energia, cogenerazione in italia



il manifesto - 30 Luglio 2003


Quel Totem nascosto in cantina
MAURIZIO PALLANTE

Quel Totem nascosto in cantina
I ministri europei dell'ambiente scoprono la «micro-cogenerazione» come
alternativa al black-out. La storia del «Totem», il primo micro-cogeneratore
nato in Italia, presso la Fiat, raccontata dal suo inventore
MAURIZIO PALLANTE
Un coup de théâtre. Cosa c'è di meglio per attirare l'attenzione
dell'opinione pubblica? All'inizio del semestre italiano di presidenza
dell'Unione europea, il ministro dell'ambiente Altero Matteoli, con il
conforto del ministro dell'Industria Antonio Marzano, ha riunito
informalmente i suoi colleghi europei a Montecatini per fare due chiacchiere
sui problemi energetici e ambientali. E il secondo giorno ha tirato fuori
dal cappello un ossimoro e una novità vecchia di 30 anni: il carbone pulito
(una pallida imitazione del ghiaccio bollente e della tintarella di luna dei
primi anni Sessanta, solo che quelli erano giochi e questa vorrebbe essere
una cosa seria) e la micro-cogenerazione. Che è una cosa seria, ma rischia,
per come è stata presentata, di diventare uno scherzo. Il giorno dopo su
tutti i giornali la notizia è stata presentata come il «fai da te
dell'energia» (caspita che coordinamento!). Dal minimo comune multiplo del
bricolage, ogni giornalista se l'è poi farcita con la sua salsa: c'è chi
l'ha messa sui tetti delle case (impianti da 350 kW a 2 MW, ma qualcuno ha
idea di cosa significa?) e chi, tagliando un «co» (un semplice «co», che
sarà mai?), senza rendersi conto di ciò che faceva, l'ha derubricata a
microgenerazione. È proprio il caso di dirlo: la co-generazione, chi era
costei? E la micro-cogenerazione, che sembra uno scioglilingua? Ne abbiamo
parlato con una persona che se ne intende, l'ingegner Mario Palazzetti, una
sorta di Archimede Pitagorico della tecnologia applicata alla riduzione
dell'impatto ambientale (molti dei suoi 80 brevetti sono di tecnologie non
energivore e non inquinanti), che con queste credenziali non poteva trovare
ascolto nel nostro sistema industriale, per il quale il solo fine delle
innovazioni di processo è di accrescere la produttività tagliando posti di
lavoro e il solo fine delle innovazioni di prodotto è di accrescere la
dipendenza umana da oggetti sempre più banali. A Palazzetti per molti anni è
stata assegnata la responsabilità dei sistemi termotecnici del Centro
Ricerche Fiat, dove ha avuto risorse economiche, capi e collaboratori di
grande qualità, ma l'invenzione della micro-cogenerazione l'aveva fatta
trent'anni fa eppure non solo non è mai stata utilizzata (dato reale), ma è
stata tenuta accuratamente nascosta come accadeva coi figli della colpa
(dato fortemente sospetto).

«Nella primavera del 1973 - risponde Palazzetti a queste mie
considerazioni - qualche mese prima che scoppiasse la prima crisi energetica
in seguito alla guerra del Kippur, il gruppo di lavoro che coordinavo
realizzò il primo micro-cogeneratore, che battezzammo Totem: Total energy
module. La nostra iniziativa si collocava nel clima culturale suscitato
dalla pubblicazione del rapporto del Club di Roma sui limiti dello sviluppo.
In quel periodo in Fiat si confrontavano due linee strategiche sui problemi
energetici. C'era chi puntava sulla tecnologia nucleare e chi sulle fonti
alternative. Noi eravamo al di fuori di entrambe le logiche perché
ritenevamo che fosse più importante, sia per l'ambiente, sia per lo sviluppo
tecnologico e industriale, porre l'attenzione non sulle fonti, ma
sull'efficienza energetica. Partivamo dal presupposto che dovunque si
accenda un fuoco, una civiltà tecnologicamente evoluta non può limitarsi a
utilizzarne il calore, poiché prima se ne può sfruttare la capacità di
sviluppare una potenza motrice e dopo, quando la sua temperatura si è
abbassata e non è più in grado di svolgere un lavoro, si può utilizzare per
usi termici il calore residuo. La co-generazione è quindi la generazione
contemporanea di energia meccanica, che viene trasformata in energia
elettrica mediante un alternatore, e di energia termica da un unico processo
di combustione».

«Il Totem - continua Palazzetti - utilizzava un motore da 903 centimetri
cubi alimentato a gas naturale, o a biogas, per far girare un alternatore
che sviluppava una potenza elettrica di 15 kW. Quanto basta al fabbisogno
medio di una ventina di appartamenti. Contemporaneamente, recuperando il
calore dei gas di scarico e quello sviluppato dal motore, erogava 33.500
chilocalorie all'ora, sufficienti a riscaldare tre piccoli alloggi.
Utilizzando 105 unità di energia primaria questo piccolo cogeneratore
forniva 100 unità di energia derivata: 28 di elettricità e 72 di calore. Per
ottenere gli stessi risultati a una centrale elettrica ne occorrevano 84 e a
una caldaia a gas 100: in totale 184. Quasi un raddoppio dell'efficienza. O,
se preferisci, un dimezzamento dei consumi di fonti fossili (e delle
emissioni di CO2) a parità di servizi all'utenza. Il Totem è stato prodotto
dalla Fiat in quantità insignificanti fino al 1980. Poi è stato ceduto a
un'altra azienda e dopo altri passaggi di mano è tuttora in produzione, ma
non è mai diventato l'alternativa di massa alle caldaie negli impianti di
riscaldamento domestici. In pratica si può dire che non è mai esistito come
prodotto industriale».

La scorsa estate ho fatto un corso di aggiornamento all'Energie und
Umweltzentrum (Centro per l'energia e l'ambiente) di Springe, un
ecovillaggio vicino ad Hannover, fondato alla fine degli anni Settanta. Lì,
tra le tante cose che ho imparato, ho saputo che il Totem è stato il primo
micro-cogeneratore ad essere stato progettato e prodotto. Un primato che,
mettiamola in termini economici e non ecologici, avrebbe potuto consentire
all'azienda che lo produceva di acquisire una posizione leader non solo sul
mercato italiano, ma europeo. Oggi in Germania, in tutte le strutture che ho
visitato durante il corso di aggiornamento, la riduzione al minimo delle
emissioni di CO2 viene perseguita adottando un mix di tecnologie di
efficienza energetica e fonti alternative variabile a seconda delle
caratteristiche climatiche del luogo. L'unico elemento costante, che ho
trovato dappertutto, è l'inserimento di un co-generatore nel mix. Ne ho
visti da 6 kW elettrici (meno della metà del Totem) in piccoli gruppi di
abitazioni private (ma ce ne sono anche da 3 kW, alimentati da motori a due
tempi), ne ho visto uno da 100 kW in una fabbrica di pannelli solari termici
a zero emissioni di CO2, ne ho visti due azionati da motori marini
alimentati dal biogas sviluppato dalla fermentazione dei rifiuti organici
nella discarica di Hannover. La cogenerazione è quindi una tecnologia molto
versatile, che si presta ad essere applicata in situazioni e con taglie
molto diverse. In Italia, prima dell'attuale riscoperta tardiva della
micro-cogenerazione diffusa (per ora proclamata a parole, staremo a vedere
se seguiranno i fatti) sono stati realizzati solo pochi grandi impianti
abbinati a centrali termoelettriche, tant'è che nella vulgata comune di «chi
se ne intende» la cogenerazione è diventata sinonimo di teleriscaldamento.

«La differenza tra il teleriscaldamento e la micro-cogenerazione diffusa non
è nella grandezza dell'impianto - spiega Palazzetti - ma è qualitativa.
Nelle centrali termoelettriche si produce calore ad alta temperatura per far
girare le turbine collegate agli alternatori che producono energia
elettrica. Per riutilizzare l'energia termica degradata che si recupera come
sottoprodotto, occorre trasportarla a distanza costruendo un'apposita rete
di tubi sotterranei che hanno costi d'investimento molto alti, mentre la
riutilizzazione del calore avviene solo nei mesi invernali. Negli altri mesi
si continua a sprecarlo, per cui il vantaggio ambientale è limitato. Invece
la micro-cogenerazione diffusa sostituisce gli impianti di riscaldamento e
il `sottoprodotto' è l'energia elettrica, che si può utilizzare direttamente
e/o riversare in rete senza costi d'investimento perché la rete elettrica
già esiste. Quindi non ci sono mai sprechi».

In effetti, in Germania gli impianti di micro-cogenerazione sono collegati
alla rete così che possono riversavi i loro chilowattora nelle fasce orarie
in cui la domanda totale di energia elettrica è più alta. La cessione in
quelle ore è incentivata da prezzi convenienti perché in questo modo si
riduce la necessità di costruire nuove centrali. Nelle altre ore gli
autoproduttori consumano in proprio i chilowattora che producono, oppure
spengono l'impianto. Tra i guadagni derivanti dalla vendita e i risparmi
sull'acquisto di energia elettrica, i micro-cogeneratori ripagano i loro
costi d'investimento in tempi accettati dal mercato, senza sovvenzioni. E, a
parità di costi, contribuiscono a ridurre le emissioni di CO2 ben più delle
fonti alternative. Al contrario, in Italia lo sviluppo della
micro-cogenerazione diffusa è stato bloccato dagli ostacoli frapposti
dall'Enel all'allacciamento alla rete, in particolare dalla predisposizione
di contratti di cessione non remunerativi. L'importanza dell'inversione di
rotta annunciata a Montecatini è evidenziata dalle dimensioni del programma:
da 10 a 12 mila MW di potenza. L'equivalente di 15 nuove centrali da 800 MW,
il 20 per cento dell'attuale potenza installata in Italia, ottenuto usando
meglio il combustibile che già oggi si brucia nelle caldaie degli impianti
di riscaldamento. Senza incrementare le emissioni di CO2 e senza
cementificare altro territorio naturale. Ma se stanno facendo sul serio,
perché vincolare l'inizio del programma con la predisposizione di una
normativa che consenta di non allacciare gli impianti di co-generazione
diffusa alla rete? Perché limitare la taglia minima a 350 kW, quando si può
scendere a potenze molto inferiori, che possono penetrare in tutte le pieghe
del sistema, fino al riscaldamento domestico?

Per Palazzetti l'importanza strategica di questa inversione di tendenza, se
si realizzerà, è tale da far passare in secondo piano i limiti, che tuttavia
non sottovaluta. «Dai resoconti giornalistici non si capisce bene se il
distacco dalla rete sarà una possibilità o una condizione vincolante. Nel
primo caso si tratterebbe di un elemento di flessibilità in più. Nel secondo
di una limitazione che potrebbe disincentivare gli investimenti nella
micro-cogenerazione e, quindi, ostacolare la realizzazione del programma.
Molto più grave mi sembra la chiusura nei confronti di impianti inferiori ai
350 kW. Ciò significa che il target cui si rivolge il ministero
dell'ambiente è costituito dalla grande distribuzione e dalla media
industria, escludendo le abitazioni, che non solo rappresentano una fascia
rilevante dei consumi energetici, ma con la diffusione a macchia d'olio dei
condizionatori stanno fornendo quegli incrementi alla domanda di energia
elettrica nei mesi estivi che hanno causato il recente black out e rischiano
di causarne altri. In questo settore possono invece trovare l'applicazione
più interessante i recenti sviluppi tecnologici della cogenerazione in
trigenerazione, cioè in impianti che nei mesi estivi possono sostituire la
produzione di energia termica con l'azionamento del compressore di un
condizionatore, in modo da rinfrescare gli ambienti senza accrescere la
domanda di energia elettrica».

Per produrre cogeneratori e trigeneratori occorrono la stessa tecnologia,
gli stessi impianti e le stesse professionalità che occorro per produrre le
automobili. Invece di far finta di credere che la nostra industria
automobilistica possa tornare agli antichi splendori aumentando la
flessibilità e riducendo l'occupazione, non sarebbe meglio riconvertirla in
parte nella produzione di queste nuove macchine? A partire dalle taglie più
piccole per favorirne una diffusione di massa? Win win dice il ministro. Se
dalle parole si passerà ai fatti, sulle orme di Dumas si potrà aggiungere:
Trent'anni dopo.