non scommettete sulla locomotiva usa



da corriere.it 9 - 7 - 2002

 
  
 
  
 Martedì 9 Luglio 2002 
 
 

Ma non scommettete sulla locomotiva Usa

«Preoccupa la distanza fra potenziale dell’economia e performance reale»


A che punto è l’economia americana? Ogni volta che una buona notizia fa
pensare che la recessione negli Stati Uniti sia prossima alla fine, arriva
subito una brutta notizia a far pensare il contrario. L’attuale politica
della Federal Reserve riflette questa ambiguità: non abbassa né alza i
tassi di interesse, mantenendo invece una posizione neutrale. Lo zigzagare
del mercato azionario è un analogo segnale di incertezza. 
Oggi ci si focalizza sull’interrogativo sbagliato, e cioè sull’inizio e
sulla fine della recessione. Tradizionalmente le recessioni vengono
definite dalla caduta o meno del prodotto interno lordo. Ma ciò che deve
preoccupare veramente è il gap fra potenziale economico e performance reale. 
In questi termini, è probabile che la performance dell’economia americana
resti negativa. Oggi il tasso di crescita potenziale dell’economia si
colloca fra il 3,5 e il 4 per cento annuo. Quand’anche l’America crescesse
dello 0,5 per cento, un gap del 3 per cento in un’economia pari a mille
miliardi di dollari (10 trilioni) significa una perdita di produzione di
trecento miliardi di dollari: una cifra enorme in qualsiasi modo la si
definisca. Dato l’enorme gap, gli Stati Uniti dovranno crescere ben oltre
il loro potenziale di lungo periodo per poter tornare al pieno utilizzo
delle loro risorse. Nonostante i dati di crescita sorprendentemente
rilevanti del primo quarto dell’anno, la maggior parte delle previsioni
vede la crescita per il 2002 nel suo complesso in netto calo rispetto al
potenziale di lungo periodo. 
C’è un’interpretazione semplice su che cosa sia accaduto all’economia
statunitense. La recessione del 2001 ha combinato insieme una contrazione
delle scorte e una contrazione degli investimenti. La prima adesso è
finita; la seconda può durare molto più a lungo. 
Nel frattempo, gli Stati Uniti non possono aspettarsi grandi aiuti dalle
esportazioni, visto il rallentamento dell’economia a livello globale, né
dalla spesa in consumi. Normalmente, una ripresa dei consumi contribuisce a
rinvigorire l’economia; ma i consumi hanno, quasi miracolosamente,
sostenuto l’economia a fronte del calo degli investimenti, per cui c’è poco
spazio per una ripresa. La sola fonte importante di espansione è
rappresentata dai livelli record di spese militari, che possono essere
necessarie e stimolare l’economia sul breve periodo, ma non ne rafforzano
la competitività sul lungo. 
L’Europa, dopo avere inizialmente creduto che la propria economia fosse
forte al punto da non essere toccata dal rallentamento americano e
mantenere addirittura una robusta crescita, è tornata a guardare alla
ripresa degli Stati Uniti per tirarsi fuori dal proprio malessere. Penso
sia una strategia rischiosa: se una forte ripresa americana non è dietro
l’angolo, allora l’Europa deve agire da sola, usando i classici strumenti
controciclici della politica monetaria e fiscale. Oggi la minaccia non è
l’inflazione, è la disoccupazione. Sono la disoccupazione e l’insicurezza
economica ad alimentare la xenofobia e a favorire i movimenti di estrema
destra in tutto il continente. 
Purtroppo l’Europa ha le mani parzialmente legate da una banca centrale
concentrata sull’inflazione e un Patto di Stabilità che, per come viene
generalmente interpretato, limita l’impiego della spesa in disavanzo come
stimolo economico. La sfida che abbiamo davanti sarà di reinterpretare
queste limitazioni. 
*premio Nobel per l’economia  
di JOSEPH STIGLITZ*