banca mondiale, ritratto



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LE MONDE diplomatique - Ottobre 2002  
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 Mercenari devoti ed efficienti 
Ritratto di gruppo alla Banca mondiale 


Organizzazione mondiale del commercio, Fondo monetario internazionale,
Banca mondiale... Con la loro azione, gli organismi finanziari
internazionali occupano il cuore nevralgico della globalizzazione
liberista. Con un'ironia mordace, Jean Ziegler mostra come, nonostante i
tanti errori che hanno devastato il terzo mondo, i loro dirigenti - nel
caso specifico quelli della Banca mondiale - moltiplichino le teorie
giustificatorie, strumentalizzino i discorsi contestatari e riescano sempre
a seguire la rotta fissata dal «consenso di Washington». 

Jean Ziegler 
La Banca mondiale ha conosciuto la sua età dell'oro dalla fine degli anni
'60 all'inizio degli anni '80 (1). Dal 1968 al 1981, era diretta da Robert
McNamara, già ministro della difesa dei presidenti John F. Kennedy e Lyndon
B. Johnson. Sotto la sua presidenza, il volume annuale dei prestiti passò
da 1 miliardo a 13 miliardi di dollari, il personale fu quadruplicato e il
bilancio amministrativo si moltiplicò per 3,5. Con l'aiuto del suo
tesoriere, Eugene Rotberg, McNamara riuscì a ottenere dai vari mercati dei
capitali qualcosa come 100 miliardi di dollari di prestiti. Ironia della
storia: queste somme provenivano in larga misura da quegli stessi banchieri
svizzeri che offrivano riparo a buona parte dei capitali in fuga
provenienti dai nababbi, dittatori e ceti parassitari dell'Africa,
dell'Asia e dell'America latina.
Secondo Jerry Mander (2), McNamara ha fatto più morti nella sua veste di
presidente della Banca mondiale che nella carica di ministro della difesa
degli Stati uniti, quando era responsabile dei massacri del Vietnam. Ecco
come lo ritrae Jerry Mander: «Vergognandosi del ruolo svolto durante la
guerra del Vietnam, volle riscattarsi accorrendo in soccorso dei paesi
poveri del terzo mondo. Da buon tecnocrate, si era messo all'opera con
l'arroganza di un autentico credente.
In Guardando indietro: la tragedia del Vietnam e le sue lezioni (3) aveva
scritto: "La quantificazione, a mio modo di vedere, è un linguaggio che
aggiunge precisione al ragionamento. Ho sempre pensato che quanto più una
questione è importante, tanto più ristretto deve essere il gruppo chiamato
a decidere". Fidando nelle cifre, McNamara ha spinto i paesi del terzo
mondo ad accettare le condizioni legate ai prestiti della Banca mondiale e
trasformare le loro economie tradizionali, puntando al massimo sulla
specializzazione economica e sul commercio mondiale. Chi si rifiutava era
abbandonato alla sua sorte». E più avanti: «In seguito alle sue pressioni,
numerosi paesi non ebbero altra scelta che passare sotto le forche caudine
della Banca. Non erano più villaggi quelli che McNamara distruggeva pur di
salvarli; erano intere economie. Così il terzo mondo si ritrova oggi con
grandi dighe interrate, strade in rovina che non conducono da nessuna
parte, palazzi uso ufficio deserti, foreste e campagne devastate e debiti
mostruosi che non saranno mai rimborsati. (...) Per quanto siano state
grandi le distruzioni da lui provocate nel Vietnam, durante il suo mandato
alla Banca quest'uomo è riuscito a superare se stesso».
L'attuale presidente della Banca è un australiano sessantottenne dalla
chioma bianca e dallo sguardo bello e triste, di nome James Wolfensohn: un
uomo eccezionale per le sue doti e il suo curriculum.
Già banchiere di Wall Street, multimiliardario, un'anima da ideologo e
imperialista, è oltre tutto un artista con tutte le carte in regola.
Dal pianoforte è passato al violoncello, e svolge inoltre un'intensa
attività d'autore. Da qui il suo soprannome: «il Pianista».
Un'attività prometeica e multiforme Mentre i mercenari dell'Organizzazione
mondiale del commercio (Wto) vigilano sulla circolazione dei flussi
commerciali, quelli della Banca mondiale e del Fondo monetario
internazionale (Fmi) si occupano dei flussi finanziari. Tra le cosiddette
istituzioni di Bretton Woods (4), l'Fmi e la Banca mondiale sono le più
importanti. Il termine Banca mondiale è peraltro impreciso. Il nome
ufficiale è «The World Bank Group»: l'istituzione comprende infatti la
Banca internazionale per la ricostruzione e la sviluppo (Bird),
l'Associazione internazionale per lo sviluppo, la Compagnia finanziaria
internazionale, l'Agenzia multilaterale per la garanzia degli investimenti
e il Centro internazionale per la gestione dei conflitti relativi agli
investimenti. Nelle sue stesse pubblicazioni, il gruppo usa il termine
«Banca mondiale» per designare la Banca internazionale per la ricostruzione
e lo sviluppo e l'Associazione internazionale per lo sviluppo. Procederemo
qui allo stesso modo, anche perché le altre tre istituzioni appartenenti al
Gruppo hanno funzioni limitate e marginali rispetto al nostro tema. (...)
Il World Bank Group, che impiega poco più di 10.000 funzionari, è
probabilmente, tra tutte le organizzazione interstatali, quella che
fornisce all'opinione pubblica le informazioni più complete sulle proprie
strategie, progetti e attività; un flusso quasi ininterrotto di
statistiche, di opuscoli esplicativi e di analisi teoriche si diparte dalla
sua fortezza in vetro e cemento, al 1818 H di Northwest Street a
Washington. La Banca mondiale esercita sul pianeta un potere immenso e vi
dispiega un'attività prometeica e multiforme. È oggi la sola a erogare
crediti alle nazioni più bisognose, e ad assicurare la creazione di
infrastrutture attraverso i suoi crediti agli investimenti. In questi
ultimi anni ha concesso ai paesi del terzo mondo crediti a lungo termine
per un importo superiore a 225 miliardi di dollari. In taluni casi - come
ad esempio nel Niger - ha anche coperto il deficit di bilancio dello stato
in situazioni di particolare difficoltà (in questo campo è al secondo
posto, dopo i donatori su basi bilaterali). Inoltre finanzia oggi anno
centinaia di progetti di sviluppo.
In termini di tecnica bancaria, questo organismo è oggi in tutto il mondo
«the lender of last resort», ovvero l'ultima istanza per chi necessita di
un prestito; e quindi può imporre ai creditori le condizioni che meglio
crede. Chi altri sarebbe infatti disposto a concedere il minimo prestito al
Ciad, all'Honduras, al Malawi, alla Corea del Nord o all'Afghanistan?
L'alleanza esistente tra la Banca mondiale e Wall Street è, ovviamente,
strategica. Peraltro, la Banca ha salvato più d'una volta alcuni istituti
finanziari che si erano imprudentemente lanciati in operazioni speculative
in questa o quell'area di un altro continente. Nella quotidianità
operativa, il suo funzionamento segue criteri rigorosamente bancari, e il
suo statuto esclude espressamente condizionamenti politici o di qualunque
altro tipo. Ciò nondimeno, la sua prassi è subordinata a un concetto
totalizzante, di origine non bancaria ma ideologica: il «consenso di
Washington» (5).
Ogni anno, la Banca pubblica una sorta di catechismo denominato The World
Development Report, considerato autorevole sia negli ambienti dell'Onu che
in quelli universitari. In questa relazione, che porta l'impronta personale
del presidente James Wolfensohn, si tenta di inquadrare le grandi tematiche
destinate a catturare per qualche tempo l'attenzione delle agenzie
specializzate dell'Onu, delle università e più in generale dell'opinione
pubblica. Nella sua edizione del 2001, il testo esordisce con la seguente
professione di fede: «La povertà in un mondo ricco costituisce la più
grande sfida per l'umanità (6)». Tradizionalmente, gli ideologi della Banca
mondiale danno prova di un'ammirevole flessibilità teorica. Nonostante i
palesi insuccessi della loro istituzione, non hanno mai cessato, nel corso
degli ultimi dieci lustri, di moltiplicare le teorie giustificative.
Instancabili, trovano una risposta a tutto, affrontando fatiche degne di
Sisifo. Cerchiamo dunque di vederle più da vicino.
Dallo sviluppo integrato allo sviluppo sostenibile Ai tempi di McNamara, la
teoria preferita della Banca era quella della «crescita». Crescita =
progresso = sviluppo = felicità per tutti. Ma ecco sopravvenire una prima
ondata di contestazioni, e in particolare, nel 1972, quelle degli
scienziati del Club di Roma sul tema: «La crescita illimitata distrugge il
pianeta». I teorici della Banca reagiscono prontamente: «Più che giusto,
stimatissimi eruditi! La Banca mondiale vi dà pienamente ragione, tanto che
d'ora in poi promuoverà lo "sviluppo integrato"». In altri termini, non
punterà più soltanto sulla crescita del prodotto interno lordo di un paese,
ma esaminerà anche le conseguenze indotte da questa crescita in altri
settori della società. Ecco allora che la Banca incomincia a porsi
interrogativi del tipo: siamo in presenza di una crescita equilibrata? E
come incide questa crescita sulla distribuzione interna dei redditi? Non
comporterà magari un aumento troppo rapido dei consumi energetici, che
potrebbe mettere a repentaglio le riserve del pianeta?
E così via. Vennero altre inchieste critiche sul capitalismo sfrenato, e in
particolare le relazioni di due gruppi di ricercatori, presieduti
rispettivamente da Gro Hare Brundtland e da Willy Brandt. Queste relazioni
stigmatizzavano l'«economicismo» della Banca, sollecitando l'adozione di
altri parametri dello sviluppo - con particolare riguardo all'istruzione,
alla salute e al rispetto dei diritti umani - che non erano mai stati presi
in considerazione. Reazione immediata: la Banca mondiale si affretta a
produrre una splendida teoria sulla necessità di uno «sviluppo umano».
Segue una nuova fase della contestazione: il movimento ecologista si
allarga e accresce la propria influenza dovunque in Europa e nell'America
del Nord. Per sviluppare le forze produttive di una società - sostengono
gli ecologisti - non basta avere l'occhio fisso sugli indicatori classici,
e neppure sui famosi parametri dello sviluppo umano; è necessario anche
prevedere gli effetti al lungo termine dei cosiddetti interventi di
sviluppo, in particolare sull'ambiente.
Gli ideologi della Banca mondiale non tardano a percepire che il vento è
cambiato. D'ora in poi saranno strenui fautori dello «sviluppo
sostenibile». Nel 1993 ha luogo a Vienna la Conferenza mondiale sui diritti
umani.
Contro gli americani e una parte degli europei, le nazioni del terzo mondo
impongono il riconoscimento dei «diritti economici, sociali e culturali».
Alla base di questa rivoluzione c'è la convinzione che un analfabeta non sa
che farsene della libertà di stampa. Perciò, prima di preoccuparsi dei
diritti civili e politici, cioè dei diritti democratici classici è
indispensabile garantire i diritti sociali, economici e culturali. Da quel
momento in poi, James Wolfensohn pubblica una serie ininterrotta di
relazioni e dichiarazioni. La Banca mondiale è ovviamente all'avanguardia
nella lotta per il conferimento dei diritti economici, sociali e culturali.
Nel settembre del 2000, a Praga, «il Pianista» interviene anzi
sull'argomento con espressioni toccanti. Una delle più recenti piroette
degli intellettuali organici della Banca mondiale riguarda il tema
dell'«empowered development», vale a dire l'esigenza di uno sviluppo
sociale ed economico controllato dalle stesse vittime del sottosviluppo. Ma
nonostante tutto, nessuna delle successive dichiarazioni d'intenti della
Banca mondiale è mai riuscita a mascherare a lungo la realtà che è davanti
agli occhi di tutti: quella del fallimento eclatante delle diverse
«strategie di sviluppo» attuate sotto la sua egida. Che fare? La Banca non
è mai a corto di idee. D'ora in poi farà appello alle circostanze attenuanti.
E invocherà la fatalità.
Il discorso pronunciato l'8 aprile 2002, nella Sala XI del Palais des
Nations di Ginevra, davanti ai dirigenti dell'Onu e del Wto, dal
vicepresidente incaricato delle relazioni esterne della Banca era
intitolato: «Gli aiuti allo sviluppo riusciranno mai a raggiungere i
poveri?» Ed ecco la risposta dell'eminente vicepresidente: «Nessuno ha modo
di saperlo».
Per portare al mondo la buona novella, James Wolfensohn si assicura i
servizi di un certo numero di messaggeri, scelti con gran cura.
Per la Banca mondiale, i missi dominici del «Pianista» sono l'equivalente
dei gesuiti per la Chiesa cattolica: gli «inviati del Maestro», incaricati
delle più diverse missioni. Eccone alcuni esempi.
A Lagos, capitale della Nigeria, grande potenza petrolifera e una delle
società più corrotte del mondo, James Wolfensohn ha insediato un ufficio
per la «good governance» (il controllo della corruzione).
Il suo responsabile raccoglie informazioni provenienti da privati,
movimenti sociali, organizzazioni non governative, Chiese, sindacati e
funzionari ribelli, in merito ai casi di corruzione. Ha inoltre il compito
di osservare le aste truccate dei grandi cantieri della regione, di
accertare le tangenti pagate ai ministri dai dirigenti locali di società
multinazionali, o gli abusi di potere praticati da questo o quel capo di
stato, dietro remunerazione in moneta sonante.
In breve, registra, si documenta, cerca di comprendere i vari marchingegni
adottati dai corrotti e dai corruttori. Ma che fine fanno tutte queste
informazioni? Mistero.
Wolfensohn ha inoltre designato un vicepresidente esecutivo, specificamente
incaricato della lotta contro l'indigenza estrema, che pure si documenta e
si informa... Fino a poco tempo fa questo incarico era affidato a una
persona affabile e raffinata di nome Kemal Dervis: un economista sulla
cinquantina, di nazionalità turca ma cresciuto in Svizzera.
Musulmano, Dervis (a) aveva ottenuto il baccalauréat (maturità) al Collège
Florimont, un istituto cattolico privato con sede a Petit-Lancy, nei pressi
di Ginevra. All'inizio del 2001 ha lasciato la Banca, ed è stato fino al
luglio scorso ministro dell'economia e delle finanze in Turchia. Un altro
personaggio del tutto atipico, che lavora al servizio di Wolfensohn, è
Alfredo Sfeir-Younis, che dal novembre 1999 dirige a Ginevra il World Bank
Office, rappresentanza della Banca presso il Quartier Generale dell'Onu e
presso il Wto. L'uomo è tutt'altro che banale. Ecco come lo descrive il
giornalista André Allemand: «Con il carisma misurato di un barbuto Richard
Gere, il rappresentante, nuovo di zecca, della Banca mondiale riflette
l'immagine di un'organizzazione in piena mutazione filosofica, che ascolta
i più bisognosi e si impegna attivamente per eliminare la povertà dal mondo
(7)». Allemand lo ha soprannominato «L'Enjoliveur», come dire: colui che
indora la pillola. Sfeir-Younis è un cileno di origine libanese,
cosmopolita e diplomatico nato. Discendente da un ramo di una grande
famiglia maronita trasferitosi a suo tempo in Cile, è nipote del patriarca
della Chiesa maronita Nasrallah Sfeir. Fin da quando, nel 1967, suo padre
fu nominato ambasciatore del Cile a Damasco e a Beirut, il giovane Alfredo
ha assistito a tutte le convulsioni, guerre e turbolenze della Mezzaluna
fertile. L'«Edulcoratore» è un pioniere. È stato il primo
economista-ambientalista (environmental economist) della Banca, che oggi ne
conta ben 174.
Ha peraltro al suo attivo 7 anni di lavoro in Africa, nel Sahel, in
condizioni spesso difficili; e ha dato prova di solide convinzioni
antifasciste opponendosi alla dittatura di Pinochet. È buddista e pratica
la meditazione.
Ma Don Alfredo è soprattutto maestro nell'uso di un linguaggio ambiguo.
«Le attuali difficoltà economiche dipendono innanzitutto dalla
distribuzione delle ricchezze, e non tanto da problemi relativi alla
produzione e al consumo... Il mondo soffre per la mancanza di una
governance globale (8)». Parole la cui lettura colmerebbe di entusiasmo
qualsiasi pastore calvinista ginevrino. Finalmente un fratello! Un
responsabile del mondo bancario che non si riempie la bocca solo di
crescita, di produttività e di massimizzazione dei profitti! Ma c'è una
cosa che sfugge all'ingenuo lettore: il messaggero del «Pianista» a Ginevra
è un fautore a oltranza della «stateless global governance», cioè di un
governo mondiale senza più stati. E del «consenso di Washington».
Don Alfredo è un duro, agente di sfere altolocate, che per ordine del
«Pianista» si trasforma talora in agente segreto - come in occasione della
Conferenza mondiale del commercio a Seattle, nel 1999. «Nel dicembre scorso
mi trovavo nelle vie di Seattle; ero incaricato di riferire alla mia
organizzazione le questioni sollevate dai manifestanti (9)».
Il terremoto Stiglitz Un altro missus del tutto atipico del Pianista è Mats
Karlsson. Stretto collaboratore e discepolo di Pierre Schori, il principale
erede intellettuale e spirituale di Olof Palme, Karlsson è stato capo
economista del ministero degli esteri svedese e segretario di stato alla
cooperazione.
Socialista convinto, è amico, oltre che di Pierre Schori, anche di Gunnar
Sternave, testa pensante dei sindacati svedesi. Karlsson è oggi
vicepresidente in carica della Sezione affari esteri e rapporti con l'Onu
della Banca mondiale.
Lo dico senza ironia: alcuni di questi ideologi sono personalità
affascinanti. La loro vivacità intellettuale, la loro cultura mi
conquistano. Alcuni sono persino in buona fede. Ad esempio, tanto per
restare in argomento, Alfredo Sfeir-Younis e Mats Karlsson sono uomini che
ispirano una profonda simpatia. Ma c'è un problema: anche se le loro teorie
si adattano e si trasformano, non per questo cambia la prassi, legata alla
pura razionalità bancaria, che comporta lo sfruttamento sistematico delle
popolazioni dei paesi coinvolti e l'apertura forzata dei loro confini ai
predatori del capitale mondializzato.
Al pari del Wto e dell'Fmi, anche la Banca mondiale è infatti un bastione
del dogma neoliberista, che impone in ogni circostanza a tutti i paesi
debitori il Consenso di Washington, promuovendo la privatizzazione dei beni
pubblici e degli stati e imponendo l'imperio dei nuovi padroni del mondo.
Ma ecco, nel gennaio 2000, il terremoto! Joseph Stiglitz, capo economista e
primo vicepresidente della Banca mondiale, il più importante dei messaggeri
e il più vicino a Wolfensohn, rassegna le dimissioni denunciando
pubblicamente la strategia di privatizzazioni a oltranza e l'inefficacia
delle istituzioni di Bretton Woods (10). Wolfensohn è improvvisamente colto
dal dubbio. Arriva persino a porsi domande del tipo: come mai i capitali
rientrano, i crediti sono concessi, le dighe si costruiscono e producono
elettricità, eppure dovunque la gente muore i fame? Come mai in tutto il
terzo mondo la malaria sta tornando al galoppo e uccide un milione di
persone l'anno, le scuole si chiudono, l'analfabetismo dilaga, gli ospedali
vanno in rovina, i pazienti muoiono per mancanza di medicinali, l'Aids
imperversa?
C'è qualcosa che non va. Allora Wolfensohn interroga, viaggia, invita a un
tavolo i rappresentanti dei movimenti sociali, li ascolta, riflette per
tentare di comprendere il gigantesco fiasco della sua Banca (11).
Dai dubbi del «Pianista» nasce un nuovo organigramma (12). Il Dipartimento
sociale (Social Board), rafforzato da nuovo personale, d'ora in poi deve
tassativamente essere consultato dai responsabili di tutti i progetti. Il
suo compito è esaminare e valutare le conseguenze umane e sociali indotte
nella società dall'intervento della Banca per la deviazione di un fiume o
la costruzione di un'autostrada, di una diga, di un porto, di un complesso
industriale.
In che modo la nuova autostrada cambierà la vita dei villaggi che dovrà
attraversare? Quale sarà l'incidenza del complesso industriale sul mercato
del lavoro nella regione? Cosa avverrà dei contadini cacciati dalle loro
terre in seguito all'esproprio per la costruzione di una diga? Dato che le
colture estensive di prodotti destinati all'esportazione esigono la
distruzione di migliaia di ettari di foreste, quali saranno le conseguenze
per il clima della regione?
Gli interrogativi esaminati dal Dipartimento sociale sono innumerevoli, ma
il suo potere è nullo. Anche quando giunge a conclusioni sono del tutto
negative, anche se prevede disastri a catena, non potrà impedire la
costruzione del complesso industriale, l'abbattimento delle foreste o la
deviazione del fiume. La decisione dei banchieri rimane sempre sovrana.



note:

* Relatore speciale delle Nazioni unite per il diritto all'alimentazione.
Questo testo è tratto dal suo ultimolibro Les Nouveaux Maîtres du monde,
edito in Francia da Fayard.

(1) Ha iniziato la sua attività nel 1946.

(2) Jerry Mander, «Face à la marée montante», in Edward Goldsmith e Jerry
Mander, Le Procès de la mondialisation, Fayard, Parigi, 2001, p. 42.

(3) Seuil, Parigi, 1996.

(4) A Bretton Woods (New Hampshire, Usa) si sono riunite nel 1944 le
delegazioni degli alleati occidentali, che hanno stabilito i principi e
creato le istituzioni (Fmi, Banca mondiale ecc.) per assicurare la
ricostruzione dell'Europa e attuare un ordine economico mondiale.

(5) Un complesso di accordi informali conclusi nel corso degli anni '80-'90
tra le principali società transcontinentali, le banche di Wall Street, la
Federal Reserve (b) Bank americana e gli organismi finanziari
internazionali, sotto l'egida degli Stati uniti.

(6) Prefazione di James Wolfensohn, The World Development Report, Oxford
University Press, 2001, p. 5.

(7) La Tribune de Genève, 8 giugno 2000. 
(8) Alfredo Sfeir-Younis, in La Tribune de Genève, 8 giugno 2000.

(9) Ibid.

(10) Joseph Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, 2002.

(11) Vedere, in particolare, l'intervista di James Wolfensohn su
Libération, 10 luglio 2000.

(12) Laurence Boisson de Chazournes, «Banque Mondiale et développement
social», in Pierre de Senarclens, Maîtriser la mondialisation, Presses de
la Fondation nationale des sciences politiques, Parigi, 2001