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pensioni e occupazione oltre i 55 anni
- Subject: pensioni e occupazione oltre i 55 anni
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 17 Jan 2003 06:53:02 +0100
da la voce.it 13 - 1 - 2003 09-01-2003 Pensioni: fasce di età, genere e livello di istruzione Emilio Reyneri Il tasso di occupazione tra i 55 e i 64 anni in Italia raggiunge appena il 28 per cento. Questo livello, il più basso in Europa dopo il Belgio, preoccupa poiché eccessive uscite precoci dal mercato del lavoro minano la sostenibilità del sistema pensionistico, che si fonda sui contributi dei lavoratori attivi. Un’analisi più articolata di questo tasso di occupazione mostra tuttavia che non sempre si tratta di uscite precoci e che non tutte le uscite precoci corrispondono a brevi carriere lavorative. Occupazione femminile: più mancati ingressi che uscite precoci Come si può vedere dal grafico, il valore molto basso del tasso di occupazione totale in Italia si deve in larga misura alla componente femminile: il tasso supera di poco il 15 per cento, contro valori tripli in Gran Bretagna e Danimarca (paesi che hanno già raggiunto l’obiettivo del 70 per cento di occupati per la popolazione da 15 a 64 anni fissato per il 2010 dal Consiglio di Lisbona e che hanno un sistema pensionistico in equilibrio). Invece, per i maschi il distacco dell’Italia, pur rilevante, è decisamente inferiore: i tassi di Gran Bretagna e Danimarca sono superiori solo del 50 per cento a quello italiano, che nel 2001 sfiora il 40 per cento. Per le donne italiane ultra 55enni, però, più che di uscita precoce dovuta a un sistema pensionistico lassista, si tratta di mancata partecipazione al mercato del lavoro, poiché nella generazione che aveva dai 20 ai 30 anni tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta la percentuale di casalinghe raggiunse il livello più elevato. Tra i maschi anziani, ancora troppi poco istruiti Ma anche per i maschi il distacco nel tasso di occupazione italiano dagli altri paesi europei non è generale, poiché si deve essenzialmente ai meno istruiti, il cui tasso nel 2001 supera appena il 33 per cento contro valori intorno al 50 per cento per Gran Bretagna e Danimarca. Invece, per i diplomati il distacco è decisamente inferiore (12-15 punti percentuali) e per i laureati è minimo con la Danimarca (8 punti) e addirittura nullo con la Gran Bretagna. È ragionevole ritenere che il tasso di occupazione degli italiani poco istruiti sia particolarmente basso poiché si tratta per oltre la metà di persone con la sola licenza elementare, mentre per la stessa generazione negli altri paesi europei i poco istruiti sono andati quasi tutti a scuola sino a 14-15 anni. L’uscita dal mercato del lavoro è infatti fortemente legata al livello di istruzione non solo perché a un ingresso precoce corrisponde un’uscita precoce, dopo una carriera lavorativa che può non essere affatto breve. Ma anche perché i meno istruiti sono confinati nei lavori più dequalificati e gravosi e non hanno basi culturali per aggiornarsi; quindi, oltre 50 anni diventano obsoleti e poco utili per le imprese. Considerando la composizione per livello di istruzione, il tasso di occupazione totale dei maschi da 55 a 64 anni risulta in Italia particolarmente basso poiché in questa fascia di età prevalgono ancora in modo schiacciante i poco istruiti: quasi i tre quarti contro poco più di un quarto in Gran Bretagna e Danimarca. Dunque, si può concludere che anche per i maschi italiani il basso tasso di occupazione non si spiega soltanto con il lassismo del sistema pensionistico, sebbene esso riveli i suoi irrisolti problemi: negli anni Novanta per tutti i livelli di istruzione il tasso di occupazione da 55 a 64 anni in Italia è declinante, al contrario di quanto accade in quasi tutti gli altri paesi europei. Buone prospettive a medio-lungo termine, ma gravi difficoltà a breve Se l’attuale basso livello del tasso di occupazione in Italia si deve in larga misura all’ancor forte presenza nella generazione da 55 a 64 anni di donne che sono sempre state casalinghe e di uomini poco istruiti, sono in atto tendenze che nell’arco di 10-15 anni porteranno ad un aumento spontaneo del tasso di occupazione. Quando le generazioni che avevano vent’anni alla fine degli anni Settanta - allorché decollarono la partecipazione femminile al lavoro e la scolarità superiore - raggiungeranno 55 anni, allora il tasso di occupazione totale in Italia si avvicinerà ai livelli britannici e danesi anche senza interventi specifici per promuovere o imporre una più avanzata età di ritiro dal lavoro. Ma gli studiosi del sistema pensionistico ci dicono che sarà tardi per gli equilibri finanziari. Invece, a breve termine le difficoltà di aumentare il tasso di occupazione da 55 a 64 anni sono immense, nonostante gli impegni presi in modo approssimativo in sede europea dal Piano nazionale per l’occupazione (LINKBrugiavini). Per quanto riguarda le donne, difficile trovare una soluzione poiché è impossibile che casalinghe cinquantenni si mettano a lavorare per la prima volta. Anche interventi per costringere le "poche" donne occupate over 50 anni a restare al lavoro 8-12 in più avrebbero uno scarso impatto sul tasso di occupazione totale. Quanto ai maschi, i pochissimi laureati ultracinquantenni (neppure il 10%, la metà di Gran Bretagna e Danimarca) hanno già un tasso di occupazione sui massimi livelli europei e anche per i pochi diplomati (meno del 20 per cento e della metà di Gran Bretagna e Danimarca) portare il loro tasso di occupazione ai livelli massimi europei avrebbe uno scarso impatto. Il problema è quello della gran massa dei maschi ultracinquantenni poco istruiti, per lo più con la sola licenza elementare. Per alzare davvero a breve scadenza il tasso di occupazione globale in misura significativa, bisognerebbe portare il loro tasso di occupazione molto oltre i livelli massimi raggiunti dagli altri paesi europei, aumentandolo di oltre il 50 per cento. È un’impresa ardua, poiché si tratta di persone che non solo hanno iniziato a lavorare molto presto e quindi con una lunga carriera previdenziale, ma anche per lo più con caratteristiche professionali che li rendono sempre meno richiesti dal sistema produttivo. Tuttavia, se ad un sistema pensionistico che incentivi stabilmente un’uscita meno precoce si accompagnassero interventi diretti a rendere i lavoratori anziani sia più "appetibili" per le imprese sia più "attaccati" a un lavoro gratificante, sarebbe possibile ottenere buoni risultati, soprattutto considerando che l’uscita precoce dal lavoro dei maschi poco istruiti si concentra paradossalmente nelle regioni settentrionali ove l’offerta di lavoratori è sempre più carente. Ma su questo paradosso occorrerà tornare.
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