welfare partecipato



da carta org luglio 2003

Welfare partecipato, opinioni dal basso

 "Più welfare, più locale, più partecipazione". Lo slogan scelto
dall'associazione Nuovo welfare e i ricercatori dell'Unicab sintetizza bene
i risultati dell'indagine sull'opinione degli italiani rispetto alle
politiche sociali. La ricerca, intitolata "Quale welfare per l'Italia delle
Regioni", rovescia luoghi comuni e conferma una "voglia di sociale" e un
desiderio di partecipazione alla cosa pubblica da parte dei cittadini che
pochi indagini avevano evidenziato finora. Eppure, la crescita dei
movimenti, dai forum sociali al movimento per pace fino ai girotondi, hanno
ampiamente anticipato alcuni risultati dell'inchiesta, che ha coinvolto più
di ventimila persone attraverso interviste telefoniche.
La più grande indagine mai realizzata in Italia sulle opinioni rispetto allo
stato sociale, comprende novantaquattro tabelle e numerosi articoli di
interpretazione che aiutano a conoscere meglio bisogni, aspettative e
giudizi degli italiani. Che hanno innnanzitutto espresso un giudizio
positivo sulla qualità della vita della propria ragione [83 per cento]:
giudizio più condiviso dai laureati, un po' meno tra chi ha un basso livello
di scolarizzazione. "Dal punto di vista geografico i cittadini del nord - si
legge nella ricerca - hanno espresso un più elevato livello di soddisfazione
per la qualità della vita in generale". È nei comuni fino a 5.000 abitanti
che è stata registrata la percentuale di soddisfatti e ottimisti più alta
della media. Dal punto di vista sociale l'area del disagio sembra destinata
ad allargarsi: un italiano su dieci vive infatti una marginalità priva di
prospettive di inserimento; i più esposti a questa dinamica sono gli
anziani, le donne e chi ha un basso livello di scolarizzazione.
Interessanti le risposte alla domanda "In quali regioni si vive meglio?":
Emilia Romagna, Lombardia e Toscana sono le regioni con più consensi,
Sicilia, Abruzzo, Sardegna e Campania quelle con meno. Quanto alla fiducia
nelle istituzioni, il 58 per cento degli intervistati ha espresso fiducia
nei confronti soprattutto del Comune, seguito da Regione [55 per cento],
Provincia [51 per cento], e Stato [48 per cento]. Gli autori della ricerca
evidenziano anche che "si stanno sempre più affermando la local comunity,
comunità in cui il ruolo dei cittadini è sempre più attivo anche se non si
esprime più stesse forme e modi attraverso i quali si esprimeva prima. In
questo senso parlare di locale ha un valore strategico per diversi fattori:
perché è dal territorio che emergono nuovo istanze, maturano nuove
aspetattative, valutazioni e ciscuno sperimenta la sua socialità in termini
di partecipazione".
Così come il livello municipale ha avuto la meglio su quello delle altre
istituzioni pubbliche, le organizzazioni non profit [85 per cento] hanno
ricevuto più consensi dei partiti [17 per cento] e dei sindacati [37 per
cento]. Il 66 per cento degli intervistati hanno anche dichiarato che le
organizzazioni sociali devono essere maggiormante coinvolte nella
programmazione e nelle decisioni da prendere a livello politico. Il 64 per
cente delle persone intervistate ha detto di essere favorevole all'aumento
delle tasse e dei servizi. In particolare, la preferenza va per i servizi di
sanità pubblica e per quelli legati alla scuola. Certo è che negli utlimi
anni l'ampiezza dell'idea di welfare dei cittadini non è più solo la sanità
e l'assistenza: "l'idea di welfare è qualcosa di strettamente connesso alla
qualità della vita più generale, alle opportunità, ai percorsi di
inserimento, ai diritti". Secondo i cittadini intervistati "l'assistenza
agli anziani" e "i supporti a chi vive un disagio economico" sono le nuove
frontiere del welfare. I dati dicono anche che chi vive un disagio, ed è è
l'utente principale delle politche sociali, è anche colui che ha una
conoscenza più bassa dei sistemi di garanzia. Infine, è utile segnalare come
tre intervistati su quattro sono decisamente contrari ai tagli dei
finanziamenti destinati alle politiche sociali [la seconda parte della
ricerca, relativa alle opinioni sulle singole istituzioni regionali, sarà
pubblicata in autunno].

 Spesa sociale ed enti locali: la scommessa della partecipazione
Un'indagine dello Spi-Cgil
  L'osservatorio Spi-Cgil ha reso noto i risultati dell'indagine condotta
sul welfare dei comuni, condotta su sessanta comuni medio-grandi in tutta
Italia. I risultati sono interessanti soprattutto perché mettono in evidenza
quegli aspetti che concretamente incidono sulla differenza degli
investimenti stanziati dai municipi nel settore sociale, sia per quanto
riguarda la loro entità, sia per quanto riguarda la loro composizione.
Il periodo preso in considerazione è il 2001, e la prima cosa che salta agli
occhi è un'inversione di tendenza in alcune zone del paese. A fronte di un
generale seppur lieve aumento della spesa sociale rispetto al 2000, i comuni
del Mezzogiorno registrano invece per la prima volta una diminuzione di
circa il 2 per cento. Mentre le zone del Centro registrano un aumento della
spesa che si attesta al 4,5 per cento, con gli incrementi più consistenti a
Firenze col +34,3, Campobasso col +21,6 e a Parma con il +19 per cento.
La prima cosa che emerge dall'analisi dello Spi-Cgil è che proprio in quei
comuni del Mezzogiorno dove la spesa diminuisce, le risorse destinate a
interventi "burocratici" per l'amministrazione sono assai più consistenti
che nel resto del paese: in media pesano di ben un 5 per cento in più
sull'intero budget. Altro elemento importante che viene messo in evidenza è
l'autonomia finanziaria: le spese per il welfare locale aumentano in quei
comuni dove maggiore è l'autonomia finanziaria e quindi la pressione
tributaria. Sono quindi le tasse locali a finanziare in maniera più cospicua
la spesa sociale dei comuni: se si osserva la tabella n°1 si nota che i
comuni del Mezzogiorno hanno una pressione fiscale pari alla metà di quella
del Centro, e addirittura un terzo di quella del Nord est. Sono proprio
questi i comuni dove si registra il maggior calo nella spesa sociale. La
spesa destinata al welfare dai comuni si attesta su una media nazionale del
32,4 per cento, ma questo dato tuttavia oscilla tra le punte di Parma
[52,1], Bolzano [50,8] e Reggio Emilia [50,6] e quelle opposte di Messina
[19], Potenza [18,8] e Campobasso [18,6]. Lo stesso andamento lo ritroviamo
se prendiamo in considerazione la spesa sociale pro-capite: a fronte di una
media di 307,1 euro si oscilla tra le punte di Bolzano [689,2 euro] e quelle
di Torre del Greco [137,1 euro].
Il dato della spesa sociale si fa però ancora più interessante se viene
disarticolato nei vari settori di intervento. Sono infatti i settori
dell'istruzione pubblica [-14,2 per cento] della cultura [-6 per cento] e
dello sport [-4,8 per cento] a registrare i cali più netti nel Mezzogiorno,
mentre le misure sociali "in senso stretto" - come l'assistenza e la
beneficenza - registrano addirittura un aumento dell'11,4 per cento.
Esattamente il contrario di quanto avviene al Nord, dove, a fronte di un
aumento della spesa per la cultura e per le strutture di residenza ed
assistenza per anziani, la spesa sociale "in senso stretto" diminuisce: se
nel Mezzogiorno occupa il 30 per cento degli stanziamenti complessivi, al
Nord non raggiunge neppure il 25 per cento.
Le differenze di investimento tra i vari comuni sono altamente collegate a
concezioni del welfare radicalmente diverse: una maggiormente ancorata
all'assistenza, l'altra caratterizzata dalla compartecipazione al
finanziamento dei cittadini, caratterizzata dal coinvolgimento di imprese
sociali e dallo stimolo verso forme nuove di finanziamento. Concezioni
differenti, che in primo luogo derivano dalle diverse capacità impositive
dei comuni. Ecco perché un ulteriore elemento strategico è individuato
dall'analisi dello Spi-Cgil nelle caratteristiche demografiche dei diversi
comuni. Dove il tasso demografico basso rende impossibili entrate cospicue,
la spesa sociale sarà caratterizzata da una scarsa propensione
all'investimento. Da questo punto di vista va però sottolineato che il nuovo
testo dell'articolo 119 della Costituzione prevede misure correttive in tal
senso, come l'istituzione di un fondo perequativo da parte dello Stato per i
territori con minore capacità fiscale, al fine di garantire l'effettivo
esercizio dei diritti della persona.
A tale proposito è probabile che, nonostante l'attuazione di norme
perequative, con l'attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione
si aprirà una fase molto delicata per il welfare locale, nella quale le
autonomie locali dovranno dimostrare di essere in grado di gestire il
finanziamento delle proprie politiche sociali. Per questo l'analisi conclude
individuando due binari lungo i quali si giocherà il futuro del welfare: la
propensione dello Stato ad assicurare la leva perequativa e quindi a
garantire il sostegno alle aree più depresse, che altrimenti risulterebbero
automaticamente penalizzate; e la capacità dei governi locali di quelle aree
di incrementare efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa, puntando
su nuove forme di finanziamento, coinvolgendo la cittadinanza e le imprese
sociali. La scommessa, con un governo di centro-destra che incentiva i tagli
alla spesa pubblica e penalizza il welfare, è quella di fare della spesa
sociale a livello locale un punto di forza in grado di stimolare forme di
partecipazione attiva di cittadini, per contrastare tanto le tendenze verso
un neo-centralismo, quanto quelle verso un federalismo irresponsabile.