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grandi banche nel ciclone
- Subject: grandi banche nel ciclone
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 25 Jul 2002 17:58:48 +0200
da repubblica 25 - 7 - 2002 Grandi banche nel ciclone trema il cuore dei mercati dal nostro inviato FEDERICO RAMPINI SCATENATA dai crack per falso in bilancio, amplificata dal dissesto globale delle telecom, la crisi dei mercati si aggrava ora fino a coinvolgere pericolosamente banche e assicurazioni: minaccia al cuore la stabilità del sistema. Gli interventi dei massimi leader mondiali, da Bush a Blair, confermano questa paura. L'Europa, dopo essersi illusa di poter lucrare qualche vantaggio dalla "fine del modello americano", è sconvolta dalla tempesta. Il clamoroso recupero di Wall Street di ieri sera non deve illudere: oscillazioni violente che arrivano fino al 9 per cento in una seduta sono il sintomo inquietante di una psicologia isterica che è tipica delle fasi di panico finanziario. E infatti il recupero non inganna il banchiere James Volk, che osserva cinicamente: "Anche i gatti morti rimbalzano". "L'economia americana è solida e sta crescendo" ha ripetuto anche ieri George Bush, i cui interventi per rassicurare la Borsa hanno ormai raggiunto una frequenza inquietante. La paura toglie lucidità e fa dimenticare una regola d'oro, stabilita dopo che il presidente Hoover si ridicolizzò nel crack del 1929: meno la Casa Bianca parla della Borsa e del dollaro, meglio è. Bush ha ordinato al suo ministro del Tesoro O'Neill di annullare in extremis una visita ufficiale in America latina: è un altro segno di nervosismo dell'Amministrazione. Anche a Tony Blair ieri è scappata una dichiarazione quasi sinistra ("Questo paese è in grado di sopravvivere meglio di altri alle turbolenze delle Borse"), seguita a ruota da generiche rassicurazioni dalla Commissione europea. Se Wall Street ha finito per recuperare in serata, dopo le perdite delle Borse europee, il merito non è tanto di quelle dichiarazioni. Il peggio (almeno ieri) è stato evitato grazie a tre fattori occasionali e ad un gesto importante. Tra i fattori occasionali: primo, si è diffusa a metà giornata la voce di un intervento della banca centrale americana per sostenere le Borse (speriamo infondata: che Iddio trattenga Alan Greenspan dal ripetere l'errore che fece nel 1998 col salvataggio dello hedge fund speculativo Ltcm, di cui paghiamo ancora le conseguenze); secondo, ci sono stati massicci buy-back anti-panico, cioè riacquisti di azioni proprie da parte di grandi gruppi americani a cominciare dal farmaceutico Merck; terzo, le fasi depressive sono sempre interrotte da recuperi, anche perché gli hedge fund che speculano al ribasso debbono "ricoprirsi" acquistando le azioni che hanno venduto senza possederle. È imprudente dedurre dal rimbalzo che il gatto è vivo. Ancora più importante per risollevare temporaneamente Wall Street, è stato l'annuncio che a Washington Camera e Senato si sono messi d'accordo su un pacchetto di leggi anti-frodi molto più severo di quello proposto da Bush, e che il presidente sarà costretto comunque a varare in tempi brevi. Tra le riforme approvate: il divieto per le società di revisione dei conti di offrire altre consulenze a pagamento; un'authority indipendente di controllo e sanzione sui revisori dei conti; nuove pene fino a 25 anni di carcere per i colpevoli di falso in bilancio; e la creazione di un fondo a carico delle imprese per indennizzare gli azionisti danneggiati dalle frodi. Se si aggiungono gli arresti dei dirigenti della Adelphia (la cable tv indagata per falso in bilancio), si ha la prova che questa Borsa ha bisogno di sentire il rumore delle manette. Rumore che in America, per fortuna, non si fa mai aspettare troppo. Ci vorrà altro però per curare una sfiducia così profonda da aver spinto i risparmiatori americani a ritirare in sole due settimane 33 miliardi di dollari dai fondi comuni d'investimento: una fuga simile non ci fu neanche dopo l'11 settembre. Il fatto è che questa crisi ormai coinvolge i gangli più delicati del sistema finanziario: banche e assicurazioni. Ieri i colossi bancari americani Citigroup e JP Morgan sono crollati in Borsa per le accuse del Senato sulla loro complicità con il falso in bilancio di Enron. Poi hanno invertito tendenza assicurando la massima collaborazione con la giustizia. Ma la fragilità delle banche è doppia: oltre ai conflitti d'interessi e alle eventuali collusioni con le frodi, sono vulnerabili per il credito che hanno dato ai settori in crisi, telecom in testa. E aleggia il dubbio che alcune banche abbiano posizioni "fuori bilancio" (derivati e altri strumenti speculativi) foriere di catastrofi. In Europa tremano le più grandi compagnie assicurative. Tre colossi come Axa, Aegon e Zurich hanno distrutto il 40% del loro valore azionario in quattro giorni: un record dell'orrore. Dietro c'è la paura che le compagnie assicurative - grossi investitori istituzionali anche per le polizze vita - abbiano accumulato perdite insostenibili nei loro portafogli azionari. Un dato paradossale illustra più di tutti la fragilità europea: il crollo delle Borse di Francoforte Parigi Milano (tra - 10% e - 15% in una settimana) si è accentuato dopo che l'euro ha raggiunto la parità col dollaro. Ciò significa che la fuga di capitali da Wall Street non si traduce in fiducia nel "sistema Europa". Anzi, cresce il sospetto che vi siano varie Enron nascoste nel Vecchio continente, e poca voglia di scoprirle. Suscita anzi allarme nei mercati il revival politico del "modello renano" tra le classi dirigenti europee: come se questa crisi si potesse risolvere con il ritorno al capitalismo dei monopoli di Stato e degli aiuti pubblici alle aziende decotte. Tantomeno rassicura sentir dire al commissario europeo Frits Bolkestein che "le basi macroeconomiche in Europa sono buone": in realtà la crescita è più forte in America, e riceverà altro sostegno dal dollaro debole. Gli accessi di panico nelle Borse sono stati attribuiti di volta in volta alla "enronite", a WorldCom, a un degrado etico da stock-options, ma nessuna causa singola è sufficiente a spiegare quello che stiamo vivendo. È l'esaurimento di un ciclo lungo, iniziato nei primi anni Ottanta, che ha visto la globalizzazione dei mercati finanziari e anche una rivoluzione tecnologica vera (Internet). Come tutte le rivoluzioni industriali, si è accompagnata a un accumulo di investimenti non profittevoli, a debiti aziendali insostenibili, a valori azionari irreali. Perfino l'epidemia dei falsi in bilancio non è una vera causa ma uno dei tanti epifenomeni della malattia; e forse è l'ago che finisce di bucare l'ascesso.
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