la societa' civile conta piu' del wto



dal messaggero

  

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 Sabato 25 Maggio 2002  
Incontri/Le battaglie di Ralph Nader,
leader del movimento verde negli Usa
«La società civile
conta più del Wto» 
di GIOVANNI DEL RE 
VBerlino

OLETE che tutto, dall’istruzione alla genetica umana, all’ambiente, sia
controllato dalle grandi multinazionali? Volete che la democrazia venga
svuotata da potenti lobby? E allora è il momento della società civile per
riprendersi il proprio futuro. A parlare è l’apostolo del movimento verde e
dei consumatori americani: Ralph Nader (nella foto), 68 anni, per due volte
candidato presidente degli Stati Uniti - nel 1996 e nel 2000, quando
ottenne quasi 3 milioni di voti (circa il 3%). Dagli anni Sessanta ha preso
di mira le multinazionali, nel 1966 riuscì, con un bestseller, a far
passare una legge che imponeva maggiori standard di sicurezza per le auto.
Lo incontriamo a Berlino, dove ha tenuto alcune conferenze: l’età si nota,
ma il suo vigore non è scalfito, quando parla inchioda con la sua vocazione
missionaria. «Le multinazionali sono un grande pericolo per la democrazia,
lo dice anche il finanziere George Soros: il loro strumento oggi si chiama
Wto, Organizzazione mondiale per il commercio». 
No-global di tutto il mondo unitevi, sembra di udire, ma Nader non è un
black bloc e nemmeno un romantico visionario, ma un uomo molto concreto.
«Perché ce l’ho con il Wto? Glielo dico subito: esso impone norme che
incidono profondamente sulle legislazioni nazionali in nome del cosiddetto
libero commercio. Se uno Stato vuole attuare misure di protezione
ambientale che secondo un altro Stato danneggiano il libero commercio, può
essere processato dal Wto. A decidere sono giudici che operano in segreto,
senza osservatori e senza appello: così le multinazionali scavalcano le
democrazie. E sa una cosa? Pochissimi lo sanno: le assicuro che non c’è un
solo senatore americano che si sia letto le 600 pagine del trattato».
Insomma, interessi economici über alles, con un ribaltamento radicale dei
valori: «Un tempo - continua Nader - si diceva: i diritti umani vengono
prima del commercio. Adesso avviene il contrario: in nome del libero
commercio vengono abbassati gli standard sociali e sanitari in tutto il
mondo, il potere dei sindacati, il trattato non fa eccezioni neppure quando
in gioco è il lavoro di bambini: un paese che imponesse un embargo sui
prodotti bengalesi o indonesiani fatti da bambini, potrebbero essere
trascinati davanti al Wto. Al tempo stesso, vengono sostenute dittature in
cambio di una concessione mineraria. E state attenti voi europei:
l’obiettivo è ridurre gli standard anche da voi: non state a sentire chi vi
racconta che il vostro welfare è fuori tempo, che solo abbassando gli
standard sarete competitivi. Guardate cosa è successo negli Usa, l’unico
paese occidentale senza sanità e pensioni obbligatorie, senza ferie pagate.
Un paese in cui il pensiero di una malattia è un incubo, in cui dal 1973
gli stipendi sono costantemente diminuiti, mentre il prodotto interno si è
decuplicato». 
Ralph Nader è anche l’apostolo dei diritti del consumatore, anche questi
sono in pericolo: «Le corporations - dice - con il Wto possono scardinare
normative di garanzia. Una legge della California che prevede
l’etichettatura dei cibi importati rischia di esser dichiarata “illegale"
dal Wto dopo la causa intentata da Giappone e Unione Europea. Fate pure i
controlli, ma niente etichette». Ma c’è di peggio: «Le multinazionali
stanno cercando di brevettare come proprietà intellettuale privata
addirittura la genetica umana. Sa che cosa significa?». Scenari poco
rassicuranti, dunque, ma Nader non è uomo da predicare rassegnazione. «Ogni
singolo può fare molto più di quanto si creda - afferma. Noi Greens stiamo
cercando di convincere la gente a impegnarsi per rafforzare il ruolo dei
sindacati e della società civile, per lottare per mantenere alti gli
standard ed esportarli anche all’estero. Non ci crederà ma in era internet
il porta a porta, il parlare con la gente personalmente funziona, convince,
siamo sempre di più. Basta capire che lo Stato non è Washington: lo Stato,
la nazione siamo noi». 


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