l'industria che spara profitti



il manifesto - 07 Maggio 2002 
L'industria che spara profitti 
Un convegno per illustrare i guasti dell'industria degli armamenti e
cercare di liberarsene, in un mondo che torna a privilegiare la spesa militare
MASSIMO DONATI
LUCA TANCREDI BARONE
Nello scontro di queste ultime settimane intorno alla legge 185/90 sulla
trasparenza nella produzione e nel commercio di armi in Italia, le
associazioni pacifiste hanno provato domenica a dare uno e molti volti al
fenomeno della proliferazione bellica. Durante il convegno «Il mestiere
delle armi» svoltosi nei pressi di Como, si è parlato dell'intero ciclo,
dalla produzione al «consumo» sul campo. E uno dei volti di questa realtà è
sicuramente quello dei bambini che a centinaia hanno perso mani e gambe -
se non la vita - e che Emergency ha raccolto e curato in Afganistan,
Kurdistan, Cambogia e degli altri inferni delle guerre dimenticate o
recenti. «Si calcola che solo in Kurdistan per tre milioni e mezzo di
uomini vi siano ancora circa dieci milioni di mine inesplose», ha ricordato
Anna Marchesi di Emergency. Le mine, un made in Italy di cui il nostro
Paese si è faticosamente liberato (ma molte delle mine antiuomo ancora
sparse per il mondo sono di marca italiana). Forse è per questo che valeva
la pena di partire dalle tragedie, dai risultati della nostra produzione,
per iniziare un convegno sul ciclo delle armi. Ma se almeno il commercio di
mine in Italia sembra essersi interrotto, non altrettanto incoraggiante è
lo scenario della produzione dei sistemi d'arma e degli investimenti che il
ministero della Difesa sta mettendo in preventivo per i prossimi anni. «Se
negli anni `98 e `99 il bilancio della Difesa italiana ha avuto una leggera
flessione, dall'anno 2000 ad oggi l'incremento è stato del 6,4 e - per il
2002 - del 7%, per portare la spesa complessiva a circa diciannove miliardi
di euro» commenta Cristina Zadra del Centro studi di politica
internazionale di Roma. «Molte delle spese non sono nemmeno conteggiate
perché sono spesso finanziate dal ministero dell'Industria, sotto forma di
sovvenzioni ai produttori». Si stima che la sola spesa per armamenti in
Italia passerà da circa 2,75 miliardi di ? a 3,25 miliardi nel 2002, con un
incremento del 18%. Purtroppo sono dati in linea con la tendenza
generalizzata nel mondo occidentale. Solo negli Usa il bilancio di
previsione presentato dall'amministrazione Bush assegna alla difesa 396
miliardi di dollari. Il legame fra strategie d'investimento dei governi e
lobby armiere è del resto fortissimo. Elio Pagani, ex-lavoratore
dell'Airmacchi, ci ha detto: «L'industria bellica non si riconverte mai di
sua spontanea volontà: nell'azienda dove lavoravo, il processo di
riconversione di una parte dell'azienda si deve solo alla fine della guerra
fredda: per sopperire al previsto calo di ordini, i dirigenti pensarono di
diversificare la produzione, rivolgendosi all'ambito civile».

Partendo da questi dati Giorgio Gattei, docente all'università di Bologna,
ha analizzato la dialettica tra spesa e produzione militare, e Vitaliano
Caimi, insegnante di filosofia a Busto Arsizio, ha cercato invece di
comprendere il problema della domanda di armi nel nuovo modello di difesa.
Il nuovo concetto strategico della Nato e la nuova dottrina militare Usa
sono stati invece i temi principali dell'intervento di Isidoro Mortellaro.
Se «il tempo di pace non esiste più, sostituito dal concetto di tempo della
prevenzione attiva permanente», come nota Caimi, diventa una importante
questione di democrazia preservare una legge che dà fastidio alle lobby
armiere, la 185/90, perché sottopone al vaglio diretto dello Stato e dei
cittadini tutte le operazioni finanziare legate al commercio di armi e
obbliga alla trasparenza dei dati, consentendo al cittadino di operare
scelte d'opinione. La campagna di difesa di questa legge va avanti, con la
raccolta di firme e le pressioni esercitate direttamente sui deputati di
tutti i gruppi dalle associazioni (http://www.banchearmate.it). In
Parlamento verrà presentata una serie corposa di emendamenti, firmata tra
gli altri dall'ex ministro della Difesa Mattarella, al disegno di legge
1927 - il temuto colpo di spugna sostenuto da una larga maggioranza dello
spettro politico . Anche se non ne impediranno il passaggio, se approvati,
manterrebbero invariata nei suoi contenuti essenziali la 185/90. Ma il
tempo stringe: il 27 maggio inizia il dibattito in aula.