se l'alfaromeo torna milanese



dal corriere.it

 
  
 
  
 Lunedì 23 Dicembre 2002 
 
 
  
 
 
 
Passato e futuro dell’azienda

 
SE L’ALFA ROMEO TORNA MILANESE


«I concessionari Alfa Romeo hanno fiducia nel loro marchio e nella
possibilità di successo per il futuro, al punto da essere disposti a
partecipare alle operazioni per il suo rilancio». Così inizia il comunicato
stampa della Società cooperativa che rappresenta i concessionari Alfa
Romeo. Da questa premessa essi formulano un'ipotesi di Alfa Romeo autonoma
e rilanciata, con la partecipazione di GM e Fiat ma anche di «altre forze
imprenditoriali disposte a partecipare all'operazione per far rimanere
italiana (e milanese) Alfa Romeo», e dichiarano la loro disponibilità a
partecipare, anche finanziariamente, a questa iniziativa. La presa di
posizione dei concessionari Alfa merita attenzione e rispetto. Innanzi
tutto, in tempi pieni di «armiamoci e partite», questa disponibilità è un
buon esempio morale e imprenditoriale. In secondo luogo questa esplicita
dichiarazione di fiducia nel marchio, provenendo da persone che sanno di
cosa parlano, è un concreto segno di speranza. E ciò è tanto più positivo
in quanto viene dopo trent'anni di crisi ininterrotta dell'Alfa sul piano
societario e finanziario. Ma la presa di posizione dei concessionari apre
due temi difficili: quello dell'autonomia dell'Alfa e del suo legame con
Milano. 
La storia dei rapporti dell'Alfa con Milano inizia il 13 dicembre 1906. Un
costruttore francese di automobili, Alessandro Derracq, costituisce
un'impresa per automobili a Napoli il 13.2.1906, ma il 13.12.1906 la sede
viene trasferita a Milano. L'azienda non andò bene e Derracq decise di
liquidarla. Ma i membri milanesi del consiglio di amministrazione si
ribellarono e fondarono, il 24 giugno 1910, l'A.L.F.A. (Anonima lombarda
fabbriche automobili). L'Alfa nasce dunque da una crisi. E nasce da un atto
di orgoglio tipicamente meneghino. Ma soprattutto nasce, unica fra le 67
imprese allora operanti in Italia, con un ufficio progettazione affidato al
geometra Merosi, grande talento dell'automobile, piacentino, classe 1872,
che lo guiderà sino al 1926. 
La milanesità dell'Alfa è indiscussa. Ancora nel 1992 il responsabile del
nuovo Centro stile Alfa Romeo parla di «cultura milanese» dell'azienda. Ma
nel frattempo tra Milano ed Alfa si sono compiuti tre grandi strappi. Il
primo è quando nel 1967 si decide che l'Alfa entri nel settore delle
macchine popolari, con l'Alfa Sud, e raddoppi le sue strutture con
Pomigliano d'Arco. Il secondo strappo si verifica nel 1986 quando
all'ipotesi di cessione alla Ford, che avrebbe conservato testa e cuore
dell'azienda a Milano e l'avrebbe finalmente legata a un partner capace di
vendere l'Alfa nel mondo, fu preferita la cessione alla Fiat. Il terzo e
definitivo strappo fu quando, con gli accordi del 1994, i sindacati
accettarono la cessazione della produzione di vetture complete ad Arese,
salvo la spider, e alimentarono la favola dell'auto elettrica. 
I tempi mitici dell'Alfa milanese, quelli della Giulietta e della Giulia,
quelli dei Merosi, degli Jano, dei Colombo, dei Satta Puliga, sono
consegnati alla storia. Si può ancora alimentare il sogno che l'Alfa
ritorni milanese e venga rilanciata secondo il suo vero Dna? La storia
industriale è piena di sogni, apparentemente impossibili, realizzati. La
cura Fiat, come prima la cura Massacesi-Innocenti, ha fatto male all'Alfa.
Nel 2001, un buon anno, si sono vendute 220.000 vetture, ma nel 2002 e 2003
si parla di 200.000 automobili, con l'obiettivo di 300.000 vetture nel
2007. Sono le stesse cifre del 1972; sono gli obiettivi che l'ingegner
Hruska, tedesco ed ex collaboratore di Porsche, lanciava all'Alfa per la
metà degli anni Settanta. Partendo da questa banale constatazione si può
ricominciare. Anche a sognare.  
di MARCO VITALE