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catilina ha ragione?
- Subject: catilina ha ragione?
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 1 Apr 2003 07:12:05 +0200
da fondazione di vittorio it Il leader siderale. Un contributo di Catilina 20.3.03 "Non si può ignorare che l'oligarchia e l'autoreferenzialità bloccano, oggi, il nuovo e trascinante interesse dei cittadini verso la partecipazione." IL LEADER SIDERALE Il Re Nudo, oggi, è anche solo. Il dibattito internazionale sulla guerra ha disvelato i contorni della crisi mondiale della rappresentatività. La solitudine di Bush, Blair, Aznar, Berlusconi (qui il discorso assumerebbe altro rilievo) rispetto alle opinioni pubbliche del mondo è un dato di originale portata storica. La frattura tra interessi dei governanti e quelli dei governati esiste da tempo e incide a tal punto le società occidentali da rappresentarne un punto critico del declino. Un elemento di debolezza sul quale misurare la resistenza della nostra cultura e della nostra economia di fronte alla sfida con i "barbari" che premono ai confini: barbari che anche oggi si configurano come forze arretrate, culture semplificate (più che semplici), e che pure ambiscono a proporsi come modello alternativo a quello occidentale. Le leadership di tali Paesi, ormai saldamente congiunte alle autorità religiose o di esse succubi, prima ancora che sull'enormità dello squilibrio economico fanno perno su una relazione arcaica tra leader religiosi e masse diseredate del tutto alieno (ma non immune) dall'esperienza della nostra democrazia. Una dinamica politica e sociale che mette in affanno le nostre idee e le nostre coscienze, soprattutto quando taluni gruppi dirigenti occidentali cercano di misurarsi sullo stesso piano. Questo è uno dei motivi per il quale la guerra all'Iraq ha suscitato l'impegno di centinaia di milioni di cittadini del mondo, che hanno superato la diffidenza generata dalla politica dei potenti. L'ambito è ben più ridotto, ma qualcosa del genere era già avvenuta in Italia nell'opposizione alla politica maccatamente volta agli interessi della ristretta élite che fa capo al presidente del Consiglio. Entrambe, nelle rispettive misure, sono esperienze che meriterebbero frutti permanenti capaci di ridare smalto a democrazie fondate sulla coincidenza di interessi economici e politici delle élite mondiali. Che decidono per tutti e sfuggono alle responsabilità di tutti. Il tema della responsabilità, com'è noto, viene ritenuto uno dei cardini di un sano rapporto di rappresentatività. Il cittadino partecipa se si sente coinvolto, se avverte come propria responsabilità (come responsabilità che gli appartiene) l'assenza da una decisione; quando tale assenza viene percepita come una diserzione civile. In un secondo momento il cittadino non rinuncia alla delega. A patto, però, che il delegato sia a sua volta responsabile: sappia riconoscersi, farsi riconoscere ed essere riconosciuto come titolare della delega e, per questa capacità, capace anche di decadere, di rinunciarvi in caso di fallimento. Oggi sembra questo, anche nel campo ristretto della politica italiana, il nodo che incrina il rapporto tra leadership e opinione pubblica. Un nodo che si pone prima di altri, quali la complessità delle decisioni, il ruolo crescente e spesso negativo della comunicazione, il predominio dell' economia (ovvero dell'accaparramento delle risorse, in senso lato) sulla politica. Va riconosciuto come il crollo delle ideologie abbia accelerato alcuni processi, svolgendo un ruolo positivo di affrancamento della società civile, in termini di responsabilizzazione dei soggetti individuali capaci di scelta (non più singoli-massa identificati da ideologie e azioni comuni). Eppure questo passaggio da massa a moltitudine contiene in sé anche i rischi di un'alienazione dalla civiltà politica che vale la pena di contrastare. L' arretramento in atto nell'Islam manifesta invece una saldatura tra un preconcetto religioso (da sempre presente) e uno ideologico "all' occidentale": la carica di appiattimento dei comportamenti e di schiavizzazione delle coscienze individuali che ne deriva impone una decisa e forte volontà di contrasto. Ciononostante resta in essere l'apparente paradosso che vede il suddito arabo sentirsi più partecipe, più dentro alla propria storia, pur contando poco o nulla in termini economici e civili, rispetto al cittadino occidentale. Il confronto con il grado di disinteresse civile e politico nelle più avanzate democrazie occidentali, da parte della low-class e di ampi strati della middle-consumers-class, fa venire alla luce la sideralità del potere attuale; la maggiore lontananza di certi dei del ceto economico-politico rispetto a quella di una divinità sovrannaturale. E si potrebbe persino dire dell'incredibile preminenza di risultati attesi attraverso la preghiera su quelli riposti in un voto politico. La maggioranza degli occidentali, fino all'esperienza del rifiuto della guerra, declinava (e nel futuro potrebbe tornare a declinare) dalla partecipazione. Nonostante conti su diritti sociali ed economici. Un silenzio che non è mai o quasi mai assenso, quanto piuttosto assenza dalla capacità di contare. Vuoto, rinuncia, fuga nell'irrealtà e nell'irrazionale. Non perdere il contatto con i cittadini, per la sinistra, è elemento fondante. Non ci si può rifugiare nel rapporto populistico, tipico di talune esperienze di destra: non potrebbe bastare, alla sinistra, recuperare questo simulacro di partecipazione vissuto magari, come in Italia e non solo in Italia, attraverso l'appartenenza a una comunità televisiva. La sinistra ha inscritto nei suoi geni il valore della socialità, della democrazia e della necessità di forme rappresentative concrete. Perché poi si possa passare alla fase della delega - nel mondo privo di ideologie e che si vuole separato da istanze religiose -, è ancora più indispensabile l'esistenza di una classe dirigente responsabile e riconoscibile; di delegati che sappiano mantenere ampi e frequenti contatti con i deleganti, e che sappiano rinunciare al potere in caso di fallimento. Purtroppo oggi, nell'Italia che si considera di sinistra, continua a sopravvivere una classe dirigente che ha perduto anzitutto coscienza di esserlo. Come se il potere fosse diventato l'unico tratto dirimente della battaglia politica, e la sua perdita richiedesse solo una totale dedizione alla riconquista. Al cittadino di sinistra, persino militante, tale riconquista personale non appartiene, non interessa. Almeno come valore in sé. Non può, la battaglia per la ricerca del potere perduto, diventare il tratto caratteristico di una partecipazione civile. L'elaborazione di sofisticate strategie di riconquista (per quanto possa sembrare paradossale, perché l'esercizio della funzione politica mira pur sempre a esso) non scalda gli animi e non muove le coscienze. Tutt'altro: distacca e disaffeziona. Una classe politica che si regga sul potere oligarchico e autoreferenziale all'interno di un partito, e che si motiva semplicemente per la riconquista del potere pubblico, è una classe politica votata al tramonto definitivo di se stessa e del proprio partito. Alla perdita permanente ed endemica di contatti e legami saldi nel blocco sociale che vorrebbe rappresentare (ma chi parla più di blocco sociale, se non per il berlusconismo?). Non appare più sufficiente che la permanenza nel dominio di una struttura venga mantenuta secondo metodi formalmente democratici: una foglia di fico che non copre più la vergogna di vecchie pratiche di controllo ed è semmai semplice testimonianza di malintenzionata capacità organizzativa. Non certo di reale consenso. Non si può ignorare che l'oligarchia e l'autoreferenzialità bloccano, oggi, il nuovo e trascinante interesse dei cittadini verso la partecipazione. Un interesse che non si sarebbe risvegliato di fronte a nessuna battaglia politica e parlamentare: e non per l'inevitabile ingessamento in forme e toni rituali di mediazione, quanto piuttosto per il fine che sarebbe trapelato da esse. Un fine lontano, avulso, sterile. Quando il Re capisce di essere nudo, e solo, esce di scena. Quando ha perduto anche la dignità della comprensione generale, occorre accompagnarlo all'uscita. Catilina
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