[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
ripensare lo sviluppo
- Subject: ripensare lo sviluppo
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 15 Feb 2003 06:58:31 +0100
da lanuovaecologia.it Giovedì 13 Febbraio 2003 DOSSIER|Presentato il rapporto annuale di Legambiente Ripensare lo sviluppo Johannesburg: Nairobi Cambiamenti climatici e povertà. I risultati di un decennio di mal governo della globalizzazione nel rapporto Ambiente Italia 2003 E nel Belpaese, più ombre che luci 90.000 km2 di foreste tagliate ogni anno. Emissioni di Co2 in crescita costante, con un aumento, in dieci anni, del 21% negli Usa e del 34% nei Paesi asiatici. I poveri dell'Europa occidentale sono cresciuti, nel corso degli anni '90, da 44 a 91 milioni, e si contano 30 milioni di casi di malnutrizione. Diminuisce l'attesa di vita in tutta l'Africa sub-sahariana. I paesi cosiddetti liberisti dell'Occidente sviluppato (gruppo Ocse) hanno speso nel 2001 285 miliardi di dollari per sostenere i propri prodotti agricoli (6 volte tanto gli aiuti allo sviluppo, quasi il 40% del valore totale della produzione agricola mondiale) distorcendo il mercato e producendo un danno ai Paesi in via di sviluppo che la Banca Mondiale quantifica in 20miliardi di dollari annui. Bastano questi pochi indicatori - fra i cento che compongono Ambiente Italia 2003, il rapporto annuale di Legambiente, presentato oggi a Roma - a tratteggiare gli esiti di un decennio di globalizzazione senza regole, di strapotere del profitto e di sottovalutazione delle 'controindicazioni' sociali e ambientali di uno sviluppo abbandonato a se stesso. E da soli basterebbero a far impallidire le tesi di chi pretende di minimizzare i problemi ambientali o di far passare le crescenti disuguaglianze sociali per il rumore di fondo della grande macchina del progresso. «C'è chi ritiene - spiega Ermete Realacci, presidente di Legambiente, intervenuto alla presentazione del volume realizzato con l'Istituto di ricerche Ambiente Italia e pubblicato da Edizioni ambiente - che l'attuale sistema economico sia sostenibile così com'è, che attribuisce all'innovazione tecnologica da sola il potere di ridurre gli effetti ambientali dello sviluppo, e che crede che questo sviluppo inevitabilmente produrrà benessere diffuso e benefici per la salute e l'ambiente. Queste stesse persone - e basterebbe citare il noto opinionista Lomborg, divenuto paradigma dell'eco-scettico - tendono a sminuire la portata dei danni che negli ultimi decenni la crescita industriale ha prodotto sul pianeta. Il loro modo di pensare è l'espressione di un nuovo conservatorismo compassionevole, che arriva addirittura ad additare le 'infondate lagnanze' degli ambientalisti come causa dello spreco di risorse indirizzate a problemi che non esistono invece che a dare soluzioni concrete a problemi reali. Queste tesi si scontrano coi dati di fatto, che invece mostrano la necessità di forti politiche che indirizzino i processi industriali ed economici». Gli ultimi dieci anni mostrano chiaramente come potrebbe andare: laddove, come in Europa, è stata attuata una politica diretta alla riduzione dei gas serra, ad esempio, si sono effettivamente ridotte le emissioni del 3%; negli Stati Uniti invece, che hanno avversato queste politiche, le emissioni sono aumentate del 21%. Mentre nei paesi dell’Unione Europea si registra una contrazione significativa degli NOx (–30% tra il 1990 e il 2000), negli Stati Uniti nell’ultimo decennio si registra una crescita del 6% e, nel periodo 1990-1995 (l’unico per cui sono disponibili stime, effettuate dallo IIASA), si registra una crescita del 14% in Giappone e del 33% in Cina. Lo stesso dicasi per rifiuti ed energia. Al crescere del reddito aumentano i rifiuti e i consumi energetici: +14% su scala mondiale nell’ultimo decennio, +18% nel Nord America e +43% nei paesi asiatici. «E non sono solo i fanatici ambientalisti a sostenerlo. Il più recente studio sull'argomento, quello della Banca Mondiale, conclude che la regolazione - e dunque una rigorosa legislazione ambientale, politiche tariffarie e agevolazioni per le tecnologie più innovative e meno inquinati - è il fattore dominante nella riduzione dell’inquinamento. Tra i paesi sviluppati, Stati Uniti e paesi scandinavi rappresentano in modo esemplare come alti tassi di sviluppo ed elevati livelli di reddito possano essere associati a politiche ambientali (e sociali) radicalmente diverse». In Europa, il miglioramento locale della qualità ambientale è stato associato a politiche di efficienza energetica, di efficienza nell’uso delle risorse e di riciclo dei materiali che hanno determinato un contenimento o una riduzione assoluta delle emissioni e dei prelievi di risorse di interesse globale. Negli Stati Uniti, invece, il miglioramento locale della qualità ambientale non si è associato a un miglioramento equivalente dell’efficienza del consumo e della produzione. Quella americana è diventata un’economia obesa. Lo stesso andamento dei fenomeni di mondializzazione dei mercati ha prodotto risultati fortemente contraddittori. Una parte dei paesi in via di sviluppo, 24 nazioni in cui vivono circa 3 miliardi di persone (Cina in testa), è oggi più integrata, ha acquisito più alti tassi di crescita economica, ridotto la povertà e la denutrizione sia in valori assoluti che in percentuale: in un decennio i poveri sotto i 2 dollari di reddito giornaliero in Cina passano da 800 a 610 milioni, cioè dal 70 al 49% della popolazione. In questi stessi paesi si è anche favorito l’accesso alla salute e all’istruzione e in (qualche caso) alle libertà civili, anche se spesso con crescenti diseguaglianze interne. Ma al tempo stesso 2 miliardi di persone – soprattutto in Africa, Medio Oriente e nell’ex Unione Sovietica – sono finite quasi ai margini del sistema economico mondiale. Hanno visto crescere o apparire la povertà: in Europa centro-orientale i poveri sono passati da 44 a 91 milioni, cioè dal 10 al 20% della popolazione e per la prima volta si contano 30 milioni di persone in condizione di denutrizione. Nell’Africa subsahariana tutti gli indicatori mostrano un peggioramento in valore assoluto: negli anni ’90 è diminuito dello 0,3% annuo il reddito procapite, i bambini non scolarizzati sono aumentati (e in 15 paesi si è ridotto anche il tasso di scolarizzazione primario), l’attesa di vita è diminuita (in alcuni paesi di decine di anni, in primo luogo per effetto dell’Aids). Spesso perfino la mortalità infantile è tornata a crescere (in Kenya tra il 1990 e il 1998 è passata da 61 a 74 per 1000, in Zimbabwe da 52 a 73), le persone in stato di denutrizione sono cresciute di oltre 40 milioni e i poveri sono aumentati di 100 milioni (sempre pari al 75% della popolazione). Ma persino in alcune delle aree che bene o male hanno compiuto dei progressi, la parte povera della popolazione spesso non ha condiviso questi miglioramenti: in India i ragazzi tra 15 e 19 anni del 20% di famiglie più ricche hanno in media frequentato 10 anni di scuola, mentre il 40% dei giovani più poveri non ha alcuna scolarizzazione. Negli stessi paesi sviluppati c’è stato un arretramento dell’uguaglianza sociale, con la sola eccezione della Danimarca. Guardando all’Italia si può osservare che tra il 1991 e il 2000 è aumentata la concentrazione del reddito e della ricchezza nelle mani del 10% più ricco degli italiani (la cui quota di reddito è passata dal 23,8 al 26,6% e la quota di ricchezza dal 41,6% al 47%).
- Prev by Date: 18/02 Milano: L'acqua è un bene comune. Come contrastare la sua privatizzazione a milano?
- Next by Date: a quali industrie giova la guerra
- Previous by thread: 18/02 Milano: L'acqua è un bene comune. Come contrastare la sua privatizzazione a milano?
- Next by thread: a quali industrie giova la guerra
- Indice: