dentro matrix : ipotesi da un film



il manifesto - 08 Giugno 2003

Dentro Matrix nel deserto dell'irreale
Come sfuggire alle trappole della lettura filosofica dei film dei fratelli
Wachowski. I due episodi di Matrix sono la rappresentazione dei conflitti
del presente e parlano alla sinistra. Esercitare «resistenze» locali,
ribellarsi apertamente o allearsi con il capitale illuminato della rete?
Input e output Mentre la prima parte era dominata dalla spinta a uscire da
Matrix, la seconda chiarisce che la battaglia deve essere vinta all'interno

SLAVOJ ZIZEK

C'è qualcosa di intrinsecamente stupido e ingenuo nel prendere sul serio le
basi «filosofiche» della serie Matrix e nel discuterne le implicazioni: i
fratelli Wachowski ovviamente non sono dei filosofi, ma solo due persone che
flirtano superficialmente con alcune nozioni «postmoderne» e New Age
sfruttandole in modo confuso. Matrix è uno di quei film che funzionano come
una sorta di test di Rorschach, mettendo in moto il processo del
riconoscimento universalizzato, come il proverbiale dipinto di Dio che
sembra sempre osservare direttamente voi, da qualunque angolazione lo
guardiate: praticamente ogni orientamento sembra riconoscersi in esso. I
miei amici lacaniani mi dicono che gli autori devono avere letto Lacan; i
cultori della Scuola di Francoforte vedono in Matrix l'incarnazione
estrapolata della Kulturindustrie, la Sostanza sociale (del Capitale)
alienata-reificata prendere direttamente il sopravvento, colonizzare la
nostra stessa vita interiore usandola come fonte di energia; gli amanti
della New Age vedono in essa la fonte delle speculazioni su come il nostro
mondo sia solo un miraggio generato da una Mente globale incarnata nel World
Wide Web; per non parlare della presenza pervasiva di Jean Baudrillard...
Questa serie arriva fino alla Repubblica di Platone: Matrix non ripete forse
esattamente il dispositivo platonico della caverna (gli esseri umani come
prigionieri, legati al loro posto e costretti a guardare l'ombra di (quella
che loro erroneamente ritengono essere) la realtà - in breve, proprio la
posizione degli spettatori al cinema? Questa ricerca del contenuto
filosofico di Matrix è perciò una tentazione, una trappola da evitare.
Simili letture pseudo-sofisticate che proiettano nel film le raffinate
distinzioni concettuali filosofiche o psicanalitiche sono molto inferiori,
per effetto, a una immersione innocente come quella a cui ho assistito
vedendo Matrix in un cinema in Slovenia. Ho avuto l'opportunità unica di
sedere vicino allo spettatore ideale del film - vale a dire, un idiota. Un
uomo quasi trentenne alla mia destra era così immerso nel film che ha
disturbato per tutto il tempo gli altri spettatori con esclamazioni come
«Mio Dio, wow, dunque la realtà non esiste! Dunque siamo tutti marionette!»

Comunque, la cosa interessante è leggere i film della serie Matrix non in
quanto conterrebbero un discorso filosofico congruente ma in quanto rendono,
nelle loro stesse incongruenze, gli antagonismi della nostra difficile
situazione ideologica e sociale. Che cos'è, allora, Matrix? Semplicemente
ciò che Lacan ha chiamato «l'Altro», l'ordine simbolico virtuale, la rete
che struttura per noi la realtà. Questa dimensione del «grande Altro» è
quella della alienazione costitutiva del soggetto nell'ordine simbolico:
l'Altro tira i fili, il soggetto non parla, «è parlato» dalla struttura
simbolica. In breve, questo «Altro» è il nome della Sostanza sociale, di
tutto quello a causa di cui il soggetto non domina mai completamente gli
effetti dei suoi atti, ossia a causa di cui l'esito finale della sua
attività è sempre qualcosa d'altro rispetto a quello a cui egli mirava o che
aveva previsto. E le incongruenze della narrazione filmica rispecchiano
perfettamente le difficoltà che incontriamo nello spezzare le costrizioni
della sostanza sociale.

Quando Morpheus cerca di spiegare all'ancora perplesso Neo che cos'è Matrix,
egli la collega a un errore nella struttura dell'universo: «È tutta la vita
che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra nel mondo. Non sai
bene di che si tratta ma l'avverti, è un chiodo fisso nel cervello, da
diventarci matto». Qui il film incontra la sua incongruenza maggiore:
l'esperienza della mancanza/dell'incongruenza/dell'ostacolo dovrebbe
dimostrare che la realtà da noi vissuta come esperienza è un falso. Comunque
verso la fine del film Smith, l'agente di Matrix, dà una spiegazione
differente, molto più freudiana: «Sapevi che la prima Matrix è stata
progettata per essere un mondo umano perfetto? Un mondo in cui nessuno
soffrisse, in cui tutti fossero felici? È stato un disastro. Nessuno
accettava il programma. /.../ come specie, gli esseri umani definiscono la
loro realtà attraverso la sofferenza e la miseria».

L'imperfezione del nostro mondo è così allo stesso tempo il segno del suo
essere virtuale e il segno della suo essere reale. Si potrebbe sostenere con
successo che l'agente Smith (non dimentichiamolo: non un essere umano come
gli altri, ma la diretta incarnazione virtuale di Matrix - dell'Altro)
rappresenta la figura dell'analista dentro l'universo del film: la sua
lezione è che l'esperienza di un ostacolo insormontabile è la condizione
necessaria affinché noi umani percepiamo qualcosa come realtà - la realtà è
in ultima istanza ciò che resiste.

Legato a questa incongruenza è lo status ambiguo della liberazione
dell'umanità annunciata da Neo nell'ultima scena. L'intervento di Neo,
determina un «errore di sistema» in Matrix; allo stesso tempo, Neo si
rivolge a quanti sono ancora bloccati in Matrix come il Salvatore che gli
insegnerà come liberarsi dai vincoli di Matrix: loro riusciranno a superare
le leggi fisiche, piegare i metalli, librarsi nell'aria... Comunque, il
problema è che tutti questi «miracoli» sono possibili solo se restiamo
all'interno della realtà virtuale sostenuta da Matrix e pieghiamo o cambiamo
soltanto le sue regole: il nostro «vero» status è ancora quello di schiavi
di Matrix. Noi, per così dire, abbiamo solo più potere di cambiare le regole
della nostra prigione mentale - perciò, che ne dite di uscire da Matrix per
entrare nella «realtà reale», in cui siamo creature miserabili che abitano
la superficie distrutta della terra? Dunque la soluzione è forse una
strategia postmoderna di «resistenza» consistente nel «sovvertire» o
«spiazzare» continuamente il sistema del potere, o un tentativo più radicale
di annientarlo?

C'è un'altra scena memorabile in cui Neo deve scegliere tra la pillola rossa
e quella blu; la sua scelta è tra la Verità e il Piacere: tra un risveglio
traumatico nel Reale e il persistere nell'illusione regolata da Matrix. Egli
sceglie la Verità, al contrario del più spregevole personaggio del film,
l'informatore-agente di Matrix tra i ribelli che, nella scena memorabile del
dialogo con Smith, l'agente di Matrix, raccoglie con la forchetta un pezzo
di una bistecca succulenta e dice: «lo so che è solo un'illusione virtuale,
ma non me ne importa perché il suo gusto è vero». In breve, egli segue il
principio del piacere secondo cui è preferibile restare nell'illusione,
anche se sappiamo che è solo un'illusione.

Comunque, la scelta di Matrix non è così semplice: che cosa, esattamente,
offre Neo all'umanità alla fine del film? Non un risveglio diretto nel
«deserto del Reale», ma un libero fluttuare nella moltitudine di universi
virtuali: invece di essere semplicemente schiavi di Matrix, ci si può
liberare imparando a piegare le sue regole - si può cambiare le regole del
nostro universo fisico e così imparare a volare liberamente e violare altre
leggi fisiche. In breve, la scelta non è tra l'amara verità e l'illusione
piacevole, ma piuttosto tra i due modi dell'illusione: il traditore è
destinato all'illusione della nostra «realtà», dominata e manipolata da
Matrix, mentre Neo offre all'umanità l'esperienza dell'universo come campo
da gioco in cui possiamo giocare una moltitudine di giochi, passando
liberamente dall'uno all'altro, trasformando le regole che determinano la
nostra esperienza della realtà

In senso adorniano, bisognerebbe dire che queste incongruenze sono il
momento di verità del film: esse segnalano gli antagonismi della nostra
esperienza sociale tardo-capitalistica, antagonismi concernenti coppie
ontologiche fondamentali come realtà e dolore (realtà come ciò che disturba
il regno del principio di piacere), libertà e sistema (la libertà è
possibile solo all'interno del sistema che impedisce il suo pieno
dispiegamento). Comunque, la forza ultima del film va nondimeno individuata
a un livello diverso. L'impatto eccezionale del film è dovuto non tanto alla
sua tesi centrale (ciò che viviamo come realtà è una realtà virtuale
artificiale generata da «Matrix», mega-computer collegato direttamente alla
mente di tutti noi), ma nella sua immagine centrale dei milioni di esseri
umani che conducono una vita claustrofobica in una incubatrice piena
d'acqua, tenuti in vita per generare l'energia (l'elettricità) per Matrix.
Così quando (alcune delle) persone «si risvegliano» dalla loro immersione
nella realtà virtuale controllata da Matrix, questo risveglio non è
l'apertura nel grande spazio della realtà esterna, ma prima l'orribile
realizzazione di questa condizione di questa recinzione, dove ciascuno di
noi è in effetti solo un organismo fetale, immerso nel fluido prenatale...
Questa assoluta passività è la fantasia forclusa che sostiene la nostra
esperienza cosciente in quanto soggetti attivi, che si auto-determinano - è
la fantasia ultima e perversa, la nozione per cui noi siamo in ultima
analisi strumenti della jouissance dell'Altro (di Matrix) a cui viene
succhiata la nostra sostanza vitale come fossimo delle batterie. Questo ci
porta al vero enigma libidinale: perché Matrix ha bisogno dell'energia
umana? La soluzione puramente energetica è, naturalmente, insignificante:
Matrix avrebbe potuto facilmente trovare un'altra, più affidabile, fonte di
energia che non richiedesse la soluzione estremamente complessa della realtà
virtuale coordinata per milioni di unità umane. La sola risposta congrua è:
Matrix si nutre della jouissance umana. Così torniamo nuovamente alla
fondamentale tesi lacaniana che l'Altro stesso, lungi dall'essere una
macchina anonima, necessita dell'afflusso costante di jouissance. In questo
risiede la corretta intuizione di Matrix: nella sua giustapposizione dei due
aspetti della perversione - da una parte, la riduzione della realtà a un
dominio virtuale regolato da norme arbitrarie che possono essere sospese;
dall'altra, la verità nascosta di questa libertà, la riduzione del sogetto a
una passività ridotta completamente a strumento.

Matrix Reloaded propone - o piuttosto, gioca con - una serie di modi di
superare le incongruenze della puntata precedente. Ma nel fare questo, resta
intrappolato nelle sue nuove incongruenze. Il finale del film è aperto e
incerto non solo narrativamente, ma anche in relazione alla visione
dell'universo su cui poggia. Il tono fondamentale è quello di sospetti e
complicazioni ulteriori che rendono problematica la semplice e chiara
ideologia della liberazione da Matrix che sostiene la prima parte. Il
rituale estatico della comunità nella città sotterranea di Zion non può che
ricordare una cerimonia religiosa fondamentalista. Vengono gettati dei dubbi
sulle due figure profetiche cruciali. Le visioni di Morpheus sono vere, o è
un pazzo paranoico che impone spietatamente le sue allucinazioni? Neo non sa
nemmeno se può fidarsi dell'Oracolo, una donna che prevede il futuro: anche
lei sta manipolando Neo con le sue profezie? È una rappresentante
dell'aspetto positivo di Matrix, in contrasto con l'agente Smith che, nella
seconda parte, si trasforma in un eccesso di Matrix, un virus impazzito che
cerca di non farsi distruggere moltiplicandosi? E che dire delle criptiche
affermazioni dell'Architetto di Matrix, colui che ha scritto il suo
software, il suo Dio? Egli informa Neo che in effetti sta vivendo nella
sesta versione aggiornata di Matrix: in ciasuna di esse è sorto un
salvatore, ma il suo tentativo di liberare l'umanità si è risolto in una
catastrofe di enormi proporzioni. Allora la ribellione di Neo, lungi
dall'essere un evento unico, è solo parte di un ciclo più grande di
turbamento e riparazione dell'Ordine? Verso la fine di Matrix Reloaded, ogni
cosa viene così messa in dubbio: la domanda non è solo se eventuali
rivoluzioni contro Matrix possano compiere ciò che esse propugnano o se
debbano finire in un'orgia di distruzione, ma piuttosto se esse non siano
messe in conto, se non addirittura pianificate, da Matrix. Allora, anche
coloro che sono liberati da Matrix sono in realtà liberi di fare una scelta?
La soluzione è rischiare comunque la ribellione aperta, rassegnarsi ai
giochi locali di «resistenza», restando all'interno di Matrix, o magari a
cimentarsi in una collaborazione inter-classista con le forze «positive» in
Matrix? È qui che finisce Matrix Reloaded: in una mancata «mappatura
cognitiva» che rispecchia perfettamente la triste condizione della Sinistra
odierna e la sua lotta contro il Sistema.

Una piega ulteriore è fornita proprio alla fine del film quando Neo, alzando
semplicemente la mano, ferma magicamente le perfide macchine simili a
calamari che attaccano gli umani. Come ha potuto fare questo nel «deserto
del reale», non in Matrix dove, naturalmente, egli può fare meraviglie,
congelare il corso del tempo, sconfiggere le leggi di gravità ecc.? Questa
incongruenza inspiegata rimanda alla soluzione che «tutto ciò che esiste è
generato da Matrix», che non c'è una realtà ultima? Sebbene tale tentazione
«postmoderna» - trovare una facile scappatoia dalle confusioni proclamando
che tutto ciò che esiste è la serie infinita di realtà virtuali che si
rispecchiano l'una nell'altra - sia da rigettare, c'è una intuizione
corretta in questo complicarsi della divisione pura e semplice tra la
«realtà reale» e l'universo generato da Matrix: anche se la battaglia si
svolge nella «realtà reale», lo scontro cruciale deve essere vinto in
Matrix. Questo è il motivo per cui bisogna (ri)entrare nel suo universo
fittizio virtuale. Se lo scontro fosse avvenuto solo nel «deserto del
reale», avremmo avuto l'ennesima noiosa distopia sulle rovine della lotta
dell'umanità contro le macchine cattive.

Per dirla nei termini della cara vecchia opposizione marxista
struttura/sovrastruttura: bisognerebbe tenere conto della irriducibile
dualità, da una parte, dei processi materiali socio-economici «oggettivi»
che avvengono nella realtà oltre che, dall'altra parte, del processo
politico-ideologico vero e proprio. E se il dominio della politica fosse
intrinsecamente «sterile», un teatro delle ombre, ma nondimeno cruciale
nella trasformazione della realtà? Così, anche se l'economia è la vera sede
e la politica è un teatro delle ombre, la battaglia principale va combattuta
nella politica e nell'ideologia. Si consideri la disintegrazione del potere
comunista alla fine degli anni `80: anche se l'evento principale è stato
l'effettiva perdita del potere statale da parte dei comunisti, la frattura
cruciale è avvenuta a un diverso livello: in quei magici momenti in qui,
sebbene formalmente i comunisti fossero ancora al potere, la gente
all'improvviso non ha più avuto paura e non ha più preso seriamente la
minaccia; così, anche se delle battaglie «reali» con la polizia
continuavano, tutti in qualche modo sapevano che «il gioco» era «finito»...
Il titolo Matrix Reloaded è così alquanto appropriato: se la prima parte era
dominata dalla spinta a uscire da Matrix, a liberarsi dalla sua presa, la
seconda parte chiarisce che la battaglia deve essere vinta all'interno di
Matrix, che bisogna tornare ad essa.

In Matrix Reloaded, i fratelli Wachowski hanno coscientemente sollevato
queste questioni, mettendoci davanti a tutte le complicazioni e alle
confusioni del processo di liberazione. Così facendo si sono messi in una
situazione difficile: ora hanno davanti a sé un compito quasi impossibile.
Per riuscire, la futura terza parte, The Matrix Revolutions, dovrà produrre
niente meno che la risposta appropriata ai dilemmi della politica
rivoluzionaria oggi, un modello per l'atto politico che la Sinistra sta
disperatamente cercando.