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banca mondiale, ritratto
- Subject: banca mondiale, ritratto
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 13 Nov 2002 06:44:59 +0100
---------------------------------------------------------------------------- ---- LE MONDE diplomatique - Ottobre 2002 ---------------------------------------------------------------------------- ---- Mercenari devoti ed efficienti Ritratto di gruppo alla Banca mondiale Organizzazione mondiale del commercio, Fondo monetario internazionale, Banca mondiale... Con la loro azione, gli organismi finanziari internazionali occupano il cuore nevralgico della globalizzazione liberista. Con un'ironia mordace, Jean Ziegler mostra come, nonostante i tanti errori che hanno devastato il terzo mondo, i loro dirigenti - nel caso specifico quelli della Banca mondiale - moltiplichino le teorie giustificatorie, strumentalizzino i discorsi contestatari e riescano sempre a seguire la rotta fissata dal «consenso di Washington». Jean Ziegler La Banca mondiale ha conosciuto la sua età dell'oro dalla fine degli anni '60 all'inizio degli anni '80 (1). Dal 1968 al 1981, era diretta da Robert McNamara, già ministro della difesa dei presidenti John F. Kennedy e Lyndon B. Johnson. Sotto la sua presidenza, il volume annuale dei prestiti passò da 1 miliardo a 13 miliardi di dollari, il personale fu quadruplicato e il bilancio amministrativo si moltiplicò per 3,5. Con l'aiuto del suo tesoriere, Eugene Rotberg, McNamara riuscì a ottenere dai vari mercati dei capitali qualcosa come 100 miliardi di dollari di prestiti. Ironia della storia: queste somme provenivano in larga misura da quegli stessi banchieri svizzeri che offrivano riparo a buona parte dei capitali in fuga provenienti dai nababbi, dittatori e ceti parassitari dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina. Secondo Jerry Mander (2), McNamara ha fatto più morti nella sua veste di presidente della Banca mondiale che nella carica di ministro della difesa degli Stati uniti, quando era responsabile dei massacri del Vietnam. Ecco come lo ritrae Jerry Mander: «Vergognandosi del ruolo svolto durante la guerra del Vietnam, volle riscattarsi accorrendo in soccorso dei paesi poveri del terzo mondo. Da buon tecnocrate, si era messo all'opera con l'arroganza di un autentico credente. In Guardando indietro: la tragedia del Vietnam e le sue lezioni (3) aveva scritto: "La quantificazione, a mio modo di vedere, è un linguaggio che aggiunge precisione al ragionamento. Ho sempre pensato che quanto più una questione è importante, tanto più ristretto deve essere il gruppo chiamato a decidere". Fidando nelle cifre, McNamara ha spinto i paesi del terzo mondo ad accettare le condizioni legate ai prestiti della Banca mondiale e trasformare le loro economie tradizionali, puntando al massimo sulla specializzazione economica e sul commercio mondiale. Chi si rifiutava era abbandonato alla sua sorte». E più avanti: «In seguito alle sue pressioni, numerosi paesi non ebbero altra scelta che passare sotto le forche caudine della Banca. Non erano più villaggi quelli che McNamara distruggeva pur di salvarli; erano intere economie. Così il terzo mondo si ritrova oggi con grandi dighe interrate, strade in rovina che non conducono da nessuna parte, palazzi uso ufficio deserti, foreste e campagne devastate e debiti mostruosi che non saranno mai rimborsati. (...) Per quanto siano state grandi le distruzioni da lui provocate nel Vietnam, durante il suo mandato alla Banca quest'uomo è riuscito a superare se stesso». L'attuale presidente della Banca è un australiano sessantottenne dalla chioma bianca e dallo sguardo bello e triste, di nome James Wolfensohn: un uomo eccezionale per le sue doti e il suo curriculum. Già banchiere di Wall Street, multimiliardario, un'anima da ideologo e imperialista, è oltre tutto un artista con tutte le carte in regola. Dal pianoforte è passato al violoncello, e svolge inoltre un'intensa attività d'autore. Da qui il suo soprannome: «il Pianista». Un'attività prometeica e multiforme Mentre i mercenari dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) vigilano sulla circolazione dei flussi commerciali, quelli della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale (Fmi) si occupano dei flussi finanziari. Tra le cosiddette istituzioni di Bretton Woods (4), l'Fmi e la Banca mondiale sono le più importanti. Il termine Banca mondiale è peraltro impreciso. Il nome ufficiale è «The World Bank Group»: l'istituzione comprende infatti la Banca internazionale per la ricostruzione e la sviluppo (Bird), l'Associazione internazionale per lo sviluppo, la Compagnia finanziaria internazionale, l'Agenzia multilaterale per la garanzia degli investimenti e il Centro internazionale per la gestione dei conflitti relativi agli investimenti. Nelle sue stesse pubblicazioni, il gruppo usa il termine «Banca mondiale» per designare la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo e l'Associazione internazionale per lo sviluppo. Procederemo qui allo stesso modo, anche perché le altre tre istituzioni appartenenti al Gruppo hanno funzioni limitate e marginali rispetto al nostro tema. (...) Il World Bank Group, che impiega poco più di 10.000 funzionari, è probabilmente, tra tutte le organizzazione interstatali, quella che fornisce all'opinione pubblica le informazioni più complete sulle proprie strategie, progetti e attività; un flusso quasi ininterrotto di statistiche, di opuscoli esplicativi e di analisi teoriche si diparte dalla sua fortezza in vetro e cemento, al 1818 H di Northwest Street a Washington. La Banca mondiale esercita sul pianeta un potere immenso e vi dispiega un'attività prometeica e multiforme. È oggi la sola a erogare crediti alle nazioni più bisognose, e ad assicurare la creazione di infrastrutture attraverso i suoi crediti agli investimenti. In questi ultimi anni ha concesso ai paesi del terzo mondo crediti a lungo termine per un importo superiore a 225 miliardi di dollari. In taluni casi - come ad esempio nel Niger - ha anche coperto il deficit di bilancio dello stato in situazioni di particolare difficoltà (in questo campo è al secondo posto, dopo i donatori su basi bilaterali). Inoltre finanzia oggi anno centinaia di progetti di sviluppo. In termini di tecnica bancaria, questo organismo è oggi in tutto il mondo «the lender of last resort», ovvero l'ultima istanza per chi necessita di un prestito; e quindi può imporre ai creditori le condizioni che meglio crede. Chi altri sarebbe infatti disposto a concedere il minimo prestito al Ciad, all'Honduras, al Malawi, alla Corea del Nord o all'Afghanistan? L'alleanza esistente tra la Banca mondiale e Wall Street è, ovviamente, strategica. Peraltro, la Banca ha salvato più d'una volta alcuni istituti finanziari che si erano imprudentemente lanciati in operazioni speculative in questa o quell'area di un altro continente. Nella quotidianità operativa, il suo funzionamento segue criteri rigorosamente bancari, e il suo statuto esclude espressamente condizionamenti politici o di qualunque altro tipo. Ciò nondimeno, la sua prassi è subordinata a un concetto totalizzante, di origine non bancaria ma ideologica: il «consenso di Washington» (5). Ogni anno, la Banca pubblica una sorta di catechismo denominato The World Development Report, considerato autorevole sia negli ambienti dell'Onu che in quelli universitari. In questa relazione, che porta l'impronta personale del presidente James Wolfensohn, si tenta di inquadrare le grandi tematiche destinate a catturare per qualche tempo l'attenzione delle agenzie specializzate dell'Onu, delle università e più in generale dell'opinione pubblica. Nella sua edizione del 2001, il testo esordisce con la seguente professione di fede: «La povertà in un mondo ricco costituisce la più grande sfida per l'umanità (6)». Tradizionalmente, gli ideologi della Banca mondiale danno prova di un'ammirevole flessibilità teorica. Nonostante i palesi insuccessi della loro istituzione, non hanno mai cessato, nel corso degli ultimi dieci lustri, di moltiplicare le teorie giustificative. Instancabili, trovano una risposta a tutto, affrontando fatiche degne di Sisifo. Cerchiamo dunque di vederle più da vicino. Dallo sviluppo integrato allo sviluppo sostenibile Ai tempi di McNamara, la teoria preferita della Banca era quella della «crescita». Crescita = progresso = sviluppo = felicità per tutti. Ma ecco sopravvenire una prima ondata di contestazioni, e in particolare, nel 1972, quelle degli scienziati del Club di Roma sul tema: «La crescita illimitata distrugge il pianeta». I teorici della Banca reagiscono prontamente: «Più che giusto, stimatissimi eruditi! La Banca mondiale vi dà pienamente ragione, tanto che d'ora in poi promuoverà lo "sviluppo integrato"». In altri termini, non punterà più soltanto sulla crescita del prodotto interno lordo di un paese, ma esaminerà anche le conseguenze indotte da questa crescita in altri settori della società. Ecco allora che la Banca incomincia a porsi interrogativi del tipo: siamo in presenza di una crescita equilibrata? E come incide questa crescita sulla distribuzione interna dei redditi? Non comporterà magari un aumento troppo rapido dei consumi energetici, che potrebbe mettere a repentaglio le riserve del pianeta? E così via. Vennero altre inchieste critiche sul capitalismo sfrenato, e in particolare le relazioni di due gruppi di ricercatori, presieduti rispettivamente da Gro Hare Brundtland e da Willy Brandt. Queste relazioni stigmatizzavano l'«economicismo» della Banca, sollecitando l'adozione di altri parametri dello sviluppo - con particolare riguardo all'istruzione, alla salute e al rispetto dei diritti umani - che non erano mai stati presi in considerazione. Reazione immediata: la Banca mondiale si affretta a produrre una splendida teoria sulla necessità di uno «sviluppo umano». Segue una nuova fase della contestazione: il movimento ecologista si allarga e accresce la propria influenza dovunque in Europa e nell'America del Nord. Per sviluppare le forze produttive di una società - sostengono gli ecologisti - non basta avere l'occhio fisso sugli indicatori classici, e neppure sui famosi parametri dello sviluppo umano; è necessario anche prevedere gli effetti al lungo termine dei cosiddetti interventi di sviluppo, in particolare sull'ambiente. Gli ideologi della Banca mondiale non tardano a percepire che il vento è cambiato. D'ora in poi saranno strenui fautori dello «sviluppo sostenibile». Nel 1993 ha luogo a Vienna la Conferenza mondiale sui diritti umani. Contro gli americani e una parte degli europei, le nazioni del terzo mondo impongono il riconoscimento dei «diritti economici, sociali e culturali». Alla base di questa rivoluzione c'è la convinzione che un analfabeta non sa che farsene della libertà di stampa. Perciò, prima di preoccuparsi dei diritti civili e politici, cioè dei diritti democratici classici è indispensabile garantire i diritti sociali, economici e culturali. Da quel momento in poi, James Wolfensohn pubblica una serie ininterrotta di relazioni e dichiarazioni. La Banca mondiale è ovviamente all'avanguardia nella lotta per il conferimento dei diritti economici, sociali e culturali. Nel settembre del 2000, a Praga, «il Pianista» interviene anzi sull'argomento con espressioni toccanti. Una delle più recenti piroette degli intellettuali organici della Banca mondiale riguarda il tema dell'«empowered development», vale a dire l'esigenza di uno sviluppo sociale ed economico controllato dalle stesse vittime del sottosviluppo. Ma nonostante tutto, nessuna delle successive dichiarazioni d'intenti della Banca mondiale è mai riuscita a mascherare a lungo la realtà che è davanti agli occhi di tutti: quella del fallimento eclatante delle diverse «strategie di sviluppo» attuate sotto la sua egida. Che fare? La Banca non è mai a corto di idee. D'ora in poi farà appello alle circostanze attenuanti. E invocherà la fatalità. Il discorso pronunciato l'8 aprile 2002, nella Sala XI del Palais des Nations di Ginevra, davanti ai dirigenti dell'Onu e del Wto, dal vicepresidente incaricato delle relazioni esterne della Banca era intitolato: «Gli aiuti allo sviluppo riusciranno mai a raggiungere i poveri?» Ed ecco la risposta dell'eminente vicepresidente: «Nessuno ha modo di saperlo». Per portare al mondo la buona novella, James Wolfensohn si assicura i servizi di un certo numero di messaggeri, scelti con gran cura. Per la Banca mondiale, i missi dominici del «Pianista» sono l'equivalente dei gesuiti per la Chiesa cattolica: gli «inviati del Maestro», incaricati delle più diverse missioni. Eccone alcuni esempi. A Lagos, capitale della Nigeria, grande potenza petrolifera e una delle società più corrotte del mondo, James Wolfensohn ha insediato un ufficio per la «good governance» (il controllo della corruzione). Il suo responsabile raccoglie informazioni provenienti da privati, movimenti sociali, organizzazioni non governative, Chiese, sindacati e funzionari ribelli, in merito ai casi di corruzione. Ha inoltre il compito di osservare le aste truccate dei grandi cantieri della regione, di accertare le tangenti pagate ai ministri dai dirigenti locali di società multinazionali, o gli abusi di potere praticati da questo o quel capo di stato, dietro remunerazione in moneta sonante. In breve, registra, si documenta, cerca di comprendere i vari marchingegni adottati dai corrotti e dai corruttori. Ma che fine fanno tutte queste informazioni? Mistero. Wolfensohn ha inoltre designato un vicepresidente esecutivo, specificamente incaricato della lotta contro l'indigenza estrema, che pure si documenta e si informa... Fino a poco tempo fa questo incarico era affidato a una persona affabile e raffinata di nome Kemal Dervis: un economista sulla cinquantina, di nazionalità turca ma cresciuto in Svizzera. Musulmano, Dervis (a) aveva ottenuto il baccalauréat (maturità) al Collège Florimont, un istituto cattolico privato con sede a Petit-Lancy, nei pressi di Ginevra. All'inizio del 2001 ha lasciato la Banca, ed è stato fino al luglio scorso ministro dell'economia e delle finanze in Turchia. Un altro personaggio del tutto atipico, che lavora al servizio di Wolfensohn, è Alfredo Sfeir-Younis, che dal novembre 1999 dirige a Ginevra il World Bank Office, rappresentanza della Banca presso il Quartier Generale dell'Onu e presso il Wto. L'uomo è tutt'altro che banale. Ecco come lo descrive il giornalista André Allemand: «Con il carisma misurato di un barbuto Richard Gere, il rappresentante, nuovo di zecca, della Banca mondiale riflette l'immagine di un'organizzazione in piena mutazione filosofica, che ascolta i più bisognosi e si impegna attivamente per eliminare la povertà dal mondo (7)». Allemand lo ha soprannominato «L'Enjoliveur», come dire: colui che indora la pillola. Sfeir-Younis è un cileno di origine libanese, cosmopolita e diplomatico nato. Discendente da un ramo di una grande famiglia maronita trasferitosi a suo tempo in Cile, è nipote del patriarca della Chiesa maronita Nasrallah Sfeir. Fin da quando, nel 1967, suo padre fu nominato ambasciatore del Cile a Damasco e a Beirut, il giovane Alfredo ha assistito a tutte le convulsioni, guerre e turbolenze della Mezzaluna fertile. L'«Edulcoratore» è un pioniere. È stato il primo economista-ambientalista (environmental economist) della Banca, che oggi ne conta ben 174. Ha peraltro al suo attivo 7 anni di lavoro in Africa, nel Sahel, in condizioni spesso difficili; e ha dato prova di solide convinzioni antifasciste opponendosi alla dittatura di Pinochet. È buddista e pratica la meditazione. Ma Don Alfredo è soprattutto maestro nell'uso di un linguaggio ambiguo. «Le attuali difficoltà economiche dipendono innanzitutto dalla distribuzione delle ricchezze, e non tanto da problemi relativi alla produzione e al consumo... Il mondo soffre per la mancanza di una governance globale (8)». Parole la cui lettura colmerebbe di entusiasmo qualsiasi pastore calvinista ginevrino. Finalmente un fratello! Un responsabile del mondo bancario che non si riempie la bocca solo di crescita, di produttività e di massimizzazione dei profitti! Ma c'è una cosa che sfugge all'ingenuo lettore: il messaggero del «Pianista» a Ginevra è un fautore a oltranza della «stateless global governance», cioè di un governo mondiale senza più stati. E del «consenso di Washington». Don Alfredo è un duro, agente di sfere altolocate, che per ordine del «Pianista» si trasforma talora in agente segreto - come in occasione della Conferenza mondiale del commercio a Seattle, nel 1999. «Nel dicembre scorso mi trovavo nelle vie di Seattle; ero incaricato di riferire alla mia organizzazione le questioni sollevate dai manifestanti (9)». Il terremoto Stiglitz Un altro missus del tutto atipico del Pianista è Mats Karlsson. Stretto collaboratore e discepolo di Pierre Schori, il principale erede intellettuale e spirituale di Olof Palme, Karlsson è stato capo economista del ministero degli esteri svedese e segretario di stato alla cooperazione. Socialista convinto, è amico, oltre che di Pierre Schori, anche di Gunnar Sternave, testa pensante dei sindacati svedesi. Karlsson è oggi vicepresidente in carica della Sezione affari esteri e rapporti con l'Onu della Banca mondiale. Lo dico senza ironia: alcuni di questi ideologi sono personalità affascinanti. La loro vivacità intellettuale, la loro cultura mi conquistano. Alcuni sono persino in buona fede. Ad esempio, tanto per restare in argomento, Alfredo Sfeir-Younis e Mats Karlsson sono uomini che ispirano una profonda simpatia. Ma c'è un problema: anche se le loro teorie si adattano e si trasformano, non per questo cambia la prassi, legata alla pura razionalità bancaria, che comporta lo sfruttamento sistematico delle popolazioni dei paesi coinvolti e l'apertura forzata dei loro confini ai predatori del capitale mondializzato. Al pari del Wto e dell'Fmi, anche la Banca mondiale è infatti un bastione del dogma neoliberista, che impone in ogni circostanza a tutti i paesi debitori il Consenso di Washington, promuovendo la privatizzazione dei beni pubblici e degli stati e imponendo l'imperio dei nuovi padroni del mondo. Ma ecco, nel gennaio 2000, il terremoto! Joseph Stiglitz, capo economista e primo vicepresidente della Banca mondiale, il più importante dei messaggeri e il più vicino a Wolfensohn, rassegna le dimissioni denunciando pubblicamente la strategia di privatizzazioni a oltranza e l'inefficacia delle istituzioni di Bretton Woods (10). Wolfensohn è improvvisamente colto dal dubbio. Arriva persino a porsi domande del tipo: come mai i capitali rientrano, i crediti sono concessi, le dighe si costruiscono e producono elettricità, eppure dovunque la gente muore i fame? Come mai in tutto il terzo mondo la malaria sta tornando al galoppo e uccide un milione di persone l'anno, le scuole si chiudono, l'analfabetismo dilaga, gli ospedali vanno in rovina, i pazienti muoiono per mancanza di medicinali, l'Aids imperversa? C'è qualcosa che non va. Allora Wolfensohn interroga, viaggia, invita a un tavolo i rappresentanti dei movimenti sociali, li ascolta, riflette per tentare di comprendere il gigantesco fiasco della sua Banca (11). Dai dubbi del «Pianista» nasce un nuovo organigramma (12). Il Dipartimento sociale (Social Board), rafforzato da nuovo personale, d'ora in poi deve tassativamente essere consultato dai responsabili di tutti i progetti. Il suo compito è esaminare e valutare le conseguenze umane e sociali indotte nella società dall'intervento della Banca per la deviazione di un fiume o la costruzione di un'autostrada, di una diga, di un porto, di un complesso industriale. In che modo la nuova autostrada cambierà la vita dei villaggi che dovrà attraversare? Quale sarà l'incidenza del complesso industriale sul mercato del lavoro nella regione? Cosa avverrà dei contadini cacciati dalle loro terre in seguito all'esproprio per la costruzione di una diga? Dato che le colture estensive di prodotti destinati all'esportazione esigono la distruzione di migliaia di ettari di foreste, quali saranno le conseguenze per il clima della regione? Gli interrogativi esaminati dal Dipartimento sociale sono innumerevoli, ma il suo potere è nullo. Anche quando giunge a conclusioni sono del tutto negative, anche se prevede disastri a catena, non potrà impedire la costruzione del complesso industriale, l'abbattimento delle foreste o la deviazione del fiume. La decisione dei banchieri rimane sempre sovrana. note: * Relatore speciale delle Nazioni unite per il diritto all'alimentazione. Questo testo è tratto dal suo ultimolibro Les Nouveaux Maîtres du monde, edito in Francia da Fayard. (1) Ha iniziato la sua attività nel 1946. (2) Jerry Mander, «Face à la marée montante», in Edward Goldsmith e Jerry Mander, Le Procès de la mondialisation, Fayard, Parigi, 2001, p. 42. (3) Seuil, Parigi, 1996. (4) A Bretton Woods (New Hampshire, Usa) si sono riunite nel 1944 le delegazioni degli alleati occidentali, che hanno stabilito i principi e creato le istituzioni (Fmi, Banca mondiale ecc.) per assicurare la ricostruzione dell'Europa e attuare un ordine economico mondiale. (5) Un complesso di accordi informali conclusi nel corso degli anni '80-'90 tra le principali società transcontinentali, le banche di Wall Street, la Federal Reserve (b) Bank americana e gli organismi finanziari internazionali, sotto l'egida degli Stati uniti. (6) Prefazione di James Wolfensohn, The World Development Report, Oxford University Press, 2001, p. 5. (7) La Tribune de Genève, 8 giugno 2000. (8) Alfredo Sfeir-Younis, in La Tribune de Genève, 8 giugno 2000. (9) Ibid. (10) Joseph Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, 2002. (11) Vedere, in particolare, l'intervista di James Wolfensohn su Libération, 10 luglio 2000. (12) Laurence Boisson de Chazournes, «Banque Mondiale et développement social», in Pierre de Senarclens, Maîtriser la mondialisation, Presses de la Fondation nationale des sciences politiques, Parigi, 2001
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