appunti sul piano sanitario nazionale 2003-2005



da fondazionedivittorio.it

venerdi 6 giugno 2003

Il Piano Sanitario Nazionale 2003-2005

Roberto Polillo, responsabile dipartimento salute della CGIL: obiettivi
generici e senza strumenti adeguati.

Il testo di Roberto Polillo, che è possibile scaricare in formato .pdf,
seguendo il link in fondo alla pagina propone l'analisi del Piano Sanitario
Nazionale 2003-2005.
Il PSN, approvato dopo un lunghissimo iter, presenta innanzitutto politici
di grande rilevanza: riguardano la ripartizione dei compiti tra Stato e
Regioni e la definizione del livello di concertazione tra la parte pubblica
e le organizzazioni sindacali.
Quanto agli specifici contenuti, il giudizio sul PSN è negativo:
"l documento da progetto che stabilisce tempi e metodi per il conseguimento
di obiettivi" si è trasformato "in semplice documento di indirizzo e di
linea culturale" che ha "totalmente vanificato la portata e la sua capacità
di incidere effettivamente nella realtà del nostro paese."
Il primo obiettivo del Piano, la riduzione delle liste di attesa, non
contiene gli strumenti effettivi per garantire a tutti i cittadini i livelli
di sussistenza concordati. Altrettanto generici gli strumenti indicati per
realizzare l'obiettivo di creare e promuovere una rete di assistenza per
anziani, malati cronici e disabili.
Nulla, infine, viene proposto per superare le drammatiche disuguaglianza in
termini di salute ed assistenza esistenti tra le strutture del Nord e quelle
del Centro-Sud.

Piano Sanitario Nazionale 2003-2005
Il Piano Sanitario Nazionale ha trovato definitiva approvazione
dopo più di una anno dalla sua prima approvazione in Consiglio
dei Ministri; tale ritardo, che ha comportato una modifica del
periodo di vigenza, ora riferito al 2003-2005, da un lato dimostra
come il documento non fosse stato istruito in sintonia con gli altri
soggetti istituzionali, in particolare la Conferenza delle regioni,
implicati nella successiva valutazione del testo e dall'altro
manifesta una scarsa attenzione al parere dei vari attori sociali
tra cui le organizzazioni sindacali; del tutto insufficiente appare
infatti il confronto avuto con queste ultime risalente a quasi un
anno fa, mentre la correttezza istituzionale avrebbe richiesto
l'acquisizione di un nuovo parere a fronte delle modifiche, di non
scarso rilievo, introdotte nel documento stesso non ultimo il già
citato mutato periodo di valenza temporale.
Il lungo e tortuoso iter solleva dunque un duplice problema
politico relativo tanto alla ripartizione di competenze tra Stato e
alle Regioni determinata dal nuovo testo Costituzionale di riforma
del Capo V e tanto alla definizione di un coerente ed efficace
livello di concertazione tra parti sociali e parte pubblica.
Nel merito del primo aspetto è innegabile che sia necessario
indurre nelle regioni un atteggiamento più rispettoso delle
competenze dello Stato relativamente alla definizione da parte di
quest'ultimo di cogenti principi, anche se a carattere generale,
riguardanti la tutela della salute; si deve richiamare infatti con
forza quanto previsto dalla stessa Costituzione ( ART 117) in
tema di determinazione esclusiva da parte dello Stato dei Livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; le
regioni infatti pur accettando, non senza resistenze, che tale
competenza resti propria dello Stato, da un altro verso si
mostrano contrariate che lo Stato centrale possa esercitare un
effettivo controllo sulla reale esigibilità di tali livelli di prestazioni
e che possa eventualmente intervenire in presenza di situazioni
di manifesta violazione dei principi di universalità e di equità di
accesso alle prestazioni stesse.
E' necessario in tale senso ricordare che invece l'articolo 6 della
legge Costituzionale n° 3 del 2001 di Modifica dell'articolo 120

del Capo V della Costituzione ha espressamente previsto che Il
Governo può subentrare con poteri sostitutivi agli organi delle
Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni
quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o dell'unità
economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Il mantenimento
dei Livelli essenziali dunque deve trovare una costante
monitorizzazione da parte del Governo centrale che in caso di
necessità deve predisporre piani di intervento diretto al fine di
renderli effettivamente esigibili.
Nel merito del secondo aspetto le parti sociali ed in primis le
OOSS hanno espresso al Ministro della salute che il livello di
interlocuzione con la parte pubblica debba avvenire a tutti i livelli
di discussione e quindi anche in sede di confronto tra Stato e
regioni; in altre parole al fine di rendere effettiva la pratica del
confronto non è accettabile che le osservazioni delle parti sociali
vengano recepite su un testo passibile di essere emendato e
modificato sostanzialmente in sede di confronto tre Governo e
regioni; in questo caso è del tutto evidente come l'acquisizione di
un parere non possieda nessun valore di effettivo confronto tra
le parti ma divenga una semplice formalità procedurale. Per
superare tale situazione è allora indispensabile istituire in ambito
di Conferenza stato regioni una sede di confronto negoziale
triangolare che abbia effettivi poteri e che non rimandi ad
ulteriori passaggi.
Premesse tali considerazioni di carattere generale, entrando nel
merito di quanto previsto dal PSN, il giudizio complessivo sul
provvedimento è sostanzialmente negativo; è del tutto evidente
infatti che la scelta di trasformare il documento da progetto
che stabilisce tempi e metodi per il conseguimento di
obiettivi in semplice documento di indirizzo e di linea
culturale ne abbia totalmente vanificato la portata e la sua
capacità di incidere effettivamente nella realtà del nostro paese.
In mancanza infatti di precisi target ed outcomes di salute da
raggiungere nell'arco di vigenza del PSN stesso l'analisi, anche
condivisibile, delle condizioni e problematiche sanitarie del nostro
paese in essa contenuta, risulta un semplice esercizio
accademico; non è certo questa la funzione che un Piano deve
avere a fronte poi delle forti disparità che caratterizzano ancora

le diverse realtà regionali e che con il progredire di un sistema
federale sempre più competitivo, tendono ad aumentare.
Nel merito dei progetti contenuti nel piano, per quanto concerne
il primo di essi "Attuare, monitorare ed aggiornare l'accordo
sui livelli essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre
le liste di attesa" è innegabile che, nonostante vengano
indicati ben 6 obiettivi strategici per la sua realizzazione, gli
aspetti preminenti siano in realtà quelli di natura economico
finanziaria espressi in termini di equilibrio tra risorse disponibili e
costi effettivi e quelli di un semplice monitoraggio dei Livelli
Essenziali di Assistenza, (da attuarsi tramite indicatori che
operino in modo esaustivo a tutti e tre i livelli di verifica
(ospedaliero, territoriale e ambiente di lavoro). Non è previsto
nessuno strumento che renda invece possibile, una volta
monitorati i tempi di attesa, intervenire per garantire a tutti i
cittadini in ogni realtà regionale il raggiungimento, in termini di
reale accesso alle prestazioni, del livello assistenziale
concordato.L' impegno dello Stato è infatti limitato a quello assai
generico e privo di efficacia di attivare tutte le possibili azioni
capaci di garantire ai cittadini tempi di attesa appropriati
alla loro obiettiva esigenza di salute, anche sulla base
delle indicazioni presenti nell'Accordo Stato Regioni 11
luglio 2002 senza tuttavia indicarne nessuna che sia realmente
efficace. Non vi è dunque alcuna definizione di obiettivi da
conseguire nell'arco di vigenza del Piano né viene fatto alcun
cenno alla competenze dello Stato e all'obbligo costituzionale di
intervenire, in caso di necessità, con propri poteri sostitutivi.
Per quanto riguarda i progetti "promuovere una rete
integrata di servizi sanitari e sociali per l'assistenza ai
malati cronici, agli anziani e ai disabili" e "promuovere il
territorio quale primaria sede di assistenza e di governo
dei percorsi sanitari e socio sanitari", di valenza non certo

minore, i contenuti anche in questo caso non soltanto sono
assolutamente generici, ma anzi fanno registrare una vera
regressione essendo sparito dal Piano anche il termine distretto
socio sanitario sostituito da quello esclusivamente topografico e
semanticamente neutro di territorio; il passo indietro è in questo
caso clamoroso essendo ormai universalmente riconosciuto che il
principale problema del nostro Servizio sanitario, ma non solo del

nostro, è quello di riconvertire parte dell'assistenza ospedaliera
in assistenza distrettuale, facendo riferimento con questo
termine ad un sistema altamente integrato e polifunzionale di
cura, prevenzione e riabilitazione sicuramente più complesso, per
i vari attori coinvolti e per i livelli di coordinamento richiesti, di
quello nosocomiale; le problematiche della non autosufficienza,
una vera emergenza per il nostro paese, non ricevono alcuna
prospettiva di soluzione e il semplice richiamo alla necessità che
vengano trovati idonei sistemi di finanziamento rimane una
dichiarazione di principio assolutamente inadeguata; sono ben
altri infatti gli impegni che il Piano dovrebbe sollevare e
richiedere al Governo e Parlamento.
Per quanto riguarda l'altro drammatico problema relativo alle
disuguaglianze in termini di salute e di dotazioni strutturali che
caratterizzano le realtà regionali del centro sud, nulla viene detto
o proposto dal Piano per un loro concreto superamento; anche in
questo caso non si va oltre la semplice analisi del fenomeno. Le
parti sociali invece ed in primis le OOSS considerano questo
aspetto assolutamente preminente e ritengono che per porre fine
a questa nuova questione meridionale serva un nuovo patto tra
Stato e regioni; un patto che coinvolga le varie istituzioni del
paese poiché, come ampiamente dimostrato, le disuguaglianze
registrate nella attesa e nella qualità di vita dei singoli cittadini
sono dipendenti sia dalla insufficienza di quelle variabili
costituenti il cosiddetto capitale sociale ( istruzione, contesto
familiare, stili di vita, attività lavorativa) e sia dalla mancanza di
una rete di servizi di qualità a partire da quelli di assistenza
primaria e di prevenzione; questo nuovo patto deve farsi carico
di tali problematiche e deve potersi tradurre in un preciso
programma di intervento, adeguatamente finanziato e capace di
impegnare investimenti in conto capitale e per progetti che
colmino in tempi ragionevoli i gap attualmente esistenti.
Il Piano Sanitario nazionale dunque, qui brevemente analizzato in
alcuni degli aspetti principali si configura come un occasione
persa e come una colpevole rinuncia da parte del Governo ad
esercitare un potere di effettiva garanzia nei confronti dei
cittadini; questo è ancora più grave ora a seguito dell'avvenuta
approvazione dal parte del CdM del DDL del Ministro La Loggia di
Riforma del Titolo V della Costituzione che punta conferire alle

regioni potere esclusivo e non più concorrente in tema di scuola,
polizia locale e sanità.
Il progetto di devoluzione dell'attuale Governo è un ulteriore
elemento di destabilizzazione nei confronti dei principi di
eguaglianza ed equità di accesso alle prestazioni sociosanitarie
per tutti i cittadini. In caso di definitiva approvazione del testo di
modifica costituzionale infatti Il nostro sistema sanitario
universalistico, nato con tanta fatica dalla legge di Riforma
sanitaria 833/1978 e rafforzato dal D. Lgs 229/99, cesserebbe di
esistere per essere sostituito da tanti servizi sanitari per quante
sono le regioni; le disuguaglianze già attualmente
drammaticamente presenti si accentuerebbero e i cittadini
avrebbero cure differenziate in funzione della loro residenza e
quindi del proprio reddito perché inevitabilmente i cittadini più
abbienti nelle regioni del centro sud meno dotate di sevizi
pubblici di qualità farebbero ricorso al privato per avere le
prestazioni private.
Così in un sol colpo il governo si appresta a destrutturate il
sevizio pubblico e incentivare l'uso delle assicurazioni private; è
allora evidente che il federalismo introdotto nel nostro paese con
l'intento di rendere lo stato più vicino ai cittadini e
responsabilizzare gli amministratori pubblici nella gestione delle
risorse loro affidate, rischia di diventare invece un momento di
attacco alla coesione sociale e al senso di comune appartenenza
dei cittadini.
Per contrastare tale pericolosa tendenza il Piano Sanitario
avrebbe dovuto svolgere un ruolo attivo di riaffermazione dei
principi di universalità e di equità ma questo è totalmente
assente nel documento che pertanto risulta drammaticamente
privo di qualsiasi utilità
Roberto Polillo
Dirigente Medico
Ospedale Nuovo Regina Margherita Roma
Responsabile Settore "Politiche della salute"
Dipartimento Welfare CGIL Nazionale