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la faccia sporca del petrolio
- Subject: la faccia sporca del petrolio
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 21 Jan 2003 06:45:45 +0100
da lanuovaecologia.it Sabato 18 Gennaio 2003 EMERGENZE|Pozzi e drenaggi. La mappa del rischio Terre in quarantena Incendio agli stabilimenti di Porto Marghera Da Manfredonia a Porto Marghera. Dove si trovano i 50 «siti di interesse nazionale» che potrebbero godere dei finanziamenti per la messa in sicurezza. L'esperienza statunitense del Superfund di Rosanna Magnano Smaltire il mercurio direttamente in mare. Alla faccia delle più elementari regole di rispetto dell’ambiente. E soprattutto del 53 bis: l’articolo, inserito due anni fa nel decreto Ronchi grazie alle pressioni di Legambiente, che sanziona il traffico illecito di rifiuti. Accadeva, secondo gli inquirenti, negli impianti Enichem Porto Marghera di Priolo, in Sicilia: dove è stata riscontrata una percentuale di mercurio 20.000 volte superiore ai limiti di legge. Uno scandalo che la magistratura ha portato alla luce in questi giorni. E che, sulla base di 552 capi di imputazione, ha fatto scattare 18 arresti, fra dirigenti Enichem e funzionari della Provincia di Siracusa. STANZIAMENTI BLOCCATI Quella emersa in Sicilia è soltanto una delle tante facce sporche del petrolio. Che deturpano spiagge, porti, zone lagunari. Luoghi dove gli impianti di trasformazione "vecchio stampo", anche dove non è intervenuto il dolo, hanno lasciato il segno. Sia nell'ambiente, sia nella salute di chi ci abita. Sono i luoghi per i quali è per i quali, già dal ’98, è arrivata la qualifica di «siti di interesse nazionale». E possono contare su uno stanziamento di circa 500 milioni di euro per realizzare interventi di bonifica e messa in sicurezza. A patto che i tempi di realizzazione dei progetti finalmente si sblocchino. «Per quasi tutti i siti di interesse – fanno sapere dal ministero dell’Ambiente – le indagini sullo stato di inquinamento e gli interventi urgenti di bonifica, soprattutto a difesa della falda acquifera sono partiti e sono in pieno corso di svolgimento». Ma in realtà, come denuncia anche Legambiente, sono ancora pochi gli interventi in fase di avvio. DA Porto Marghera GELA… Qualche esempio? Fra gli interventi d'emergenza, nell’area del petrolchimico di Manfredonia è in progetto una barriera per impedire la diffusione dell’inquinamento verso il mare e per bloccare l’«ingressione» del cuneo salino. A Gela si sta realizzando invece una barriera impermeabile per impedire la diffusione dell’inquinamento e il drenaggio delle acque di falda. Proprio a Priolo infine, sempre per rimanere alla lista degli interventi urgenti, è stato realizzato un complesso sistema formato da pozzi di emungimento e trincee drenanti al per estrarre l’acqua inquinata e il prodotto petrolifero galleggiante sulla falda. Ma le indagini che sono appena cominciate dovranno chiarire il reale impatto inquinante dello stabilimento. …A VENEZIA Le misure di messa in sicurezza di maggior peso sono comunque quelle che riguardano Venezia: sono ormai avviati progetti per 35 km di sbarramento (stima dei costi: 5 milioni di euro per chilometro). Di questi, 17 km dovrebbero essere finanziati con i fondi derivanti dalla cosiddetta transizione Montedison: il contestato accordo raggiunto dal colosso chimico e il governo italiano per il risarcimento dei danni ambientali causati nell'area di Marghera. Nella città lagunare è inoltre in corso il dragaggio dei sedimenti nei Priolo canali e nelle darsene industriali. Mentre sono stati presentati gli studi di fattibilità per gli impianti di trattamento dei materiali derivanti dalle bonifiche e i progetti preliminari per la collocazione di milioni di metri cubi di sedimenti a moderato grado di contaminazione. IL MODELLO AMERICANO Su tutti però pesa la macchinosità delle procedure. «Le Conferenze dei servizi attivate dal ministero dell'Ambiente per accelerare l'intero processo si sono rivelate lentissime – denuncia Stefano Ciafani, dell'Ufficio scientifico di Legambiente – Basti pensare che dal '98, quando sono state avviate le Conferenze dei primi 15 siti, i lavori non sono ancora cominciati. In più gli inquinatori sono eccessivamente timidi quando si tratta di presentare i progetti di bonifica. E i tempi diventano lunghissimi». Ma come uscirne? «Proponiamo il modello americano – aggiunge Ciafani – Ovvero, chi inquina paga. E se le aziende sono fallite si ricorre a quello che negli Stati Uniti chiamano Superfund: un salvadanaio finanziato dalle imprese». Con questo sistema gli americani hanno ottenuto buoni frutti: con verifiche a sorpresa e un fondo che lo scorso anno superava gli 8,5 miliardi di dollari. Da noi invece il processo di bonifica sembra rimanere ancora impastato nelle maglie della burocrazia.
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