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poteri forti e rumori di ferraglia
- Subject: poteri forti e rumori di ferraglia
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 25 Jul 2002 06:54:45 +0200
da affari e finanza lunedi 22 Luglio 2002 Poteri forti e rumori di ferraglia MARCO PANARA Si sente un gran rumore di ferraglia e ancora non è chiaro se è un preannuncio di battaglia oppure no. Episodi: Bruno Tabacci, presidente della Commissione Industria della Camera (che ha fatto qualche pubblica riflessione sull’anacronismo del governatore a vita) convoca un certo numero di banchieri per un'audizione sulla crisi della Fiat, e si presentano solo Rainer Masera, presidente di Imi San Paolo, e Vincenzo Maranghi, amministratore delegato di Mediobanca; corre subito voce che Antonio Fazio sia stato ben contento delle numerose assenze e anzi che ne sia stato l’occulto regista. Secondo episodio: domenica 14 luglio il Corriere della Sera pubblica una intervista a Giorgio La Malfa, presidente della Commissione Finanze della Camera, sul riordino delle 'authority', e La Malfa, storicamente vicino a Mediobanca, fa una dichiarazione precisa: «L’autorità non può esercitare la vigilanza in modo monocratico». Si riferisce a un’autorità specifica, chiede l’intervistatore:«Penso, per esempio, alla Banca d’Italia» è la risposta. Terzo episodio: passano due giorni e 'Il Giornale' e il 'Sole 24 Ore' scrivono di una ipotesi di cambiamento alla guida di Mediobanca progettata da Alessandro Profumo e Cesare Geronzi, i due maggiori azionisti dell'istituto di Piazzetta Cuccia. L'ipotesi che i due quotidiani fanno e che il giorno dopo viene drasticamente ridimensionata è che Claudio Costamagna, partner della Goldman Sachs, potrebbe prendere il posto di Maranghi. Quarto episodio: giovedì 18 il settimanale Borsa & Finanza anticipa alle agenzie la notizia, non confermata ma plausibile e anche probabile, che il raider francese Vincent Bollorè, alleato di ferro di Maranghi, rastrellando il titolo in Borsa si sarebbe avvicinato al 10 per cento di Mediobanca. Rumore di ferraglia appunto, armi che si affilano, lamiere, cingoli. Dietro questi episodi che potrebbero essere sintomatici di tensioni temporanee, c'è in realtà un movimento più profondo che è in atto da almeno un anno ma che la vicenda della Fiat ha improvvisamente accelerato. Si tratta del riassetto del capitalismo italiano e in particolare l'emergere di un nuovo ruolo di alcune banche, che si è venuto delineando attraverso le tre operazioni più importanti che sono state fatte in questo arco di tempo: la conquista della Telecom da parte di Pirelli e Benetton, l'operazione Italenergia e il piano Fiat. La prima e la terza di queste operazioni in passato sarebbero state realizzate da Mediobanca, che avrebbe poi chiamato le banche a mettere i soldi necessari. La seconda non sarebbe stata fatta perché nessuno sarebbe riuscito a conquistare la Montedison, che era controllata da Mediobanca. Le tre operazioni sono state invece fatte senza Mediobanca, mentre un ruolo fondamentale è stato svolto da altre banche, che sono entrate come azionisti in Olimpia, la società attraverso la quale Pirelli e Benetton hanno acquistato il controllo di Telecom, e in Italenergia, la società che ha conquistato Montedison, e che nel piano Fiat si sono mosse non come puri fornitori di cassa ma con una logica che se non fosse ovvio verrebbe da definire 'da banchieri' (in realtà ovvio non è perché in passato banchiere era Cuccia, gli altri erano cassieri). Ebbene, attraverso queste tre operazioni sono accadute una serie di cose. La prima è che Unicredito, Banca IntesaBCI, Imi San Paolo e Banca di Roma (ora Capitalia) hanno valutato singolarmente le operazioni, e infatti non tutti e quattro hanno partecipato a tutte, e poi le hanno realizzate in un rapporto dialettico e paritetico tra di loro. La seconda è che tra valutazioni, negoziati e trattative i gruppi di vertice dei quattro istituti si sono in qualche modo 'riconosciuti' tra di loro e sono entrati in un tipo di rapporto con il quale si possono fare affari insieme oppure ci si può ritrovare su fronti opposti, in una logica di interessi più che di rigidi clan. Questa evoluzione importante per molti versi, ci aiuta anche a capire come è potuto accadere che l'amministratore delegato di Unicredito Alessandro Profumo e il presidente di Capitalia Cesare Geronzi, dopo essere stati per molto tempo su una linea di incomunicabilità abbiano invece trovato i termini per un dialogo (che è poi quello che più preoccupa Maranghi). La terza cosa che è avvenuta è il cambiamento di ruolo di Mediobanca. Non più banchiere unico, non più dominus del sistema, fuori dalle grande operazioni, Maranghi con grande abilità ha trasformato Mediobanca da ammiraglia della flotta della finanza italiana in una nave corsara. La Ferrari è il perfetto esempio di questa strategia: Maranghi si presenta a Torino con un pacchetto di milioni di euro e compra a fermo un terzo del capitale della Ferrari sul cui collocamento in Borsa una lunga fila di altre banche nazionali e internazionali stavano lavorando. Un colpo di mano abile e una preda di gran lusso, ancorché pagata a caro prezzo, ma comunque un colpo di mano. Tanto vero che il giorno dopo aver conquistato la preda, Mediobanca ha fatto il suo giro di telefonate per dividere con altri l'impegno ma ha trovato tutte le porte chiuse, salvo quella di Commerzbank, che non ha potuto dire no, e quelle di un paio di popolari di medie dimensioni. Abbiamo quindi un Maranghi corsaro, che certamente sta già preparando altri colpi di mano, e che non a caso in questa fase ha trovato come alleato di ferro il corsaro francese Vincent Bollorè. Non ci sarebbe niente di cui stupirsi, perché anche quello è un ruolo che nel mondo della finanza ha una sua funzione e persino una sua nobiltà, se non fosse per tre ragioni: quella più concettuale è che Mediobanca si è affermata con ben altro ruolo; quella più pratica è che Mediobanca ha numerosi azionisti, i più importanti dei quali sono Unicredito e Capitalia, che si muovono ormai come banche a tutto tondo e che dai colpi di mano della loro controllata possono avere solo disturbo e nessun vantaggio; quella più sostanziale è che Mediobanca ha nella pancia le Generali, che hanno bisogno di un azionista stabile e solidamente ancorato nel sistema. Sentendo il rumore di ferraglia e riflettendo su tutto ciò viene da pensare che forse alla battaglia non si arriverà, ma che la divaricazione di interessi tra la Mediobanca di Maranghi e i suoi grandi azionisti non è mai stata chiara come adesso. La questione però non si ferma a Mediobanca. Il nuovo ruolo delle grandi banche oltre a malsopportare il dinamismo corsaro di Maranghi è, su un piano diverso, meno compatibile anche con una Banca d'Italia accentratrice e dirigista come quella guidata da Antonio Fazio. Fazio e Maranghi oggi sono su fronti opposti, anzi sono chiaramente antagonisti, ma ambedue sono epigoni dello stesso sistema. Quello in cui nell'Italia finanziariamente ben recintata, le politiche creditizie le faceva la Banca d'Italia, le operazioni finanziarie le decideva Cuccia e le banche ordinarie gestivano raccolta e impieghi. Tolti i recinti c'è voluto qualche anno, ma alla fine i comportamenti delle banche hanno cominciato a cambiare, e la vecchia gabbia comincia a diventare stretta. Il riassetto in atto del capitalismo italiano, la trasformazione del ruolo della Fiat, il nuovo modo di operare delle grandi banche, spingono per dare una spallata ai vecchi schemi, e quindi tra le altre cose rendere più trasparente e circoscritto il potere del governatore della Banca d'Italia e meno ambiguo il ruolo di Mediobanca. A decrittare i segnali sembra anche che l'intreccio dei gruppi, delle alleanze, degli interessi sia tale che per ottenere qualche risultato in questa direzione si debbano creare le condizioni per una qualche simmetria tra la revisione dei poteri di Fazio e l'uscita di scena di Maranghi. Probabilmente non se ne farà nulla, e comunque i tempi saranno lunghi. Tuttavia, il rumore di ferraglia ce lo ricorda, a settembre o forse prima cominceranno come a ogni inizio autunno i giochi per la presidenza di Mediobanca e contemporaneamente le commissioni Industria e Finanze della Camera, presiedute da Bruno Tabacci la prima e da Giorgio La Malfa la seconda, cominceranno a discutere la riorganizzazione delle authority. Tra i temi all’ordine del giorno ci saranno i poteri della Banca d'Italia e la carica a vita del governatore.
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