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sotware e fattore umano
- Subject: sotware e fattore umano
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 20 Apr 2003 07:53:07 +0200
il manifesto - 13 Aprile 2003 I computer del dottor Rumsfeld FRANCO CARLINI La superpotenza scoperta in ritardo F. C. I computer del dottor Rumsfeld Le «promesse» della guerra tecnologica e «pulita» non sono state mantenute. Colpa del software inaffidabile, certo, ma soprattutto della perenne insostituibilità del «fattore umano» nell'interpretazione dei dati FRANCO CARLINI Dunque aveva ragione Donald Rumsfeld con la sua guerra leggera, flessibile e soprattutto altamente tecnologica? Sono molti i commentatori che lo suggeriscono, una volta conquistata Baghdad. La vittoria del ministro della Difesa sarebbe avvenuta contro le visioni più tradizionali che erano state sostenute da Colin Powell e dal Pentagono. Questi sostenevano che per vincere una guerra occorresse dispiegare almeno a 500 mila uomini, contro i «soli» 250 mila infine decisi. L'andamento della guerra sembra avere dato ragione a Rumsfeld. A pensarla così non è solo lo stalinismo congenito di Giuliano Ferrara, estatico ammiratore della forza e del fine che giustifica i mezzi, ma lo sostiene anche, tra gli altri il Christian Science Monitor: «War boosts Rumsfeld's vision of an agile military» , mentre il New York Post inneggia alla «New Age Of Warfare».Ma qui occorre capire, sfuggendo all'enfasi e alla propaganda. Il modello Rumsfeld si presenta come il prototipo delle guerra del ventunesimo secolo, asimmetrica e globale; è il supporto e lo strumento operativo delle teorie di dominio globale e di intervento continuo avanzate dai conservatori statunitensi in questi anni (che erano tutte note e publiche, che sono state analizzate e spiegate in dettaglio da pochi giornali come questo, e che oggi gli improvvisati commentatori italiani rivendono come se le avessero scoperte ieri). E' una nuova dottrina militare, basata sulla velocità dei movimenti, sulla dotazione di alta tecnologia di ogni unità e di conseguenza su una capacità di raccolta, gestione e trattamento dell'informazione mai vista in precedenza. Tuttavia sembra presto per dire che la guerra in Iraq ha dimostrato la superiorità di tale modello su quelli tradizionali perché la debolezza dell'esercito di Saddam - che la Cia e Rumsfeld certo ben conoscevano - rendeva comunque facile la vittoria, quale che fosse la strategia operativa scelta. Il modello tuttavia ha alcune caratteristiche che sollecitano la riflessione sia in vista delle prossime guerre americane, sia perché pone un problema più generale, che riguarda le virtù e i limiti delle tecnologie nella gestione di sistemi complessi. Da questo punto di vista Rumsfeld non ha inventato nulla ma solo applicato alla guerra e alla macchina militare le teorie e le esperienze già sviluppate nel mondo civile. In sostanza usare computer e reti per una maggiore flessibilità e dunque una maggiore efficienza nel raggiungimento degli obbiettivi. Classicamente, nel mondo dei beni materiali, l'efficienza si misura come rapporto tra la quantità di merce prodotta (per esempio il numero di bulloni) e le risorse impiegate (capitale fisso, incorporato nelle macchine utensili, più forza lavoro). Come scrissero molti anni fa i primi studiosi della robotica industriale, i robot non si ammalano, non vanno al gabinetto e non fanno mai sciopero; non vanno in ferie e possono operare 24 ore su 24. Ma in quel caso si trattava solo della sostituzione del lavoro umano da parte di macchine automatizzate, all'interno di un ciclo produttivo ancora classicamente fordista. La vera novità che le tecnologie hanno reso possibile è la capacità di mutare le prestazioni del sistema al variare delle condizioni esterne: se i frigoriferi vendibili sul mercato sono grosso modo sempre gli stessi, si può lavorare alla vecchia maniera, ma se ci sono forti stagionalità nella domanda o addirittura variabilità non prevedibili ragionevolmente, allora la fabbrica vecchio tipo diventa un ingombro e un costo eccessivo. Cambiano i gusti dei giovani riguardo all'abbigliamento? Ecco che Zara, gigante spagnolo dell'abbigliamento, è in grado di disegnare e produrre nuovi modelli nel giro di un mese e di farli arrivare nelle vetrine di tutta Europa. In maniera ancora più spinta questa è la regola della casa di computer americana Dell, un modello ormai studiatissimo: alla Dell non esistono negozi né catene di distribuzione perché quei computer si possono ordinare solo via Internet, specificando tutte le varianti desiderate (quale processore, quanta memoria di lavoro, quanto grande il disco fisso, quale monitor eccetera). Inserito l'ordine, il sistema lo passa alle fabbriche e il tutto viene recapitato a domicilio nel giro di 15 giorni. Una tale flessibilità non sarebbe possibile senza le tecnologie dell'informazione. Ma perché tutto il sistema funzioni davvero occorrono due cose. La prima è che esso sia alimentato da informazioni tempestive e affidabili. La seconda, per usare una metafora puramente meccanica, è che tutto il sistema giri come un orologio, senza perdere un colpo. Queste condizioni non si realizzano quasi mai nel mondo reale. Nel settembre del 1999, per esempio, un terremoto a Taiwan, dove si fabbricano la gran parte dei microprocessori per computer, bloccò l'erogazione dell'energia elettrica alle fonderie dei chips per tre giorni e come risultato la Dell, abituata a lavorare con scorte di magazzino per una settimana, si ritrovò ferma. E in generale l'affidabilità del software continua a essere una chimera: anche in programmi che sono sul mercato da diversi anni continuano a emergere nuovi difetti (bug) e non per caso Bill Gates ha chiamato tutta la sua azienda a moltiplicare le energie e a rimodellare la propria struttura organizzativa per essere in grado, infine, di vendere del software affidabile. Nel caso della guerra in Iraq i cardini del modello si basavano su: (a) bombe dotate di intelligenza (guida laser o satellitare) capaci di centrare solo quel tale bersaglio, minimizzando le morti civili. (b) veloci marines che corrono verso la meta, senza attendere i rifornimenti; questa non è una grande novità teorica, trattandosi soltanto della versione riverniciata dell'antico motto napoleonico che «l'entendance suivrà». (c) il network informativo garantisce la corretta e tempestiva identificazione di tutti gli oggetti sul campo, distinguendo tra amico e nemico e fornendo la possibilità di cambiare obbiettivo al variare dei movimenti. Quasi nulla di tutto ciò si è realizzato: le bombe intelligenti hanno dimostrato di essere in grado di arrivare sul bersaglio, ma in diversi casi questo era stato identificato in maniera scorretta e comunque da un certo punto in poi, è stata scelta la strada dei bombardamenti massicci più tradizionali (del resto non c'erano più veri obbiettivi militari da colpire chirurgicamente); le vittime da fuoco amico sono state elevate, confermando che l'identificazione degli oggetti era grossolana e erronea; i missili antimissili Patriot che avevano registrato vistosi insuccessi nella prima guerra del Golfo hanno continuato a sbagliare, sia pure in misura minore (ma di missili l'Iraq ne ha lanciati molto pochi, questa volta). Esistono per questi insuccessi due spiegazioni possibili, non necessariamente alternative. La prima suona così: l'idea era giusta, ma le tecnologie non sono ancora state messe a punto. Oppure: c'è qualcosa di sbagliato nell'idea stessa di una guerra tutta tecnologica e tutta computerizzata. Che le tecnologie non fossero ancora pienamente armoniche è vero e del resto i giornalisti al seguito, anche quelli incorporati nei reparti, hanno raccolto molte testimonianze e lamentele al riguardo. Non lo hanno fatto i nostri corrispondenti in giubbotto e occhiali da sole, ma lo hanno scritto invece diversi reporter americani: tra un reparto e l'altro ci parliamo ancora con il radiotelefono a corto raggio, altro che coordinamento e mappe al computer. Ed effettivamente questa guerra è stata anche una gigantesca sperimentazione dal vivo (e purtroppo anche «dal morto») di sistemi che verranno messi a punto in futuro, traendo lezione dagli insuccessi. Tuttavia rimane la questione di fondo: quanto di automatico e di informatico e quanto di umano ci sia nella gestione dei fenomeni complessi e quale sia la migliore miscela. A ben guardare è lo scoglio su cui si sono impantanate altre ricerche molto più pacifiche, come quelle rivolte alla comprensione del linguaggio naturale da parte delle macchine o come le infinite sperimentazioni tecnologiche applicate alle aziende in mercati mutevoli. Senza disprezzare le tecnologie, ci si è resi conto che il fattore umano è tuttora insuperabile: il consumatore e la sua psicologia restano oggetti misteriosi (altro che operatori razionali) e non c'è sistema di Crm (gestione delle relazioni con i clienti) in grado di prevederne i movimenti erratici. Quanto ai dipendenti, le aziende più avvedute si sono rese conto che senza la loro partecipazione intelligente e la loro creatività e flessibilità i computer poco possono. Da qui la tendenza moderna a considerare le risorse umane il più importante dei patrimoni aziendali.Questo è esattamente quello che non avviene negli eserciti: le interviste ai militari sul campo, soldati ben dotati di ogni attrezzo, ma ignoranti in estremo grado riguardo al mondo, all'Iraq e al loro stesso paese, sono all'origine degli eccidi ai posti di blocco, delle violenze anche gratuite contro innocenti, poi rivoltate in rivoltanti immagini tipo «soldatessa inglese che medica bambina ustionata» (ma chi l'aveva ustionata, e perché?).
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