pensioni e occupazione oltre i 55 anni



da la voce.it 13 - 1 - 2003

   
 
09-01-2003  
Pensioni: fasce di età, genere e livello di istruzione 
Emilio Reyneri 


Il tasso di occupazione tra i 55 e i 64 anni in Italia raggiunge appena il
28 per cento. Questo livello, il più basso in Europa dopo il Belgio,
preoccupa poiché eccessive uscite precoci dal mercato del lavoro minano la
sostenibilità del sistema pensionistico, che si fonda sui contributi dei
lavoratori attivi. Un’analisi più articolata di questo tasso di occupazione
mostra tuttavia che non sempre si tratta di uscite precoci e che non tutte
le uscite precoci corrispondono a brevi carriere lavorative.


Occupazione femminile: più mancati ingressi che uscite precoci 

Come si può vedere dal grafico, il valore molto basso del tasso di
occupazione totale in Italia si deve in larga misura alla componente
femminile: il tasso supera di poco il 15 per cento, contro valori tripli in
Gran Bretagna e Danimarca (paesi che hanno già raggiunto l’obiettivo del 70
per cento di occupati per la popolazione da 15 a 64 anni fissato per il
2010 dal Consiglio di Lisbona e che hanno un sistema pensionistico in
equilibrio). Invece, per i maschi il distacco dell’Italia, pur rilevante, è
decisamente inferiore: i tassi di Gran Bretagna e Danimarca sono superiori
solo del 50 per cento a quello italiano, che nel 2001 sfiora il 40 per
cento. Per le donne italiane ultra 55enni, però, più che di uscita precoce
dovuta a un sistema pensionistico lassista, si tratta di mancata
partecipazione al mercato del lavoro, poiché nella generazione che aveva
dai 20 ai 30 anni tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta
la percentuale di casalinghe raggiunse il livello più elevato. 



Tra i maschi anziani, ancora troppi poco istruiti

Ma anche per i maschi il distacco nel tasso di occupazione italiano dagli
altri paesi europei non è generale, poiché si deve essenzialmente ai meno
istruiti, il cui tasso nel 2001 supera appena il 33 per cento contro valori
intorno al 50 per cento per Gran Bretagna e Danimarca. Invece, per i
diplomati il distacco è decisamente inferiore (12-15 punti percentuali) e
per i laureati è minimo con la Danimarca (8 punti) e addirittura nullo con
la Gran Bretagna. È ragionevole ritenere che il tasso di occupazione degli
italiani poco istruiti sia particolarmente basso poiché si tratta per oltre
la metà di persone con la sola licenza elementare, mentre per la stessa
generazione negli altri paesi europei i poco istruiti sono andati quasi
tutti a scuola sino a 14-15 anni. 

L’uscita dal mercato del lavoro è infatti fortemente legata al livello di
istruzione non solo perché a un ingresso precoce corrisponde un’uscita
precoce, dopo una carriera lavorativa che può non essere affatto breve. Ma
anche perché i meno istruiti sono confinati nei lavori più dequalificati e
gravosi e non hanno basi culturali per aggiornarsi; quindi, oltre 50 anni
diventano obsoleti e poco utili per le imprese.

Considerando la composizione per livello di istruzione, il tasso di
occupazione totale dei maschi da 55 a 64 anni risulta in Italia
particolarmente basso poiché in questa fascia di età prevalgono ancora in
modo schiacciante i poco istruiti: quasi i tre quarti contro poco più di un
quarto in Gran Bretagna e Danimarca. Dunque, si può concludere che anche
per i maschi italiani il basso tasso di occupazione non si spiega soltanto
con il lassismo del sistema pensionistico, sebbene esso riveli i suoi
irrisolti problemi: negli anni Novanta per tutti i livelli di istruzione il
tasso di occupazione da 55 a 64 anni in Italia è declinante, al contrario
di quanto accade in quasi tutti gli altri paesi europei.


 

Buone prospettive a medio-lungo termine, ma gravi difficoltà a breve


Se l’attuale basso livello del tasso di occupazione in Italia si deve in
larga misura all’ancor forte presenza nella generazione da 55 a 64 anni di
donne che sono sempre state casalinghe e di uomini poco istruiti, sono in
atto tendenze che nell’arco di 10-15 anni porteranno ad un aumento
spontaneo del tasso di occupazione. Quando le generazioni che avevano
vent’anni alla fine degli anni Settanta - allorché decollarono la
partecipazione femminile al lavoro e la scolarità superiore -
raggiungeranno 55 anni, allora il tasso di occupazione totale in Italia si
avvicinerà ai livelli britannici e danesi anche senza interventi specifici
per promuovere o imporre una più avanzata età di ritiro dal lavoro. Ma gli
studiosi del sistema pensionistico ci dicono che sarà tardi per gli
equilibri finanziari.


Invece, a breve termine le difficoltà di aumentare il tasso di occupazione
da 55 a 64 anni sono immense, nonostante gli impegni presi in modo
approssimativo in sede europea dal Piano nazionale per l’occupazione
(LINKBrugiavini). Per quanto riguarda le donne, difficile trovare una
soluzione poiché è impossibile che casalinghe cinquantenni si mettano a
lavorare per la prima volta. Anche interventi per costringere le "poche"
donne occupate over 50 anni a restare al lavoro 8-12 in più avrebbero uno
scarso impatto sul tasso di occupazione totale. Quanto ai maschi, i
pochissimi laureati ultracinquantenni (neppure il 10%, la metà di Gran
Bretagna e Danimarca) hanno già un tasso di occupazione sui massimi livelli
europei e anche per i pochi diplomati (meno del 20 per cento e della metà
di Gran Bretagna e Danimarca) portare il loro tasso di occupazione ai
livelli massimi europei avrebbe uno scarso impatto. 


Il problema è quello della gran massa dei maschi ultracinquantenni poco
istruiti, per lo più con la sola licenza elementare. Per alzare davvero a
breve scadenza il tasso di occupazione globale in misura significativa,
bisognerebbe portare il loro tasso di occupazione molto oltre i livelli
massimi raggiunti dagli altri paesi europei, aumentandolo di oltre il 50
per cento. È un’impresa ardua, poiché si tratta di persone che non solo
hanno iniziato a lavorare molto presto e quindi con una lunga carriera
previdenziale, ma anche per lo più con caratteristiche professionali che li
rendono sempre meno richiesti dal sistema produttivo.


Tuttavia, se ad un sistema pensionistico che incentivi stabilmente
un’uscita meno precoce si accompagnassero interventi diretti a rendere i
lavoratori anziani sia più "appetibili" per le imprese sia più "attaccati"
a un lavoro gratificante, sarebbe possibile ottenere buoni risultati,
soprattutto considerando che l’uscita precoce dal lavoro dei maschi poco
istruiti si concentra paradossalmente nelle regioni settentrionali ove
l’offerta di lavoratori è sempre più carente. Ma su questo paradosso
occorrerà tornare.