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appunti sul piano sanitario nazionale 2003-2005
- Subject: appunti sul piano sanitario nazionale 2003-2005
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 21 Jun 2003 06:37:48 +0200
da fondazionedivittorio.it venerdi 6 giugno 2003 Il Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 Roberto Polillo, responsabile dipartimento salute della CGIL: obiettivi generici e senza strumenti adeguati. Il testo di Roberto Polillo, che è possibile scaricare in formato .pdf, seguendo il link in fondo alla pagina propone l'analisi del Piano Sanitario Nazionale 2003-2005. Il PSN, approvato dopo un lunghissimo iter, presenta innanzitutto politici di grande rilevanza: riguardano la ripartizione dei compiti tra Stato e Regioni e la definizione del livello di concertazione tra la parte pubblica e le organizzazioni sindacali. Quanto agli specifici contenuti, il giudizio sul PSN è negativo: "l documento da progetto che stabilisce tempi e metodi per il conseguimento di obiettivi" si è trasformato "in semplice documento di indirizzo e di linea culturale" che ha "totalmente vanificato la portata e la sua capacità di incidere effettivamente nella realtà del nostro paese." Il primo obiettivo del Piano, la riduzione delle liste di attesa, non contiene gli strumenti effettivi per garantire a tutti i cittadini i livelli di sussistenza concordati. Altrettanto generici gli strumenti indicati per realizzare l'obiettivo di creare e promuovere una rete di assistenza per anziani, malati cronici e disabili. Nulla, infine, viene proposto per superare le drammatiche disuguaglianza in termini di salute ed assistenza esistenti tra le strutture del Nord e quelle del Centro-Sud. Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 Il Piano Sanitario Nazionale ha trovato definitiva approvazione dopo più di una anno dalla sua prima approvazione in Consiglio dei Ministri; tale ritardo, che ha comportato una modifica del periodo di vigenza, ora riferito al 2003-2005, da un lato dimostra come il documento non fosse stato istruito in sintonia con gli altri soggetti istituzionali, in particolare la Conferenza delle regioni, implicati nella successiva valutazione del testo e dall'altro manifesta una scarsa attenzione al parere dei vari attori sociali tra cui le organizzazioni sindacali; del tutto insufficiente appare infatti il confronto avuto con queste ultime risalente a quasi un anno fa, mentre la correttezza istituzionale avrebbe richiesto l'acquisizione di un nuovo parere a fronte delle modifiche, di non scarso rilievo, introdotte nel documento stesso non ultimo il già citato mutato periodo di valenza temporale. Il lungo e tortuoso iter solleva dunque un duplice problema politico relativo tanto alla ripartizione di competenze tra Stato e alle Regioni determinata dal nuovo testo Costituzionale di riforma del Capo V e tanto alla definizione di un coerente ed efficace livello di concertazione tra parti sociali e parte pubblica. Nel merito del primo aspetto è innegabile che sia necessario indurre nelle regioni un atteggiamento più rispettoso delle competenze dello Stato relativamente alla definizione da parte di quest'ultimo di cogenti principi, anche se a carattere generale, riguardanti la tutela della salute; si deve richiamare infatti con forza quanto previsto dalla stessa Costituzione ( ART 117) in tema di determinazione esclusiva da parte dello Stato dei Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; le regioni infatti pur accettando, non senza resistenze, che tale competenza resti propria dello Stato, da un altro verso si mostrano contrariate che lo Stato centrale possa esercitare un effettivo controllo sulla reale esigibilità di tali livelli di prestazioni e che possa eventualmente intervenire in presenza di situazioni di manifesta violazione dei principi di universalità e di equità di accesso alle prestazioni stesse. E' necessario in tale senso ricordare che invece l'articolo 6 della legge Costituzionale n° 3 del 2001 di Modifica dell'articolo 120 del Capo V della Costituzione ha espressamente previsto che Il Governo può subentrare con poteri sostitutivi agli organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Il mantenimento dei Livelli essenziali dunque deve trovare una costante monitorizzazione da parte del Governo centrale che in caso di necessità deve predisporre piani di intervento diretto al fine di renderli effettivamente esigibili. Nel merito del secondo aspetto le parti sociali ed in primis le OOSS hanno espresso al Ministro della salute che il livello di interlocuzione con la parte pubblica debba avvenire a tutti i livelli di discussione e quindi anche in sede di confronto tra Stato e regioni; in altre parole al fine di rendere effettiva la pratica del confronto non è accettabile che le osservazioni delle parti sociali vengano recepite su un testo passibile di essere emendato e modificato sostanzialmente in sede di confronto tre Governo e regioni; in questo caso è del tutto evidente come l'acquisizione di un parere non possieda nessun valore di effettivo confronto tra le parti ma divenga una semplice formalità procedurale. Per superare tale situazione è allora indispensabile istituire in ambito di Conferenza stato regioni una sede di confronto negoziale triangolare che abbia effettivi poteri e che non rimandi ad ulteriori passaggi. Premesse tali considerazioni di carattere generale, entrando nel merito di quanto previsto dal PSN, il giudizio complessivo sul provvedimento è sostanzialmente negativo; è del tutto evidente infatti che la scelta di trasformare il documento da progetto che stabilisce tempi e metodi per il conseguimento di obiettivi in semplice documento di indirizzo e di linea culturale ne abbia totalmente vanificato la portata e la sua capacità di incidere effettivamente nella realtà del nostro paese. In mancanza infatti di precisi target ed outcomes di salute da raggiungere nell'arco di vigenza del PSN stesso l'analisi, anche condivisibile, delle condizioni e problematiche sanitarie del nostro paese in essa contenuta, risulta un semplice esercizio accademico; non è certo questa la funzione che un Piano deve avere a fronte poi delle forti disparità che caratterizzano ancora le diverse realtà regionali e che con il progredire di un sistema federale sempre più competitivo, tendono ad aumentare. Nel merito dei progetti contenuti nel piano, per quanto concerne il primo di essi "Attuare, monitorare ed aggiornare l'accordo sui livelli essenziali ed appropriati di assistenza e ridurre le liste di attesa" è innegabile che, nonostante vengano indicati ben 6 obiettivi strategici per la sua realizzazione, gli aspetti preminenti siano in realtà quelli di natura economico finanziaria espressi in termini di equilibrio tra risorse disponibili e costi effettivi e quelli di un semplice monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza, (da attuarsi tramite indicatori che operino in modo esaustivo a tutti e tre i livelli di verifica (ospedaliero, territoriale e ambiente di lavoro). Non è previsto nessuno strumento che renda invece possibile, una volta monitorati i tempi di attesa, intervenire per garantire a tutti i cittadini in ogni realtà regionale il raggiungimento, in termini di reale accesso alle prestazioni, del livello assistenziale concordato.L' impegno dello Stato è infatti limitato a quello assai generico e privo di efficacia di attivare tutte le possibili azioni capaci di garantire ai cittadini tempi di attesa appropriati alla loro obiettiva esigenza di salute, anche sulla base delle indicazioni presenti nell'Accordo Stato Regioni 11 luglio 2002 senza tuttavia indicarne nessuna che sia realmente efficace. Non vi è dunque alcuna definizione di obiettivi da conseguire nell'arco di vigenza del Piano né viene fatto alcun cenno alla competenze dello Stato e all'obbligo costituzionale di intervenire, in caso di necessità, con propri poteri sostitutivi. Per quanto riguarda i progetti "promuovere una rete integrata di servizi sanitari e sociali per l'assistenza ai malati cronici, agli anziani e ai disabili" e "promuovere il territorio quale primaria sede di assistenza e di governo dei percorsi sanitari e socio sanitari", di valenza non certo minore, i contenuti anche in questo caso non soltanto sono assolutamente generici, ma anzi fanno registrare una vera regressione essendo sparito dal Piano anche il termine distretto socio sanitario sostituito da quello esclusivamente topografico e semanticamente neutro di territorio; il passo indietro è in questo caso clamoroso essendo ormai universalmente riconosciuto che il principale problema del nostro Servizio sanitario, ma non solo del nostro, è quello di riconvertire parte dell'assistenza ospedaliera in assistenza distrettuale, facendo riferimento con questo termine ad un sistema altamente integrato e polifunzionale di cura, prevenzione e riabilitazione sicuramente più complesso, per i vari attori coinvolti e per i livelli di coordinamento richiesti, di quello nosocomiale; le problematiche della non autosufficienza, una vera emergenza per il nostro paese, non ricevono alcuna prospettiva di soluzione e il semplice richiamo alla necessità che vengano trovati idonei sistemi di finanziamento rimane una dichiarazione di principio assolutamente inadeguata; sono ben altri infatti gli impegni che il Piano dovrebbe sollevare e richiedere al Governo e Parlamento. Per quanto riguarda l'altro drammatico problema relativo alle disuguaglianze in termini di salute e di dotazioni strutturali che caratterizzano le realtà regionali del centro sud, nulla viene detto o proposto dal Piano per un loro concreto superamento; anche in questo caso non si va oltre la semplice analisi del fenomeno. Le parti sociali invece ed in primis le OOSS considerano questo aspetto assolutamente preminente e ritengono che per porre fine a questa nuova questione meridionale serva un nuovo patto tra Stato e regioni; un patto che coinvolga le varie istituzioni del paese poiché, come ampiamente dimostrato, le disuguaglianze registrate nella attesa e nella qualità di vita dei singoli cittadini sono dipendenti sia dalla insufficienza di quelle variabili costituenti il cosiddetto capitale sociale ( istruzione, contesto familiare, stili di vita, attività lavorativa) e sia dalla mancanza di una rete di servizi di qualità a partire da quelli di assistenza primaria e di prevenzione; questo nuovo patto deve farsi carico di tali problematiche e deve potersi tradurre in un preciso programma di intervento, adeguatamente finanziato e capace di impegnare investimenti in conto capitale e per progetti che colmino in tempi ragionevoli i gap attualmente esistenti. Il Piano Sanitario nazionale dunque, qui brevemente analizzato in alcuni degli aspetti principali si configura come un occasione persa e come una colpevole rinuncia da parte del Governo ad esercitare un potere di effettiva garanzia nei confronti dei cittadini; questo è ancora più grave ora a seguito dell'avvenuta approvazione dal parte del CdM del DDL del Ministro La Loggia di Riforma del Titolo V della Costituzione che punta conferire alle regioni potere esclusivo e non più concorrente in tema di scuola, polizia locale e sanità. Il progetto di devoluzione dell'attuale Governo è un ulteriore elemento di destabilizzazione nei confronti dei principi di eguaglianza ed equità di accesso alle prestazioni sociosanitarie per tutti i cittadini. In caso di definitiva approvazione del testo di modifica costituzionale infatti Il nostro sistema sanitario universalistico, nato con tanta fatica dalla legge di Riforma sanitaria 833/1978 e rafforzato dal D. Lgs 229/99, cesserebbe di esistere per essere sostituito da tanti servizi sanitari per quante sono le regioni; le disuguaglianze già attualmente drammaticamente presenti si accentuerebbero e i cittadini avrebbero cure differenziate in funzione della loro residenza e quindi del proprio reddito perché inevitabilmente i cittadini più abbienti nelle regioni del centro sud meno dotate di sevizi pubblici di qualità farebbero ricorso al privato per avere le prestazioni private. Così in un sol colpo il governo si appresta a destrutturate il sevizio pubblico e incentivare l'uso delle assicurazioni private; è allora evidente che il federalismo introdotto nel nostro paese con l'intento di rendere lo stato più vicino ai cittadini e responsabilizzare gli amministratori pubblici nella gestione delle risorse loro affidate, rischia di diventare invece un momento di attacco alla coesione sociale e al senso di comune appartenenza dei cittadini. Per contrastare tale pericolosa tendenza il Piano Sanitario avrebbe dovuto svolgere un ruolo attivo di riaffermazione dei principi di universalità e di equità ma questo è totalmente assente nel documento che pertanto risulta drammaticamente privo di qualsiasi utilità Roberto Polillo Dirigente Medico Ospedale Nuovo Regina Margherita Roma Responsabile Settore "Politiche della salute" Dipartimento Welfare CGIL Nazionale
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