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se l'alfaromeo torna milanese
- Subject: se l'alfaromeo torna milanese
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 28 Dec 2002 07:47:39 +0100
dal corriere.it Lunedì 23 Dicembre 2002 Passato e futuro dell’azienda SE L’ALFA ROMEO TORNA MILANESE «I concessionari Alfa Romeo hanno fiducia nel loro marchio e nella possibilità di successo per il futuro, al punto da essere disposti a partecipare alle operazioni per il suo rilancio». Così inizia il comunicato stampa della Società cooperativa che rappresenta i concessionari Alfa Romeo. Da questa premessa essi formulano un'ipotesi di Alfa Romeo autonoma e rilanciata, con la partecipazione di GM e Fiat ma anche di «altre forze imprenditoriali disposte a partecipare all'operazione per far rimanere italiana (e milanese) Alfa Romeo», e dichiarano la loro disponibilità a partecipare, anche finanziariamente, a questa iniziativa. La presa di posizione dei concessionari Alfa merita attenzione e rispetto. Innanzi tutto, in tempi pieni di «armiamoci e partite», questa disponibilità è un buon esempio morale e imprenditoriale. In secondo luogo questa esplicita dichiarazione di fiducia nel marchio, provenendo da persone che sanno di cosa parlano, è un concreto segno di speranza. E ciò è tanto più positivo in quanto viene dopo trent'anni di crisi ininterrotta dell'Alfa sul piano societario e finanziario. Ma la presa di posizione dei concessionari apre due temi difficili: quello dell'autonomia dell'Alfa e del suo legame con Milano. La storia dei rapporti dell'Alfa con Milano inizia il 13 dicembre 1906. Un costruttore francese di automobili, Alessandro Derracq, costituisce un'impresa per automobili a Napoli il 13.2.1906, ma il 13.12.1906 la sede viene trasferita a Milano. L'azienda non andò bene e Derracq decise di liquidarla. Ma i membri milanesi del consiglio di amministrazione si ribellarono e fondarono, il 24 giugno 1910, l'A.L.F.A. (Anonima lombarda fabbriche automobili). L'Alfa nasce dunque da una crisi. E nasce da un atto di orgoglio tipicamente meneghino. Ma soprattutto nasce, unica fra le 67 imprese allora operanti in Italia, con un ufficio progettazione affidato al geometra Merosi, grande talento dell'automobile, piacentino, classe 1872, che lo guiderà sino al 1926. La milanesità dell'Alfa è indiscussa. Ancora nel 1992 il responsabile del nuovo Centro stile Alfa Romeo parla di «cultura milanese» dell'azienda. Ma nel frattempo tra Milano ed Alfa si sono compiuti tre grandi strappi. Il primo è quando nel 1967 si decide che l'Alfa entri nel settore delle macchine popolari, con l'Alfa Sud, e raddoppi le sue strutture con Pomigliano d'Arco. Il secondo strappo si verifica nel 1986 quando all'ipotesi di cessione alla Ford, che avrebbe conservato testa e cuore dell'azienda a Milano e l'avrebbe finalmente legata a un partner capace di vendere l'Alfa nel mondo, fu preferita la cessione alla Fiat. Il terzo e definitivo strappo fu quando, con gli accordi del 1994, i sindacati accettarono la cessazione della produzione di vetture complete ad Arese, salvo la spider, e alimentarono la favola dell'auto elettrica. I tempi mitici dell'Alfa milanese, quelli della Giulietta e della Giulia, quelli dei Merosi, degli Jano, dei Colombo, dei Satta Puliga, sono consegnati alla storia. Si può ancora alimentare il sogno che l'Alfa ritorni milanese e venga rilanciata secondo il suo vero Dna? La storia industriale è piena di sogni, apparentemente impossibili, realizzati. La cura Fiat, come prima la cura Massacesi-Innocenti, ha fatto male all'Alfa. Nel 2001, un buon anno, si sono vendute 220.000 vetture, ma nel 2002 e 2003 si parla di 200.000 automobili, con l'obiettivo di 300.000 vetture nel 2007. Sono le stesse cifre del 1972; sono gli obiettivi che l'ingegner Hruska, tedesco ed ex collaboratore di Porsche, lanciava all'Alfa per la metà degli anni Settanta. Partendo da questa banale constatazione si può ricominciare. Anche a sognare. di MARCO VITALE
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