messina il ponte del destino



     
il manifesto - 29 Giugno 2002 
Il ponte del destino 
GUGLIELMO RAGOZZINO
 
 
Il ponte del destino 
Quel ponte s'ha da fare. Per fare uscire la Sicilia dalla sua solitudine,
per dimostrare che l'Italia riesce a fare un'opera così temeraria. C'è il
rischio mafia, c'è l'assenza di una seria analisi dei costi e dei benefici,
c'è l'impatto ambientale, ma poco importa. La rivista «Meridiana» sui pro e
i contro del ponte sullo stretto
GUGLIELMO RAGOZZINO
Tempi larghi per il ponte sullo Stretto. La discussione pubblica in atto
offre qualche novità. La legge 112 (o Tremonti: quella che contiene il
paragrafo sulla Infrastrutture spa per il finanziamento delle «Grandi opere
mediante l'utilizzo del Patrimonio») dovrebbe servire a sbloccare le varie
cordate bancarie esibendo la volontà dello stato di assumersi i rischi di
debitore di ultima istanza, ma le banche che sono alla guida delle cordate
non si fidano. Il fatto è che la costruibilità effettiva del ponte non è
mai stata dichiarata in modo soddisfacente, il conto dei costi/benefici
lascia a desiderare e inoltre la sua esposizione nei confronti di
infiltrazioni (per usare la parola più comune) o di attacchi terroristici
fanno lievitare i costi di assicurazione già proibitivi. Qualcuno ricorderà
che l'industria del nucleare civile dopo l'incidente di Three Mile Island
nel 1979 ha avuto negli Usa un arresto che dura ancora per l'effetto
congiunto di ambientalismo e assicurazioni. L'ambientalismo avrebbe
procurato agli impianti in costruzione tali e tanti ritardi che il costo
assicurativo per cespiti bloccati era troppo oneroso... Il governo lascia
intendere che vuole arrivare presto al Ponte («entro 36 mesi») e ha posto
le condizioni per avocare a sé, al Cipe, la decisione di Via («valutazione
di impatto ambientale») e ha eliminato la gara per l'aggiornamento del
programma attuativo del Ponte affidandolo presumibilmente a tecnici di
fiducia. I problemi potrebbero essere però maggiori di quelli delle banche
riottose, degli ecologisti perditempo e degli amici non ancora pronti;
l'impressione è che c'è qualche problema strutturale rimasto «sospeso». Al
passare dei mesi, di rinvio in rinvio, di dilazione in dilazione, si
arriverà a posare la prima pietra, a colpire con la prima picconata di
scavo, a ridosso delle elezioni politiche 2006. L'Ulivo gongola. Spera
davvero di poter dire: lo facciamo noi, noi che siamo seri; e dunque in
questo momento preferisce defilarsi dalla discussione, lasciando
ambiguamente che parlino per lui le associazioni ambientaliste, tutte
dichiaratamente contrarie.

In questa situazione decotta arrivano alcune pubblicazioni di notevole
interesse in tema di Ponte. E' un embrione di discussione pubblica su un
tema di interesse generale che contiene aspetti di democrazia, di politica,
di scienza delle costruzioni e in più, sullo sfondo, l'ambiente e la
storia. La prima è il 41 numero di Meridiana, la rivista meridionalista
dell'Imes, pubblicata dall'editore Donzelli (Il ponte sullo stretto, pp.
254, 20 euro). E' la riproposizione di un dibattito svoltosi nell'ottobre
del 2000. Gli interventi sono tutti risistemati e non varrebbe neppure la
pena di ricordare l'occasione se non per notare un accento diverso. La
razionalità del ponte non c'è più. L'unico motivo del sì al ponte, l'unica
cosa che conti, ormai, è mostrare di saperlo fare, perché questo segnerebbe
un una svolta storica per Sicilia e Calabria: costruire qualcosa che
nessuno in Italia e nel mondo ha ancora saputo fare. Scrive Leandra
D'Antone al termine del suo articolo, ancora inseguendo la razionalità
perduta: «Il Ponte non è che un piccolo pezzo di un sistema ampio di
connessioni materiali e immateriali, di nuova progettualità pubblica, e di
una politica capace di rispettare gli impegni» (corsivo aggiunto).

L'idealistico favore al ponte di D'Antone è condiviso da altri interventi
importanti. Il più importante di tutti, è quello di Marco Guido Ponti
(nomen omen viene il caso di dire). Ponti esamina il progetto da un punto
di vista dei costi e dei benefici, mai chiarito, anche se continuamente
riproposto dagli advisors. Ne escono in modo inoppugnabile due risultati.
Il primo è che nell'ottica di costi/benefici il ponte non è realizzabile;
il secondo è ancora più significativo: forse consapevoli di questo aspetto,
gli organizzatori del ponte non hanno mai voluto affrontare un esame
approfondito costi/benefici. La morale di Ponti è appunto morale: il ponte
si deve costruire, ma cercando altrove, non in uno svantaggioso scambio
costi/benefici la motivazione. Se Ponti è un economista esperto di
programmazione, Rocco Sciarrone è uno storico e studioso
dell'organizzazione mafiosa. Anch'egli ritiene che non costruire il Ponte
per la presenza delle mafie sarebbe un errore («La variabile criminalità è
una delle tante da tenere presente»). Ma poi il suo esame di specialista va
in tutt'altra direzione.

Prima di tutto viene spiegato come la mafia siciliana possa svolgere
intorno a una opera che mobilita tante attività due diverse forme di
intervento: la protezione dei cantieri in presenza di sabotaggi e
intimidazioni sempre di origine mafiosa e dall'altra parte lo svolgimento
di attività dirette nel ciclo di normale costruzione. Qui c'è la
considerazione che la richiesta di certificazioni antimafia per gli appalti
non turba i contratti usati effettivamente che sono il nolo o l'affitto o
per i quali non servono i certificati. Insomma, secondo l'autore, il ponte
sarà una occasione formidabile per l'organizzazione mafiosa centrale per
fare i conti con se stessa e modernizzarsi. Anzi i cantieri giganteschi,
gli scavi, la gestione dei rifiuti e delle scorie, i trasporti , le
altissime torri, non saranno abbandonati alle più disorganizzate e
sottocapitalizzate cosche locali ma vi sarà - vi è - un ritorno in forze
della mafia maggiore. Anche per essa, come per i nostri, il ponte è
un'occasione da non perdere. La mafia del XXI secolo se mai nascerà,
nascerà dal ponte. Questo non significa non fare il Ponte per paura,ma
rendersi conto dell'essenza delle cose.

Vi sono interventi favorevoli al ponte tra coloro che forniscono «la
valutazione pubblica» ma in un caso almeno risultano controproducenti. E'
il caso dello scritto «Altri ponti» di Pierluigi Matteraglia che descrive
tre ponti di successo degli ultimi anni nel mondo. Matteraglia è indicato
dalla fascetta tra coloro che «danno conto direttamente del lavoro della
pubblica amministrazione e degli advisors». E scrive così: «Il collegamento
(corsivo nostro) del Great Belt aperto nel 1997 per la ferrovia e nel 1998
per la gomma è stato attraversato nel 2000....» Il fatto è che sul ponte
passano solo le auto, mentre i treni passano nel tunnel sotto il Belt, il
braccio di mare danese. Niente di male, visto che per lo più i super ponti
sono monouso. Ma questo collegamento mette qualche altra pulce
nell'orecchio di chi ha qualche prevenzione per il ponte tuttofare tra
Sicilia e Calabria. L'esempio è davvero assai calzante.

Sopra e sotto il ponte, sopra e sotto il mare. La questione è tutt'altro
che chiarita, stando a uno dei testi più interessanti, dovuto ad Ada
Becchi. Becchi - come del resto la maggior parte di Meridiana e di Limes -
ha sempre detto di essere a favore del Ponte, ma non per motivi di
miglioramento del traffico ferroviario o dei collegamenti, che anzi
esclude, né per l'occasione di lavori pubblici roosveltiani che potrebbero
derivare dalla costruzione, ma per la scossa che si potrebbe avere sulla
sicilitudine, l'amaro complesso di superiorità e di solitudine che isola la
Sicilia.

Meridiana in complesso si dichiara dunque a favore; e poi aggiunge tali e
tante osservazioni contrarie, che il suo sostegno, finisce per essere di
quelli che i tifosi del Ponte preferirebbero non avere. Molto meglio per
essi discutere con Osvaldo Pieroni, («Cancellare i luoghi, la memoria»)
l'unico dichiaratamente contro nel fascicolo - e con le buone ragioni che
il movimento conosce - ma che Meridiana ha il merito di riproporre ai
lettori del campo avverso. Ada Becchi insegna urbanistica a Venezia, dopo
essere stata sindacalista Fiom, deputata della sinistra indipendente e
vicesindaco di Napoli ai tempi di Bassolino. Becchi ripercorre la storia
profonda del ponte: e nota un primo aspetto inquietante: il ponte non lo ha
deciso nessuno. Non esiste alcun documento di fonte accreditata che dica:
Ponte, Ponte sospeso. O meglio è stata l'apposita società Stretto di
Messina che senza avere l'autorità di scegliere, ha esercitato però quella
di scartare le altre ipotesi concorrenti, garantendo dell'accordo di Anas e
Fs. Ancora nella discussione alla commissione trasporti della Camera nel
1991, sono stati sentiti i fautori del tunnel di Archimede (immerso e
galleggiante), gli esperti dell'Eni. Nell'ultima fase sono state messe a
confronto il ponte sospeso e le ipotesi alternative per l'attraversamento.
Ma nessun testo mai stabilisce quale sia l'ipotesi alternativa. Il sistema
traghetto + trasporto aereo che è quella esaminata dagli advisors
incaricati dal ministero dell'economia e da quello dei lavori
pubblici-infrastrutture, in alternativa al ponte sospeso, è una scelta che
alla fine gli advisors fanno di volontà propria, interpretrando, di certo
correttamente, su questo punto, l'intenzione ministeriale; ma la prova non
c'è. Se si trattava di portare una rete ferroviaria decente in Calabria e
in Sicilia il ponte è un progetto fallito. Osserva Becchi in proposito: «Ed
io che credevo che fosse un ponte ferroviario. No. E' un monumento: altro
che i bronzi di Riace».