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i conti economici dell'intifada
- Subject: i conti economici dell'intifada
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 17 Jun 2003 06:59:53 +0200
da il sole24ore Giovedì 05 Giugno 2003 L'Intifada ha strangolato l'economia GERUSALEMME - Le ragioni economiche della pace in Medio Oriente sono brutali e sanguinose quasi quanto quelle politiche e territoriali. Anzi sono strettamente connesse. Lo stesso primo ministro israeliano Ariel Sharon ha definito la road map un «male necessario» per il legame tra il problema della sicurezza e la grave recessione economica in atto nello Stato ebraico. Sull'altro fronte è stato il disastro economico nei Territori a convincere Arafat che in questo momento era necessario fare un passo indietro lasciando via libera al premier Abu Mazen. Iniziata nel settembre del 2000, la seconda Intifada è costata all'economia palestinese, secondo una ricerca commissionata dal Governo ebraico, 10 miliardi di dollari, il 40% di disoccupati tra la popolazione attiva e il 60% degli arabi costretti a vivere degli aiuti internazionali, con meno di due dollari al giorno a testa. La lunga chiusura a intermittenza delle frontiere ai lavoratori palestinesi ha in pratica strangolato l'economia palestinese, oggi, e anche nel futuro immediato, ultra-dipendente da quella israeliana. Prima che divampasse la rivolta palestinese la principale fonte di finanziamento del l'Autorità nazionale palestinese era l'Unione europea: 180 milioni di dollari l'anno a cui si sono aggiunti crediti per 215 milioni di dollari erogati dalla Bei, la Banca europea d'investimento, negli anni tra il '94 e il 98. Con la seconda Intifada nelle casse di Yasser Arafat sono arrivati nuovi consistenti fondi provenienti dai Paesi arabi. Questi soldi però non bastano a far marciare un embrione di Stato disintegrato dalle offensive militari israeliane e dalla corruzione interna. E questo nonostante che oltre ai normali finanziamenti la Ue abbia versato 10 milioni di euro al mese per pagare gli stipendi dell'amministrazione, denaro proveniente da un fondo istituito per rispondere alle necessità palestinesi nel caso Israele fosse venuto meno ai suoi doveri: Israele, secondo gli accordi del '94 raccoglie le tasse tra la popolazione dei Territori occupati ma per un lungo periodo ha bloccato la restituzione di questi fondi ai palestinesi, circa mezzo miliardo di dollari l'anno. L'ex generale Sharon in quarant'anni di politica in prima linea non aveva mai riservato molta attenzione all'economia ma oggi è obbligato a farlo: Israele è da due anni in crisi economica con una crescita prevista nel 2003 inferiore all'1% (ma nel primo trimestre il Pil ha fatto +2,5%), mentre gli israeliani, che pure hanno un reddito medio pro capite di 16mila dollari l'anno contro i 1000-1500 dei palestinesi, vedono evaporare il loro elevato standard di vita. Il piano di austerità del ministro delle Finanze Benjamin Netanyahu, arcirivale di Sharon, il 27 maggio ha spinto in piazza migliaia di persone infuriate contro i tagli agli stipendi nella pubblica amministrazione e alle pensioni, una novità dolorosa e inaspettata per il solitamente generoso welfare state ebraico. L'Intifada ha colpito duro anche l'economia israeliana (perdite per 3 miliardi di dollari nel 2002) che pure vanta oltre un centinaio di società quotate a Wall Street e un settore hi-tech di primissimo livello. Si è sempre detto che i palestinesi senza i posti di lavoro in Israele non possono sopravvivere: ma è anche vero che industrie israeliane di base, dal cemento all'alimentare, hanno un mercato di esportazione diretto nei Territori. Una dopo l'altra centinaia di imprese hanno dovuto chiudere e la disoccupazione israeliana sfiora ormai l'11 per cento. Ma per Israele la ferita più sanguinosa sul piano economico è stato il crollo degli investimenti stranieri, passati da 11,5 miliardi di dollari nel 2000 a 3,8 l'anno scorso. Più aumenta l'insicurezza e più gli investitori stanno alla larga dallo Stato ebraico che pure conta su due sponde importanti: l'Europa, dove esporta il 30% delle merci, e la diaspora americana, cinque milioni di ebrei che ogni anno inviano circa 2 miliardi di dollari da aggiungere ai 3 miliardi di aiuti ufficiali erogati da Washington. Quali sono i vantaggi economici della pace per l'Europa che è stata per tanti anni anche il suo maggiore finanziatore? Troppe volte evocati, descritti e rimasti nel libro dei sogni di un Nuovo Medio Oriente per non sembrare, oggi, quasi ovvi. Ma due aspetti sono interessanti da sottolineare. Il primo riguarda i grandi progetti nel campo energetico e delle infrastrutture: pipeline, autostrade, canali di irrigazione, servizi pubblici, impianti industriali, quasi del tutto inesistenti nel territorio palestinese. Il secondo è l'investimento sul futuro: nel 2000 la popolazione totale in Israele-Palestina era di 9,3 milioni - 6,3 in Israele (un milione gli arabi) e 3 milioni in Cisgiordania e Gaza - concentrati su un territorio poco più grande della Sicilia. Nel 2010 saranno circa 12 milioni e 23 milioni nel 2050 quando, con gli attuali tassi di fecondità nei Territori, la popolazione araba pareggerà quella ebraica. La demografia è l'arma più sottile e incontrollabile di questo conflitto ma anche la risorsa più evidente del piano americano per avere due Stati e un solo mercato. ALBERTO NEGRI
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