a pensare in termini di network: per quanto riguarda le epidemie, le mode, gli andamenti dei mercati azionari, tutto. A volte il network ci aiuta, a volte ci danneggia. Farne parte può essere sia un bene che un male. Ma il nuovo paradigma spaziale resta. Quando chiunque può essere connesso a chiunque altro in soli sei passaggi, tutto ciò che c'è in giro può arrivare a contatto con noi, più velocemente di quanto pensiamo. SPECIALE.Futuro Condivisioni mentali di STEVEN JOHNSON ---------------------------------------------------------------------------- ---- Steven Johnson (www.stevenberlinjohnson.com) ha scritto Emergence: The Connected Lives of Ants, Brains, Cities, and Software. ORMAI SIAMO talmente abituati all'idea del Web come sistema di documenti interconnessi, che ci sembra praticamente inconcepibile pensarlo organizzato in un altro modo. Eppure, la Rete può strutturarsi benissimo in maniera diversa: non più intorno a delle pagine, bensì intorno a delle menti. La diffusione esplosiva dei blog sta creando opportunità irripetibile per realizzare questo salto di qualità. Centinaia di migliaia di individui, oggi, hanno un proprio weblog, che aggiornano regolarmente con link, commenti, aneddoti personali. Ovviamente esistono anche dei fantastici esperimenti di gruppo, ma il principio generale del blog è di carattere prettamente individuale. A parte la convivenza, seguire un blog aggiornato e ben tenuto è il metodo migliore per sapere tutto ciò che passa per la mente di un'altra persona: a che cosa sta lavorando, cosa le interessa, le sue ossessioni, le sue aspettative, le sue letture. Giorno per giorno, sono in contatto più profondo con l'intimità dei miei dieci blogger preferiti di quanto non lo sia con l'esistenza dei miei più cari amici. E pensare che ho incontrato di persona solo tre di queste mie dieci amicizie Web. Uno di loro, Rael Dornfest, mi ha detto: «Seguire il blog di qualcuno è come guardare una telenovela». Ovviamente, modificare l'organizzazione del Web rende possibile - anzi necessaria - l'elaborazione di nuove architetture nello spazio della Rete. Gli stessi blog sono una specie di effetto collaterale dell'originario concetto di ipertesto. Costruire un sistema di documenti collegati rende spiana la strada all'affermazione di una nuova tipologia di documento, fatto solo ed esclusivamente di collegamenti. Che succede quando si inizia a concepire il Web come una struttura di menti e non di file? La fiducia diventa una componente irrinunciabile. L'importanza dei dati comincia a essere valutata non più sulla base delle gerarchie stabilite dai motori di ricerca, ma a partire da testimonianze personali (per la serie «Questa pagina è utile perché sei persone che stimo la ritengono tale»). Idee e notizie vengono scovate con l'aiuto delle dieci persone la cui opinione in merito viene considerata più significativa: è quella che Cory Doctorow chiama "intelligenza esterna". Recentemente Dave Sifry, responsabile del sito di analisi dei blog Technorati, ha progettato un'applicazione attraverso la quale, digitando un indirizzo Url, si ha automaticamente accesso a un elenco di blogger che lo hanno commentato. Qualsiasi cosa ci si imbatta in Rete può essere filtrata attraverso il punto di vista di altri blogger. La mente diventa un elemento spaziale. Il sito personale diventa un' estensione della memoria, come nel Memex di Vannevar Bush, e i vostri ricordi entrano a far parte dell'intelligenza collettiva del Web. Un esempio? Il fantastico sito Random Access Memory, un mosaico di migliaia di contributi spontanei di individui di tutto il mondo. Senza contare che una Rete orientata al collegamento tra menti diverse facilita gli incontri anche nel mondo reale: prova ne è il recente successo di Meetup.com. Da quando Internet ha fatto il suo ingresso nella coscienza popolare, molti critici hanno sottolineato come attraverso questo mezzo le informazioni siano a portata di mano, ma il sapere più profonda quasi irraggiungibile. In uno spazio di condivisioni mentali, però, il traguardo comincia a sembrare più vicino. Il Web resta un sistema funzionalmente illimitato di dati, ma sempre più regolato dalle sensibilità umane, collegate tra loro in maniere oggi ancora pressoché inimmaginabili. Se è la vera conoscenza ciò che state cercando, non potevate trovare una guida migliore. SPECIALE.Futuro Vagando liberi di LUC STEELS --------------------------------------------------------------------- Luc Steels è docente di informatica alla Libera Università di Bruxelles e direttore del Sony Computer Science Laboratory di Parigi. UN ROBOT appena nato deve provare un profondo senso di confusione. Cos'è il "sopra"? E il "sotto"? Per un androide, gli input sensoriali sono un magma indecifrabile. Le masse percepite dagli occhi sembrano fluttuare, i suoni colpiscono disordinatamente il suo udito, e lo spazio tridimensionale è un ammasso di coordinate indistinte. Il problema non è l'hardware. Automi come l'Asimo dell'Honda e l'Sdr-4X della Sony sono dotati di dispositivi per la percezione della profondità e di microfoni per individuare le sorgenti di rumore. E le ricerche di laboratorio sull'intelligenza artificiale hanno fatto passi da gigante nel settore del ragionamento simbolico, tanto che oggi le macchine possono compiere deduzioni sulla base delle definizioni dei concetti spaziali. Ma l'effettiva sintesi di percezione sensoriale e decodifica razionale resta problematica. Ai robot manca il senso della dimensione spaziale. Non sanno come muoversi in un edificio, come interagire con gli oggetti o come spostarsi da una stanza all'altra. Il problema è che nessuno sa come davvero funzioni la cognizione dello spazio. Sappiamo solo che è un processo estremamente complesso e difficile da realizzare pienamente. Un meccanismo talmente complicato che è impossibile programmarlo: deve svilupparsi da solo. Le differenze culturali e linguistiche pongono ulteriori difficoltà. In inglese, per esempio, è naturale concepire il "davanti" di un albero come orientato verso chi parla. Quindi diciamo «La macchina è davanti all' albero», intendendo che la vettura si trova tra noi e la pianta. Ma in molti idiomi africani, il davanti dell'albero è posto nella stessa direzione dello sguardo di chi lo sta osservando. Dunque, per indicare l'esatta posizione della macchina bisognerebbe dire che «è dietro la pianta». E questo rende la comunicazione quantomeno ingannevole. Trovare un modo efficace di insegnare la cognizione dello spazio è l' obiettivo cruciale della robotica più recente. Anche il mio laboratorio si sta occupando di questo problema. Stiamo cercando di progettare robot in grado di sviluppare nel corso del tempo un loro personale approccio allo spazio, al tempo e al movimento. Per riuscirci, le macchine devono accumulare una vasta quantità di esperienze sensoriali per poi provare a processarle e riconoscerle a partire dai vari frammenti. A lungo termine, ciò consentirà loro di dare una struttura al mondo che le circonda, imparando a capire le conseguenze delle proprie azioni. Inoltre, programmiamo questi automi a creare dei giochi di parole attraverso i quali possono inventare e apprendere nuovi termini e costrutti grammaticali, nonché stabilire da soli il significato delle espressioni utilizzate. In uno degli ultimi esperimenti, migliaia di androidi hanno elaborato circa mezzo milioni di giochi linguistici, comunicando fra loro a proposito di alcuni oggetti presenti in laboratorio e della loro collocazione, sviluppando un vocabolario condiviso e dei concetti comuni. Test del genere ci mostrano un futuro in cui i robot potranno coltivare un loro proprio linguaggio e una loro specifica nozione dello spazio, adattabili al contesto in cui verranno inseriti. Senza questa capacità rimarranno freddi strumenti di calcolo e non riusciranno mai a interagire pienamente con un mondo aperto e in continua evoluzione.
- Prev by Date: Prossimi corsi della Libera Università Popolare
- Next by Date: prova
- Previous by thread: Prossimi corsi della Libera Università Popolare
- Next by thread: prova
- Indice: