tv la chimera del digitale terrestre



da lavoceinfo.it

venerdi 4 luglio 2003


03-07-2003
La chimera del digitale terrestre
Marco Gambaro

La legge Gasparri, in approvazione al Senato, affida un ruolo importante
alla diffusione della televisione digitale, con l'idea di allargare il
numero di operatori televisivi e ridurre quindi il grado di concentrazione
di questo mercato.
Per realizzare in tempi brevi questo obiettivo, prevede un passaggio
obbligatorio alla tv digitale nel 2006 (switch over) e ipotizza di
sovvenzionare in parte i consumatori per l'acquisto dei set top box (i
decodificatori necessari per ricevere il segnale digitale e i servizi
interattivi). In questo modo, si vorrebbe favorire l'accesso ai servizi
interattivi di quella quota di popolazione che non utilizza Internet.
Un traguardo difficile da raggiungere
Si tratta purtroppo di idee sbagliate e di un traguardo difficilmente
realizzabile. Infatti, non è la scarsità delle frequenze la ragione di
concentrazione del settore televisivo, che è invece dovuta essenzialmente
alle economie di scala nelle spese per i programmi. Né sembrano esserci le
condizioni economiche per creare molti nuovi canali televisivi, mentre i
servizi interattivi possono appoggiarsi solo ai palinsesti già esistenti e
quindi rafforzare ulteriormente la posizione degli operatori già esistenti.
Con pochi servizi aggiuntivi, la domanda dei consumatori per i set top box o
i televisori digitali non sarà spumeggiante.
La televisione digitale terrestre costituisce un'innovazione di sistema
importante per la filiera televisiva: con la codifica digitale è possibile
infatti trasmettere più canali nelle stesse frequenze attribuite al servizio
televisivo, aumentando il numero di canali rispetto al segnale analogico
oggi utilizzato. Inoltre è possibile attivare nuovi servizi anche
interattivi se il televisore è collegato a un canale telefonico di ritorno.
Per fare questo, tuttavia, è necessario utilizzare televisori digitali e
decodificatori, con un investimento rilevante da parte del telespettatore.
Gli operatori televisivi, a loro volta, devono rinnovare le tecnologie di
trasmissione.

Consumatori da conquistare

Pur in presenza di vantaggi e di una qualità migliore del segnale, non è
quindi scontato che i telespettatori scelgano di sostituire le proprie
apparecchiature di ricezione entro pochi anni. Molto dipenderà dai nuovi
programmi che verranno offerti nei canali digitali, la cui disponibilità è
legata alle condizioni di concorrenza del settore televisivo. Ad esempio, un
ampio bouquet di canali e servizi interattivi sono generalmente disponibili
nei sistemi via cavo e via satellite. Per raggiungere una massa critica
difficile da ottenere con le sole scelte dei consumatori, in molti Paesi è
stato perciò imposto alle stazioni televisive un passaggio obbligatorio al
nuovo standard. Ma dopo i vistosi insuccessi del digitale terrestre in Gran
Bretagna e in Spagna, i tempi dello switch over sono stati opportunamente
spostati in avanti, al 2010-2012, ipotizzando un periodo lungo di
transizione.
In Italia vi sono 38 milioni di televisori, cui vanno aggiunti 20 milioni di
videoregistratori. Ogni anno si vendono circa tre milioni di televisori, con
un rinnovo naturale del parco che avviene in 12-13 anni. Ad oggi manca
ancora un accordo definitivo sulle caratteristiche del set top box che,
comunque, non sarà compatibile con quello della televisione digitale
satellitare e quindi non fruirà di quelle esternalità. L'ipotesi di vendere
in due anni almeno un set top box per famiglia partendo da zero, appare
francamente ottimistica. Tanto per fare un confronto, il lettore dvd, uno
dei prodotti di maggior successo degli ultimi tempi, ha impiegato sei anni
per arrivare nel 2003 a vendite annue di 1,5 milioni di pezzi e a un tasso
di penetrazione sulle famiglie del 15 per cento. Per raggiungere almeno una
penetrazione totale sulle famiglie (ma non sui televisori) occorreranno 8-9
anni, nell'ipotesi più ottimista.

Transizione lunga, rischi elevati

Nonostante nei convegni pubblici si continui a considerare la data del 2006
come riferimento, gli operatori si stanno preparando a un lungo periodo di
transizione. In queste condizioni, i nuovi operatori che volessero produrre
palinsesti per la tv digitale affronterebbero rischi elevati e ricavi
incerti.
L'ipotesi di vendere canali ai consumatori sul modello pay tv si scontra con
l'ampia offerta della televisione via satellite e con l'impossibilità
tecnica di offrire bouquet di 30-40 canali. Per contro, vendere canali
tematici (con palinsesti cioè da 10-20 milioni di euro) in piccoli bundle
(3-4 canali) appare molto difficile e sconta le forti diseconomie di scala
nella fase commerciale di gestione delle relazioni con la clientela.
Se un operatore puntasse invece a fare una tv generalista sul digitale
terrestre con un palinsesto attrattivo, si sconterebbe col fatto che, per
anni, i suoi costi devono essere funzione del mercato complessivo, perché
compete con le grandi televisioni generaliste analogiche, mentre i suoi
ricavi sono relativi a quella porzione di mercato in grado di ricevere i
suoi programmi in digitale. Ad esempio, ipotizzando che un palinsesto da 150
milioni di euro consenta di raggiungere una share di ascolto media del 6 per
cento e che questo ascolto si traduca in una quota del 6 per cento degli
investimenti pubblicitari in televisione (tutte ipotesi ottimistiche), il
nuovo entrante arriverebbe al break even nel 2012, ma in quell'anno avrebbe
accumulato perdite per 1,3 miliardi di euro.
Anche l'ipotesi di coprire con la pubblicità i costi di un piccolo canale
tematico appare improbabile. A oggi i quaranta maggiori canali tematici
disponibili in Italia raccolgono mediamente 650 mila euro di pubblicità
annua ciascuno e, a causa dei bassi ascolti, anche le tariffe unitarie
(costi contatto) sono più basse di quelle della tv generalista. Anche
presupponendo una capacità di raccolta ampiamente superiore, un operatore
che puntasse su questo modello sarebbe in perdita per molti anni.
I servizi interattivi semplici - partecipazione a programmi o televoto tra
diversi concorrenti - sono probabilmente l'area di cui è possibile
intravedere uno sviluppo significativo, ma devono necessariamente
appoggiarsi a palinsesti già finanziati dalla televisione analogica poiché
altrimenti hanno attrattività irrilevante o costi insostenibili. Dunque sono
realizzabili sostanzialmente dagli operatori già esistenti che cercano in
questo modo di appropriarsi di un mercato attualmente in mano ai gestori
della telefonia cellulare.
In conclusione, nel lungo periodo la televisione terrestre diventerà
digitale, ma il percorso appare poco lineare e gli effetti sulla concorrenza
nel mercato televisivo meno dirompenti di quanto sia dato per scontato in
molti interventi politici, non solo del Governo.