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sostenibilita'e diritti di cittadinanza
- Subject: sostenibilita'e diritti di cittadinanza
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 13 Apr 2003 09:57:31 +0200
da fondazione di vittorio 5 - 4 - 2003 Sostenibilità e diritti di cittadinanza Per passare dalla quantità alla qualità a cura di Gianni Mattioli (Sconvolgimento climatico o accesso ineguale alle risorse del pianeta rappresentano oggi un rischio perentorio così grave quanto lontano, sin qui, dalla consapevolezza di chi costruisce politiche economiche. Oggi, tuttavia, sul controllo delle risorse - a partire dall'energia - il conflitto diviene esplicito e costringe ad interrogarsi su quale futuro sia possibile senza una riconsiderazione del modello di funzionamento delle società avanzate. Ma questo modello è già messo in discussione, dal suo interno, dallo sconvolgimento che l'aumento incessante di produttività indotto dalla innovazione tecnologica apporta ai settori produttivi e, di conseguenza, all 'occupazione. L'industria della produzione di qualità della vita - a partire dalla realizzazione piena per tutti i cittadini dei diritti di cittadinanza (la salute, l'abitare, la città, la mobilità, l'ambiente, ecc.) - apre una prospettiva di società sostenibile su cui si può costruire una alleanza tra cittadini.) Premessa L'obiettivo di dare unità alle forze di opposizione al centro-destra deve essere pensato alla luce, innanzi tutto, della evidente inadeguatezza delle culture - pur storicamente importanti - delle singole forze di centrosinistra ad interpretare questa società complessa, ma anche alla luce delle esperienze fallimentari del recente passato, quando cioè si è rinunciato al tentativo di partire dalla costruzione di linee programmatiche comuni: la alleanza con Rifondazione Comunista, ad esempio, uscita dalla "desistenza" del '96, non ha retto alla prova di governo e, successivamente, alle elezioni politiche del 2001, non si è riusciti neppure a pervenire ad un accordo elettorale con le forze esterne all'Ulivo. Ma anche l'attuale incapacità della coalizione a trovare forme unitarie di rappresentanza non va forse ricondotta al fatto che sin qui ci si è sempre e solo limitati a prendere atto dell'eterogeneità di posizioni ideologiche e programmatiche oggi presenti nella coalizione? Ciò suggerisce, a quattro anni dalle prossime elezioni, di lavorare invece con convinzione e con intelligenza ad un confronto che permetta di individuare alcuni punti di convergenza programmatica, che possano offrire il supporto all'unità per una coalizione di centro sinistra. Ingenuità, utopia? Percorso obbligato, piuttosto, se non si vuole rimanere agli appassionati, quanto velleitari proclami. E, d'altra parte, è superfluo forse dire che sarebbe difficile oggi rappresentare in modo non generico l'identità programmatica delle forze di centrosinistra in Italia: quali scenari disegnano per il futuro dei cittadini? Quali riforme - al di là del buon governo - costituiscono l'asse portante di questi scenari? Si tratta di una domanda che si pose subito, all 'indomani del conseguimento da parte del primo governo dell'Ulivo dell' obiettivo di portare l'Italia nell'Europa degli accordi di Maastricht: si è conseguito il risanamento della finanza pubblica, ora le riforme. Ma questo disegno non venne: ci furono pezzi di politiche frammentari, anche in contrasto tra loro e perciò senza un tentativo di spiegare all'opinione pubblica, agli elettori, la strategia generale, che non c'era. Da qui la perdita del senso di appartenenza alla costruzione di un progetto comune in cui fosse intelligibile la ricomposizione di bisogni ed interessi diversi intorno ad una chiara finalità. Così matura la difficoltà - e la disaffezione - a definirsi di destra o di sinistra e prevale l' individualismo. Si tratta dunque di individuare alcuni punti di partenza semplici e chiari e con coerenza svilupparne le implicazioni: su ciò basare poi le proposte di programma. Può essere utile partire proprio dall'idea di riformismo: anche il centro-destra parla di riformismo e dunque è necessario esplicitare con chiarezza quale prospettiva di riforme caratterizza invece le forze del centro-sinistra e la loro unità. Innanzi tutto, queste forze hanno in comune l'aspirazione a produrre nella società un cambiamento e precisamente il cambiamento che realizza una società più giusta, nella quale sono resi effettivi i diritti di cittadinanza e garantite a tutti pari opportunità. Non si tratta dunque di confrontarsi sul fatto se la rottura del capitalismo debba costituire l' alternativa immediata o meno, ma individuare alcune grandi riforme di alto profilo, misurate sulla realtà della società rappresentata nella sua complessità, e nel contesto dell'Europa e della globalizzazione. Società complessa significa avere ben presente l'articolazione della struttura sociale - certo non riducibile a contrapposizioni semplificate -, ma anche il crollo demografico e l'invecchiamento della popolazione e significa avere ben presenti, esplicitare ed affrontare le ragioni del successo della destra: fiscalità, stabilità economica, paura dell'incertezza, immigrazione. Ma società complessa significa anche sconvolgimento climatico, controllo delle risorse del pianeta, in primo luogo dell'energia. Dunque questione ambientale, sostenibilità. In questo quadro vogliamo far vedere il ruolo centrale che possono svolgere le tematiche dei diritti di cittadinanza e della sostenibilità, intesa non solo come vincolo, ma anche come opportunità positiva. Diritti di cittadinanza e sostenibilità rappresentano un binomio che unisce una forte caratterizzazione etica e sociale con una lettura della realtà che la cultura ambientalista ha portato a straordinaria concretezza, "vestendo" la sostenibilità ecologica di quegli elementi inscindibili di equità sociale, di inclusione maggiore nei diritti di cittadinanza e di partecipazione per tutti quelli che oggi ne sono emarginati ed esclusi . Non ci occupiamo dunque di tutto, ma di ciò su cui ci sembra di avere qualche cosa di utile da dire. Diritti di cittadinanza Diritti di cittadinanza: ma nella loro interezza, secondo la concezione che da ultimo ha ispirato, pur con lacune ed ambiguità, la scrittura della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 2000. Non basta cioè elencare diritti politici e civili: di pari importanza sono i diritti sociali ed economici - la salute, l'educazione, il lavoro, l'abitare - veri e propri prerequisiti della democrazia, senza i quali democrazia e libertà restano infingimenti. Si tratta di un insieme di diritti inscindibili e questo va ribadito con forza in un tempo in cui la giusta enfasi con cui si proclama il valore della libertà non sempre si accompagna ad altrettanta attenzione alle condizioni che permettono ad essa di essere libertà per tutti. Quanto si è convinti dell'urgenza etica di realizzare diritti di cittadinanza e pari opportunità? Può sembrare superfluo soffermarsi su questo punto e tuttavia le risposte che vengono date su questo punto sono spesso sfuggenti, come se il fatto che siano venuti meno il bipolarismo e i blocchi contrapposti avesse superato il fatto che sono tuttora presenti strutture sociali profondamente ingiuste: quanti ritengono, ad esempio, che il solo fatto di nscere alla comunità dei cittadini dia, per ciò stesso, diritto pieno a pari opportunità? Un accesso più giusto alle opportunità - in particolare, all'istruzione - è ciò che può cambiare la struttura della società. La condizione della sostenibilità La condizione della sostenibilità si presenta come il limite oggettivo con cui si devono fare i conti, sia dal punto di vista della nostra condizione di vita nel pianeta, sia dal punto di vista delle implicazioni stringenti che ne derivano per l'organizzazione sociale, per l'economia, per la politica. Queste implicazioni stringenti confliggono oggi con la globalizzazione, quale sinora noi la conosciamo: la parola conflitto non ha significato di metafora! L'Europa, in forma incerta e frammentaria, esprime tuttavia la possibilità di opporsi alla globalizzazione senza governo ed è dunque necessario lavorare alla costruzione di proposte che possano dare concretezza alla necessità di disegnare modelli di cittadinanza sostenibili. Per molto tempo la questione ambientale è stata confinata in un ambito di motivazioni etiche e culturali, permettendo all'opinione pubblica, al decisore politico, di ignorarne l'urgenza, nonostante che già trenta anni fa le curve dei limiti dello sviluppo disegnate dal rapporto del Mit avessero messo in evidenza la drammatica necessità di riconsiderare il modello di sviluppo dei paesi "avanzati". In questo ultimo anno, tuttavia, alcuni fatti eclatanti hanno imposto il problema della sostenibilità in modo perentorio, a partire da questioni, certo ben note, ma delle quali non si era colta appieno la pericolosità. L' effetto serra. Il fenomeno si manifesta oggi in tutta la sua gravità, non come vaga previsione nel futuro di aumento della temperatura al suolo del pianeta, ma come sconvolgimento attuale della stabilità dei cicli climatici che dà luogo ad eventi meteorologici estremi, quanto imprevedibili. Per recuperare la stabilità dei cicli è necessario intervenire subito, in particolare sul sistema di produzione ed uso dell'energia. L'11 settembre ha messo in evidenza quanto sia odiata la cittadella dei paesi ricchi, la cui ricchezza si fonda in particolare su meccanismi di spoliazione delle risorse fisiche del pianeta nei confronti del resto del mondo: può essere stabile un mondo in cui, ad esempio, 600 milioni di abitanti (noi) consumano tanta energia quanto gli altri 5 miliardi e mezzo di abitanti? La guerra permanente appare così la condizione inevitabile. Ma, a prescindere dalla iniquità della distribuzione, ciò che emerge ormai in forma ineludibile in questo settore centrale dell'energia è il limite della risorsa petrolio: le previsioni oscillano ormai tra il 2010 e ed il 2040 nel collocare il "picco" della produzione globale, al di là della quale la crescita del prezzo del barile ed i tentativi di accaparramento della risorsa diverranno inarrestabili. Dunque la questione dello sviluppo sostenibile, della società sostenibile non riguarda più soltanto l'alto profilo morale dei nostri doveri nei confronti delle generazioni future, ma riguarda noi oggi e si riassume nell' imperativo di confrontare i nostri modelli di sviluppo dell'economia , del benessere, dell'occupazione con la loro compatibilità a fronte di paesi in crescita accelerata, Cina o India per esempio: i nostri modelli sono praticabili da un miliardo di cinesi? Non sembra esagerato affermare che non ci sia oggi consapevolezza dell' enormità delle sfide che sono dinanzi a noi. In particolare, non vi è oggi classe politica o culturale che ponga con chiarezza all'ordine del giorno dei cittadini di un paese ricco la questione dei tagli necessari a fronte di sistemi di spreco o, comunque, di consumi insostenibili. Stravolgimento pericoloso dell'ecosistema planetario, regole pericolose di distribuzione delle risorse impongono dunque il cambiamento e tuttavia una necessità di cambiamento è già presente da tempo a fronte di una vera crisi strutturale del nostro sistema produttivo. L'analisi che Delors disegnava nelle pagine del Libro Bianco del 1993, quando in tutti i paesi industrializzati si profilava lo scenario della disoccupazione legata all' aumento incessante di produttività del lavoro indotta dall'innovazione tecnologica, già approdava alla conclusione che sarebbe stato illusorio aspettarsi dai settori produttivi tradizionali nuovi processi di espansione, che potevano venire invece dalla fabbrica di qualità della vita, dalla sostenibilità appunto. Oggi sappiamo che, nella prospettiva del futuro, questa problematica - innovazione tecnologica/sostituzione del lavoro - è destinata a caratterizzare qualsiasi campo delle produzioni cosiddette "mature", tanto da rendere necessario comunque rifondare alcuni concetti, ruoli, definizioni, che molti sembrano ritenere invece "invarianti": non è così e bisogna attrezzarsi al cambiamento. Quale proposta, allora? Si tratta di mettere a confronto strategie con elementi di fatto. Da una parte vi sono gli indirizzi - ovviamente diversi tra forze di centro-destra e di centro-sinistra - che comunque puntano al rilancio dei settori produttivi esistenti: questi indirizzi incontrano difficoltà, sia che si tratti di rilancio delle opere pubbliche che dei consumi individuali. Difficile infatti riproporre cementificazioni in un paese che ha già oltre 400.000 Km di strade extraurbane e 5 milioni di alloggi sfitti. Lo sviluppo in questi settori non potrà essere quantitativo, ma richiede piuttosto interventi di razionalizzazione intelligente. Difficile anche aspettarsi risposte risolutive dall'espansione dei consumi individuali, delle famiglie, per i motivi prima ricordati. E' qui che si profila la prospettiva del soddisfacimento dei diritti di cittadinanza e della salvaguardia ambientale nella valenza, non solo di scelta etica e politica, ma di straordinaria opportunità economica, verso la quale promuovere lo spostamento di parte significativa del sistema produttivo. Ingenuità? Utopia? In realtà questo spostamento è già in atto se è vero che parte consistente della occupazione creata negli ultimi anni è venuta proprio dai servizi di cura alla persona, dalla riqualificazione edilizia ed urbana, dalla salvaguardia ambientale. Si tratta dunque di assumere questo indirizzo di politica economica, non certo come onnicomprensivo, ma come indirizzo importante, non più come elemento di nicchia legato a motivazioni puramente etico-politiche, ma come settore decisivo dell'economia, opportunamente attrezzato, ma non protetto. In questo modo, inoltre, che accompagna l'enunciazione dei diritti di cittadinanza al piano della loro realizzazione e alla concretezza anche economica della procedura per realizzarli, essi assumono il significato pieno di principi da realizzare attraverso un processo piuttosto che di proclamazioni massimalistiche e tutti sono chiamati alla responsabilità di una prospettiva comune. Gli strumenti per l'intervento Quali strutture? quali risorse economiche? quali alleanze? Il campo di interventi indicato riguarda la sanità, l'istruzione, la casa, la riqualificazione delle città e del territorio, la mobilità, la salvaguardia ambientale (aree protette, risorse idriche, difesa del suolo, rifiuti), l'energia, lo sviluppo e la produzione di tecnologie volte all' aumento della produttività delle risorse, la valorizzazione delle risorse locali. Come si vede, il campo che può essere preso in considerazione è molto ampio e si passa da veri e propri diritti di cittadinanza, costituzionalmente protetti, a servizi alla collettività, ad attività di sostegno per un' economia della sostenibilità. Lo spostamento di risorse finanziarie e di lavoro verso settori di "ben vivere" - salute, ambiente, città - non è certo una idea nuova, anzi da tempo si è articolata in proposte, disegni di legge, contributi alla legge finanziaria. Lo schema generalmente seguito è stato quello dell'impiego di risorse pubbliche, con la conseguenza di configurare settori protetti, fuori dalla dinamica dell'economia e perciò del tutto marginali. Come si è detto, non stiamo parlando di questo. Si tratta di costruire una proposta, certo orientata politicamente, ma che possa rappresentare il punto di convergenza reale di interessi diversi, pubblici e privati, e possa attrarre progressivamente quote sempre più consistenti di lavoro e di risorse. Questa impostazione è decisiva e non se ne sottovaluta certo la valenza politica. E' una risposta alla ipotesi: per governare nella società reale, con la sua complessità sociale, bisogna trovare punti di convergenza di interessi diversi. Si tratta di verificare se il punto di convergenza individuato sposta il baricentro secondo la prospettiva che abbiamo scelto: la realizzazione dei diritti di cittadinanza in condizioni di sostenibilità. Scelto questo contesto, si va a cercare lo schema organizzativo, istituzionale, finanziario più appropriato ai diversi settori di intervento. In questa prospettiva, uno degli schemi su cui è utile soffermare l' attenzione è quello rappresentato dalla legge 36 del 1994, relativa alle risorse idriche: esso può essere migliorato e da esso si può partire per applicarlo ad altri settori, con tutte le variazioni dettate dalle specifiche diversità. Ne richiamiamo le linee essenziali. Garantire l'acqua in termini efficienti e dignitosi, riorganizzando anche radicalmente i meccanismi sociali della sua utilizzazione, è una condizione essenziale sia per una migliore qualità della vita, sia per uno sviluppo industriale, agricolo, turistico più moderno. Come è noto, l'idea di fondo della legge 36 è quella di separare l'indirizzo politico dalla gestione, attraverso i passaggi seguenti. L'acqua è bene pubblico. Spetta all'autorità politica, all'amministrazione locale (di area vasta: è l 'Ambito Territoriale Ottimale) redigere il piano di utilizzazione della risorsa idrica, nel suo ciclo integrato: captazione, distribuzione, uso, smaltimento, recupero, depurazione, riciclo. Il piano conterrà l' individuazione di massima degli investimenti necessari e delle tariffe e soprattutto indicherà le fasce sociali deboli, alle quali riservare tariffe privilegiate. La gestione di questo piano viene messo a gara tra imprese (private o, eventualmente, anche pubbliche o semipubbliche). Comitati di utenti, istituzionalmente riconosciuti, esercitano il controllo affinché servizio reso e tariffa esatta siano in accordo con quelli per cui fu vinta la gara. Siamo dunque di fronte ad uno schema in cui il bene è pubblico, ma il servizio pubblico può essere affidato, a seguito di gara, anche al privato. Si tratta di un punto cruciale, se la strategia è quella di stabilire punti di convergenza con interessi diversi, ma è anche un punto tutt'altro che pacifico nella cultura della sinistra. E tuttavia, proviamo a separare gli obiettivi che vogliamo affermare, dalla questione pubblico/privato. La scelta è quella di sostenere i ceti sociali più deboli, favorire l' innovazione e l'occupazione, salvaguardare l'ambiente: questa scelta coincide con la difesa, ovunque e comunque, della responsabilità, della gestione pubblica del servizio pubblico? L'esperienza non va in questa direzione. La gestione pubblica dell'acqua, ad esempio, con le 13000 aziende pubbliche a cui era pervenuta, non ha impedito che in gran parte d'Italia, ed in particolare per le fasce sociali inferiori, ben poco sia stato fatto per assicurare la disponibilità dell'acqua. E, quanto all'Enel, decenni di proprietà e di gestione pubblica non hanno impedito lo sfacelo dell' industria elettromeccanica italiana, né l'assenza di una politica delle fonti energetiche rinnovabili almeno lontanamente confrontabile con quella seguita ad esempio in Germania. Ciò che interessa dunque è la politica delle tariffe o dell'innovazione tecnologica o della salvaguardia ambientale, non se la struttura che la realizza sia pubblica o privata. Di più: lo scontro "pubblico/privato" è fuorviante, rischia di essere uno schermo che evita la messa a fuoco delle vere questioni e del vero scontro: bisogna andare al centro del problema, che deve essere affrontato in modo chiaro, poiché allora è possibile costruire il consenso. Lo schema qui presentato della legge 36 è, come detto, soltanto un punto di partenza, da generalizzare - a quei settori per i quali la generalizzazione sia utile e possibile - in forme appropriate, che dovrebbero essere delineate sempre meglio attraverso il confronto aperto e democratico con tutti i soggetti portatori di competenze e di interessi, pervenendo così ad una scrittura concertata del piano. E, del resto, assetti organizzativi che vanno in questa direzione - come ad esempio le società ad economia mista - sono già stati proposti, in particolare nell'ambito della riqualificazione urbana. Qualora poi, per investimenti di carattere straordinario o per rafforzare la tutela delle fasce sociali più deboli attraverso sgravi nella tariffa, fosse necessario fornire un contributo finanziario al gestore, l'amministrazione locale potrà ricorrere alla fiscalità attraverso una specifica tassa di scopo, introdotta in virtù dell'autonomia impositiva. Ma, al di là dello schema rappresentato dalla legge 36, la disponibilità di risorse pubbliche provenienti dalla fiscalità, a sostegno di alcune finalità sociali del servizio o di efficienza e vantaggio complessivo per la collettività, rappresenta uno degli aspetti più importanti di questa strategia. La tassa di scopo è uno strumento essenziale per assicurare trasparenza e responsabilità alla amministrazione pubblica e diviene così possibile il controllo democratico della spesa. Questo è un punto essenziale per una proposta di politica economica che non prevede, tra i suoi punti caratterizzanti, la riduzione delle tasse. Qui lo stato, la regione, il comune prelevano per restituire sotto forma di servizi ed attività efficienti e socialmente eque. Questo ovviamente non renderà più appetibile la fiscalità per i cittadini, ma può fare una differenza notevole confrontare un prelievo genericamente finalizzato ad attività per le quali la pubblica amministrazione è unica responsabile, con lo stesso prelievo, ma indirizzato a voci precise e quantificate, la cui responsabilità associa privati ben individuati e sotto il controllo degli utenti. Particolarmente impegnativa ovviamente è la trasposizione di questa linea di intervento dal caso dei settori dei servizi al caso dei veri e propri diritti di cittadinanza, istruzione e sanità in particolare, in cui il ruolo del privato pone i problemi che è superfluo qui ricordare. Si dovrà ricorrere a schemi diversificati, ma va ricordato che proprio la condizione politica preliminare di questa strategia - attuare diritti di cittadinanza - ha evidentemente precise implicazioni sulla redazione del piano da parte dell'autorità politica. Ed è lo stesso schema della legge 36 a prevedere, per rispondere a necessità e situazioni che il legislatore intende garantire, la possibilità di ricorrere ad "una pluralità di soggetti e di forme". Per esempio nel caso della sanità, quando si voglia salvaguardare "le forme e le capacità gestionali di organismi esistenti che rispondano a criteri di efficienza, di efficacia e di economicità" e soprattutto il carattere di diritto di cittadinanza rappresentato dalla salute. E ancora: assai interessante potrebbe risultare affrontare secondo questo schema anche il caso del diritto all'informazione: le vicende presenti mostrano infatti in modo clamoroso quanto possa essere illusorio accoppiare il diritto all'informazione al carattere pubblico, ad esempio, di reti televisive e quanto potrebbe risultare più produttivo fissare regole di comportamento limpidamente condivisibili per chi voglia utilizzare la concessione di frequenze. Considerazioni finali Si disegna così uno scenario di attività produttive legate al "ben vivere", che potrà convivere con le produzioni tradizionali finalizzate ai consumi, con qualche chance di assumere dimensione e solidità crescente, anche dal punto di vista dell'innovazione tecnologica e dell'esportazione. Qualcuno osserverà avventatamente che dalla fabbrica di qualità della vita è difficile che venga innovazione tecnologica e tantomeno merci da esportare. Osservazione superficiale, giacché i comparti elencati - energia, mobilità, tecnologie di intervento sanitario e ambientale, ecc. - sono già tra i settori di punta per l'innovazione scientifica e tecnologica e, per rimanere all'esempio dell'acqua, la qualificazione raggiunta nella gestione stessa della risorsa proietta le imprese - francesi, in particolare - nell'agone della concorrenza in campo internazionale, ove vendono i loro servizi. Le tecnologie di intervento ambientale necessitano di conoscenze avanzate, sia delle scienze biologiche, di assetto del territorio, di conoscenza dei cicli vitali, di conoscenza della terra, sia di soluzioni avanzate che utilizzino e combinino, in termini originali, tutte le potenzialità che le nuove tecnologie dell'informatica, delle telecomunicazioni, dell'ingegneria del territorio, offrono allo scienziato, al geologo, all'ingegnere, al biologo, all'agronomo. Scienze e tecnologie di intervento ambientale sono in pieno sviluppo, e la domanda potenziale non potrà che aumentare in modo esponenziale nei prossimi decenni, a fronte di un aumento della sensibilità e dei bisogni ecologico-ambientali. Ma, più in generale, tra le attività previste in questo schema c'è, come si è detto, proprio la ricerca, lo sviluppo, la produzione di tecnologie volte all'aumento della produttività di risorse fisiche: non solo l'energia, ma l' acqua, il riciclo dei rifiuti, i materiali e cosi via. Specializzarsi e sviluppare ricerca scientifica e tecnologica, applicazioni produttive, modelli di intervento e di gestione, capacità di impresa in questi settori, significa orientarsi verso una prospettiva con potenzialità di espansione, anche internazionale, a differenza dei settori di tecnologie avanzate già "occupati", in termini difficilmente raggiungibili, da altri sistemi-paese, oppure dei settori manifatturieri finalizzati ai consumi individuali, che conoscono ormai ben noti fenomeni di saturazione. Ma, soprattutto, l'elemento sostanziale di questa strategia si basa sul fatto che, per i motivi che abbiamo ripetutamente ricordato, è necessario cambiare la cultura della produzione e dello sviluppo dalla quantità alla qualità: intelligenza, ricerca scientifica e tecnologica, organizzazione produttiva vanno indirizzati alla razionalità dell'uso equo ed efficiente di risorse limitate e alla compatibilità di questo uso con la qualità della vita. Si può aprire, insomma, una nuova fase riformatrice che mette al centro, appunto, il passaggio dalla quantità alla qualità: qualità della società - più giusta -, qualità della vita - ma per tutti -, uso della innovazione tecnologica - per preservare la stabilità del pianeta, non per sconvolgerla. Alla base di questa svolta ci dovrà essere, in definitiva, nelle nostre società, un cambiamento profondo, di cultura, di stili di vita, di valorizzazione del tempo: si tratterà, infatti sempre più di scegliere tra un 'identità basata su quanto si consuma e si possiede, ad un'identità maggiormente costruita sui rapporti con gli altri e con se stessi. Diritti di cittadinanza e sostenibilità implicano in definitiva una società più coesa: questo rende certamente difficile questa prospettiva e, insieme, ne fa un grande ideale, capace di dare un'identità alla politica della sinistra. Non si tratta di semplificare, in nome di questo modello, la complessa realtà delle società industriali avanzate e la complessità dello stesso processo di graduale trasformazione: si tratta di affiancare ai settori produttivi esistenti - marcati da un processo inarrestabile di riduzione degli occupati e di trsferimento in aree in cui il costo del lavoro è minore - un nuovo settore, operando quelle scelte che ne possano favorire il decollo, non l'assistenza. In definitiva, per rimanere all'esempio dell' acqua, nessuno ha visto nella legge 36 un atto di beneficenza! Ma questa cultura della revisione della qualità dei consumi e delle tecnologie dei processi produttivi influenzerà - se ben governata - tutti i settori produttivi e progressivamente inciderà sulla dimensione e sulle caratteristiche della stessa industria manifatturiera, in particolare sul suo impatto ambientale. E' superfluo osservare che non è il mercato che si è dimostrato lo strumento principale appropriato per guidare questa trasformazione, necessaria, va ripetuto, non solo per lo sconvolgimento ambientale o "geopolitico", ma anche per la condizione problematica innescata dal meccanismo destabilizzante indotto dalla innovazione tecnologica finalizzata alla riduzione della forza lavoro. Quanto al nostro paese, questa proposta di "economia della sostenibilità e dei diritti di cittadinanza" non elimina certo i problemi fondamentali della sua struttura industriale: la perdita di competitività, l'abbandono progressivo dei settori di tecnologia avanzata, la scarsa propensione a sostenere il ruolo della ricerca scientifica. Anzi, discutere i possibili indirizzi del sistema produttivo può essere molto utile in questo momento in cui c'è maggiore attenzione al suo rapporto con l'assetto della ricerca pubblica e privata. E, inoltre, potrà essere interessante valutare uno scenario - davvero non scontato, anche questo - in cui la piccola impresa possa giocare un ruolo in un quadro di sviluppo locale orientato alla sostenibilità. Il nostro paese, infine, appare sede d'elezione perché questa svolta verso la qualità dia un forte impulso alla valorizzazione delle risorse locali: dai beni storico-culturali alle produzioni celebrate dell' artigianato o dell'agricoltura. Certo, si è ben consapevoli che sarà sempre meno possibile (e neppure fruttuoso) fare scelte politiche di fondo, di politica economica e sociale, ed anche di politica ambientale, senza un riferimento molto più stretto e fecondo con la dimensione europea. E d'altra parte, la problematica di riorientare investimenti e occupazione dalle attività produttive tradizionali alla produzione di sostenibilità non nasce certo ora e in Italia, ma, come abbiamo ricordato con il riferimento al "libro bianco" di Delors, nasce in Europa e, inoltre, il tema dello sviluppo sostenibile si è approfondito sino ad occupare spazio crescente negli indirizzi programmatici dei governi europei e ad essere recepito come elemento caratterizzante dello sviluppo, come sancito nel preambolo della stessa Carta dei Diritti fondamentali dell'UE. Per di più è ampio, in Europa, il fronte di quanti ritengono decisivo, se si vuol procedere alla costruzione dell'Unione, intrecciare i parametri quantitativi del Patto di stabilità con parametri qualitativi che caratterizzino l'Europa dei diritti sociali. Certo, non si può sottovalutare il carattere conflittuale tra questa impostazione programmatica e posizioni fortemente ispirate al liberismo: è dunque necessario collegarsi, per portare avanti questi indirizzi, a tutte quelle forze culturali, sindacali e politiche europee che si muovono all' insegna della caratterizzazione di un'Europa "sociale e sostenibile". Ma questo collegamento è oggi necessario innanzi tutto "per pensare", per confrontarsi con le idee di altri, per aprire gli orizzonti, in una situazione in cui, se è chiara la necessità del cambiamento, molto meno lo sono le vie in cui avviarsi.
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