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la scommessa dei centri urbani
- Subject: la scommessa dei centri urbani
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 12 Sep 2002 06:58:15 +0200
il manifesto - 01 Settembre 2002 ARTICOLO pagina 18 indice articolo ---------------------------------------------------------------------------- ---- pag.18 ---------------------------------------------------------------------------- ---- La scommessa della città FRANCESCO INDOVINA La scommessa della città Sulla qualità della vita nei centri urbani si gioca un'importante partita politica: quella di una città amica che riaffermi la sua essenza di nicchia ecologica della specie in termini di socialità, solidarietà, azione comune e libertà FRANCESCO INDOVINA Se fosse vero che l'opposizione per vincere le elezioni necessita di una modifica «culturale» dell'opinione pubblica, allora sarebbe necessario affrontare, sviluppare e riflettere anche sui temi relativi alla città. La vittoria del Polo, prima che politica, è stata culturale (ideologica) e sociale. Essa si è fondata sulla diffusione sul corpo complessivo della società di una concezione fortemente individualistica: non esistono i problemi di tutti ma solo «i miei personali»; non esistono soluzioni collettive (insieme agli altri) ai miei problemi ma «mi devo arrangiare da solo»; le regole costituiscono vincoli posti alla piena realizzazione delle «mie capacità»; la modernizzazione del paese vista come «liberazione» da ogni controllo, da ogni norma; lo Stato, in tutte le sue forme, un nemico (dovendo operare per tutti non opera per me). Che tale individualismo si accompagnasse con il massimo di conformismo non è una contraddizione, ma il pieno dispiegarsi di una ideologia che ci vorrebbe tutti «uguali», ma tutti «solitari». Bisogna scongiurare che la moltitudine diventi persona (dall'individualismo alla individualità), che gli interessi si coagulino, che ciascuno riconosca nel proprio vicino la propria condizione. Tutti vorremmo vivere in una città amica: una città funzionante, con adeguati servizi collettivi e privati, ricca di occasioni culturali, in grado di rispondere positivamente ai bisogni dei diversi soggetti che vi vivono, gradevole, non inquinata, esteticamente «bella», pulita, sicura, con un forte rinnovamento economico, fortemente innovativa, capace di saper sfruttare le nuove tecnologie, ecc. Che le nostre città, in generale, non presentino un volto amico è sicuro: congestione, inquinamento, sporcizia, povertà, discriminazione, degrado edilizio, mancanze di infrastrutture, carenza di servizi, ecc. pesano sui cittadini, pesano sulle attività economiche, pesano sulle attività culturali. Il cittadino è, come si dice, stressato, se può si trasferisce in un piccolo centro o anche in «campagna», ma dopo un po' scopre che la sua situazione non è poi tanto migliorata (più mobilità, meno servizi, meno occasioni, ecc.). Anche se il degrado urbano pesa diversamente a secondo della collocazione economica e sociale di ciascuno, esso non può essere accettato; anche gli enclave di sicurezza e qualità, per i pochi dotati di molte risorse economiche, durano poco. La città è stata (ed è) la «nicchia ecologica» della specie umana, è li che la specie ha sviluppato il massimo delle sue potenzialità, ma la nicchia si sta degradando, è sempre più avvelenata. Da una parte non sembra possibile ipotizzare, immaginare o progettare la città «perfetta», qualsiasi cosa questo possa significare; una società piena di contraddizioni, di squilibri, di ingiustizie, proietta questi suoi aspetti negativi sulla città. Non è per caso che la città è insieme il massimo di concentrazioni delle potenzialità e delle contraddizioni. Dall'altra parte, tuttavia, non possiamo non porci il problema di una città amichevole (ancorché non perfetta). Una città dalla forte tensione, che, pur nelle contraddizioni proiettate dalla società, tenda a essere sempre più funzionale, sempre meno congestionata, sempre meno inquinata, sempre più ricca di iniziative, sempre più pulita, sempre più dotata di servizi, che offra sempre maggiori occasioni culturali, economiche e, sociali, sempre più accogliente, sempre più di qualità, sempre più sicura, ecc. Una città che costituisca anche il luogo di un «risarcimento» dei meno fortunati dei membri della società, che sia sempre più solidale e giusta, che accetti la diversità come ricchezza (senza faciloneria buonista, ma anche con molta apertura, pazienza e accortezza), che sia in grado di garantire il massimo di libertà nella realizzazione della propria individualità. Un città frutto di un progetto politico e sociale. Sono necessari piani, politiche specifiche e settoriali, progetti, investimenti, realizzazioni, ma anche e soprattutto un grande impegno collettivo. Questo è il punto politico importante; la città amica non può essere un progetto tecnocratico, né tutto istituzionale, la sua realizzazione non può non coinvolgere la grande maggioranza dei cittadini. Scienza, tecnica, tecnologia, capacità amministrativa, iniziativa istituzionale, risorse, ecc. devono essere messi al servizio di un progetto collettivo. La città è un prodotto sociale, il suo degradare è il frutto del processo sociale, la sua rinascita non può che essere il risultato di un impegno collettivo. Un impegno dal grande contenuto euristico. È sicuramente ipotizzabile che la maggioranza dei cittadini non possa rigettare il progetto per una città amica, ma è altrettanto chiaro che la sua realizzazione presuppone la cooperazione di tutti; chiama alla responsabilità di ciascuno insieme agli altri. La città amica non si coniuga con l'individualismo, essa garantisce l'individualità, ma vuole collaborazione, rispetto delle norme e delle regole, impegno comune, partecipazione alle scelte, la necessità di riconoscere i propri problemi insieme a quelli degli altri; essa crea l'opportunità di trovare una soluzione comune, cioè insieme. Si tratta di ricollocare norme, regole, comportamenti, non nella loro singolarità o nell'astrazione giuridica, amministrativa, sociale del loro rispetto, ma per i loro esiti, come contributi individuali alla realizzazione di un progetto comune. Affrontare la città da questo punto di vista costituisce una necessità strutturale, economica e sociale, ma costituisce, si crede, una rilevante opportunità politica per contribuire a modificare quell'atteggiamento individualistico che è il brodo di coltura del successo del Polo. Non è un macchiavellismo, fa aggio su una condizione di fatto che si tocca con mano, che è un evidente richiamo alla cooperazione e all'azione comune. In questo quadro la «città dei cittadini», la «città di tutti», ecc. che costituiscono formulazioni ideologiche, vanno assunte come programma politico, di pieno coinvolgimento, di piena responsabilizzazione dei singoli nel loro insieme. La città amica non è realizzabile senza questo coinvolgimento, senza un mutamento di atteggiamento; molti dei suoi contenuti, infatti, necessitano di comportamenti collettivi, di coesione, di cooperazione. Si tratta di un lavoro politico pesante e pressante, che riscopra vecchi strumenti e metodi di mobilizzazione, che sappia parlare il linguaggio della concretezza, che sveli gli «arcani» del degrado urbano, che faccia intendere la condizione comune, che metta in chiaro l'interesse della maggioranza per una città amica, non perfetta ma con una forte tendenza e tensione al suo miglioramento. Una città che riaffermi, pur nelle sue contraddizioni, la sua essenza di nicchia ecologica della specie per quello che esso significa in termini di socialità, solidarietà, e azione comune, di sviluppo e crescita, di innovazione e di traguardi di qualità e di libertà.
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