Se il bilancio dello Stato segue il modello Enron



Un solo testo, ma su un argomento di vitale importanza, molto tecnico e
quindi facile da sottrarre all'attenzione dell'opinione pubblica:
l'indebitamento, enorme, fuori dal bilancio dello Stato che stanno
realizzando i nostri governanti, perché in cassa non ci sono i soldi per
realizzare le opere pubbliche, pagare le pensioni da un milione, ecc. (vi
ricordate Berlusconi da Vespa, con il pennarello e il tabellone? e il
"contratto con gli italiani"?).
Leggetelo, si fatica, ma si capisce come le leggi sul falso in bilancio, le
rogatorie, le successioni gratis, i capitali dubbi che rientrano, ecc.,
sono buffetti sulla guancia al confronto con questa terribile stangata.
J.F.Padova

(Avvertenza: chi avrà avuto la pazienza di leggere fino in fondo troverà
una sorpresa)



Se il bilancio dello Stato segue il modello Enron
di Marcello Messori (da: Affari & Finanza, 6 maggio 2002)

Le previsioni del governo Berlusconi e del governatore della Banca d'Italia
sul tasso di crescita dell'economia italiana e sull'andamento del disavanzo
nel bilancio pubblico sono state sistematicamente più ottimistiche rispetto
a quelle della UE, del FM"Infrastrutture spa" e dei più accreditati
Istituti di ricerca indipendenti. Per esempio, il Governo dice di
aspettarsi tassi reali di crescita del Pii pari al 2,3% e al 3%,
rispettivamente per il 2002 e per il 2003, e un deficit del bilancio
pubblico pari allo 0,5% del Pil per il 2002 e a zero per il 2003.
Viceversa, le valutazioni indipendenti più positive si fermano alla soglia
dello 1,5%, per quanto riguarda il tasso di crescita reale del 2002, e all'
1 e allo 0, 8%, per quanto riguardala quota dei disavanzi pubblici sui Pil
del 2002 e del 2003. Le previsioni della Commissione UE sono ancora più
negative: le attese per i tassi di crescita del Pil reale italiano sono
pari allo 1,4% per il 2002 e al 2,7% per il 2003 (ossia leggermente al di
sotto della media dell'area); e le attese per i l disavanzo nel prossimo
biennio restano ferme all' 1,3% del Pil.
Ciò denuncia la difficoltà del nostro governo di rispettare gli impegni
europei. Si noti al
riguardo che, come ha rilevato la Commissione UE, non è tanto grave che nel
2001 il rapporto italiano fra deficit pubblico e Pii (1,4%) sia andato al
di là delle previsioni: il vero problema è che questo valore è stato
realizzato grazie a interventi ad hoc privi di carattere strutturale (una
cartolarizzazione pari a 2,3 miliardi di euro [di titoli emessi]), e ciò
promette di riprodursi su scala allargata per i bilanci pubblici del 2002 e
2003 (nel complesso, 28,5 miliardi di euro da dismissioni di immobili o da
relative cartolarizzazioni [ovvero emissioni di obbligazioni o titoli
equivalenti]). Sommandosi ai probabili effetti che la 'devoluzione' avrà
sulla spesa delle regioni, la politica dell'attuale governo rischia di
vanificare gli sforzi compiuti dall'Italia fra il 1992 e il 1998 per
rientrare dal debito pubblico e per soddisfare, così, i parametri di
Maastricht. Diventa inoltre palese l'impossibilità di attuare, anche in
minima parte, una promessa-cardine della campagna elettorale del leader
della maggioranza: il rilancio delle infrastrutture e degli investimenti
per lo sviluppo mediante un ampio piano di opere pubbliche.
E' in tale contesto macroeconomico che va valutato il Decreto Legislativo
63/ 2002 volto a istituire due società per azioni: la "Patrimonio dello
Stato spa" e la "Infrastrutture spa".
"Patrimonio dello Stato spa" ha l'obiettivo di attuare un salto di
efficienza nella "valorizzazione, gestione e alienazione del patrimonio
dello Stato". Inizialmente, il capitale azionario della nuova spa è
detenuto dal Ministero dell'Economia che ne può trasferire le quote
proprietarie (fino al 100% e a titolo gratuito) a società di sua totale
proprietà, alla Cassa depositi e prestiti, all'altra nuova spa o a loro
controllate. La dotazione di "Patrimonio dello Stato spa" è costituita
mediante il trasferimento di "diritti, pieni o parziali", sul "patrimonio
disponibile o indisponibile dello Stato" e sulla totalità dei suoi beni
immobili.
Tali trasferimenti seguono "modalità e valori" definiti, per decreto, dallo
stesso venditore-acquirente (il Ministero dell'Economia) e, previa intesa
con il Ministero per i Beni culturali, potranno riguardare anche beni di
rilievo storico e artistico (il "Colosseo") senza contraddire
l'inalienabilità del demanio pubblico. Seguendo le stesse modalità,
"Patrimonio dello Stato spa" avrà il diritto di trasferire (parte de)i
propri beni a "Infrastrutture spa"; inoltre, essa potrà effettuare
operazioni di cartolarizzazione su questi stessi beni.
"Infrastrutture spa" è invece istituita dalla Cassa depositi e prestiti
che, con il beneplacito del ministro dell'Economia, può cedere al mercato
(una parte del)le azioni della società. Quest'ultima mira a finanziare, in
via sussidiaria rispetto agli intermediari finanziari, sia la costruzione
di "infrastrutture e di grandi opere pubbliche" sia investimenti per lo
sviluppo economico; inoltre, essa può fornire garanzie (a loro volta
coperte da garanzie statali) agli stessi intermediari che rendono
disponibili i fondi principali. Per adempiere alle sue funzioni di
finanziamento e di garanzia, "Infrastrutture spa" può indebitarsi tramite
l'emissione di titoli di breve e di medio-lungo termine, ivi compreso
l'utilizzo di strumenti derivati; anche tali titoli e derivati sono coperti
da garanzia statale. Inoltre, "Infrastrutture spa" ha la facoltà di
acquisire partecipazioni e immobili o di svolgere attività strumentali
connesse ai suoi obiettivi istituzionali. Infine, essa può utilizzare i
"propri beni e i diritti relativi" a copertura delle sue operazioni di
indebitamento; i beni e i diritti, così impegnati, costituiscono
"patrimonio separato" in modo da limitare l'ammontare della ricchezza
coinvolta in ogni operazione di finanziamento.
Le finalità e i caratteri di "Infrastrutture spa" non sollevano i problemi
più rilevanti. Costituire società pubbliche, che non rientrano - in via
diretta - nella contabilità dello stato e che prendono parte attiva alle
operazioni di project financing per la realizzazione infrastrutture e di
opere pubbliche, può essere discutibile ma trova riscontro in altri paesi
europei; e la stessa possibilità di ingressi privati nel capitale azionario
di tali società appare ragionevole perché aumenta la probabilità che la
gestione delle operazioni di project financing risponda a criteri di
efficienza e di (futura) redditività. Al riguardo, è peraltro opportuno
rispettare tre condizioni. Innanzitutto, si tratta di determinare
l'incidenza del fondo che lo stato deve accantonare nel proprio bilancio
per fare fronte alle garanzie fornite rispetto sia ai titoli di debito sia
alle garanzie verso gli intermediari finanziari privati, emessi da
"Infrastrutture spa"; si tratta inoltre di precisare che queste garanzie
statali devono accompagnarsi a corrispondenti garanzie offerte dagli
eventuali proprietari privati della società. In secondo luogo, si tratta di
determinare con chiarezza l'incidenza minima che deve raggiungere la
componente privata in ogni operazione di finanziamento delle opere
pubbliche e degli investimenti per lo sviluppo economico, perché il ruolo
svolto da "Infrastrutture spa" possa considerarsi "sussidiario". Infine, si
tratta di chiarire che i termini dei contratti di debito, offerti da
"Infrastrutture spa" a imprese private per il finanziamento delle opere
pubbliche e degli investimenti per lo sviluppo economico, devono essere
allineati a quelli di mercato ovvero non devono tradursi in finanziamenti a
"tasso agevolato".
I problemi decisivi riguardano però la creazione di "Patrimonio dello Stato
spa" e, soprattutto, i legami fra tale società e "Infrastrutture spa".
Questi problemi mostrano che il disegno complessivo dell'operazione
governativa consiste nell'occultare una parte del debito pubblico grazie
all'iscrizione dell'attivo di bilancio di "partite di giro" e grazie al
trasferimento di poste passive a società controllate ma esterne alla
contabilità statale; il che sarà la causa di futuri incrementi della spesa
pubblica. Si tratta, insomma, dell'applicazione del "modello Enron" al
bilancio di uno stato dell'Unione Europea.
Assumiamo dapprima che la proprietà di "Patrimonio dello Stato spa" rimanga
per intero al Ministero dell'Economia. In linea di principio, tale società
ha un unico scopo: acquisire e valorizzare il patrimonio dello stato
italiano. Oggi questo patrimonio ha un valore di libro pari a poco meno di
500 miliardi di euro e, secondo le stime del governo, ha un prezzo di
mercato pari a quattro volte il valore di libro, ossia 2.000 miliardi di
euro. Pertanto, se - come consentito dal D.Lgs. 63/2002 - si vendesse ai
presunti prezzi di mercato l'intero patrimonio a "Patrimonio dello Stato
spa", il nostro Stato risolverebbe ogni problema di bilancio in quanto
sposterebbe il debito a "Patrimonio dello Stato spa" che è esterna alla
contabilità dello stato stesso. Di fatto, un trasferimento completo è
irrealizzabile non fosse altro perché la fissazione del prezzo di mercato
di alcune componenti di tale patrimonio è impossibile o richiede lunghe
analisi. Anche un trasferimento parziale avrebbe, però, l'effetto di
ridurre drasticamente lo stock di debito pubblico.
"Patrimonio dello Stato spa" non sarebbe in grado di effettuare una tale
acquisizione utilizzando il proprio modesto capitale sociale; essa
potrebbe, però, soddisfare gli obblighi verso lo stato venditore mediante
l'emissione di titoli garantiti dallo stesso patrimonio acquisito; e
potrebbe coprire i conseguenti oneri finanziari mediante la "messa a
reddito" di (una parte di) questo patrimonio. Ciò si tradurrebbe, fra
l'altro, nella stipula di contratti di leasing o di affitto con lo stesso
stato, che continuerebbe a utilizzare una parte (per esempio, vari
immobili) del patrimonio ceduto ma dovrebbe ora corrispondere un canone.
Sul piano sostanziale, il risultato dell'operazione non migliorerebbe i
conti dello stato: il debito, depennato dal bilancio statale, sarebbe
iscritto nel bilancio di una società di proprietà del Ministero
dell'Economia; e i diminuiti oneri finanziari sul debito statale sarebbero
(più che) compensati dai canoni corrisposti a quella stessa società per il
pagamento degli (accresciuti) oneri finanziari. Sul piano formale però,
"Patrimonio dello Stato spa" è esterna alla contabilità dello stato e non
concorre, quindi, alla formazione del debito pubblico. Come nel caso Enron,
un artificio contabile di esternalizzazione dei debiti consente dunque
l'immediata riduzione degli squilibri nel bilancio pubblico e apre la
possibilità di reperire ingenti risorse per le opere pubbliche. Tali
risorse sono, poi, accresciute dal fatto che "Patrimonio dello Stato spa"
può effettuare operazioni di cartolarizzazione sul patrimonio statale
acquisito e non già impegnato.
Sebbene da circoscrivere alla parte che non rappresenta un "bene pubblico"
in senso lato, l'idea di una valorizzazione di mercato del patrimonio
statale non è da scartare. Una tale valorizzazione richiede però
l'applicazione di una rigorosa metodologia per la definizione dei relativi
prezzi di mercato e, dunque, per il calcolo dei ricavi da iscrivere nel
bilancio statale; e, soprattutto, essa impone di istituire un confronto fra
il valore attuale dei ricavi e il valore attuale dei costi futuri che
questa stessa valorizzazione può comportare. Il governo non sembra essersi
affatto posto problemi del genere. Anzi, non pago di applicare il "modello
Enron" alla contabilità dello stato tramite "Patrimonio dello Stato spa",
esso ha collegato l'operare di "Patrimonio dello Stato spa" con quello di
"Infrastrutture spa".
Sull'attività di "Infrastrutture spa" pesa il fatto che si tratta di una
società con un patrimonio iniziale inadeguato per emettere titoli di debito
a condizioni di mercato e per perseguire così le proprie finalità nel
project financing. Non è, quindi, casuale che il D.Lgs. 63/2002 preveda
varie possibilità per rafforzare patrimonialmente "Infrastrutture spa": il
Ministero dell'Economia può trasferire a tale società una parte imprecisata
(dunque, fino al 100%) delle azioni di "Patrimonio dello Stato spa" a
titolo gratuito; una quota indefinita (dunque, fino al 100%) della
proprietà di "Infrastrutture spa" può essere ceduta ai privati; "Patrimonio
dello Stato spa" ha la facoltà di trasferire a "Infrastrutture spa"i propri
beni (dunque, in linea di principio, fino al 100% del patrimonio statale)
sulla base di "modalità e valori" analoghi a quelli stabiliti dal Ministero
dell'Economia quanto al trasferimento originario e senza ledere, per ciò,
l'inalienabilità del demanio pubblico.
Queste tre possibilità hanno potenziali implicazioni che sono gravi.
Innanzitutto, esse comportano che "Patrimonio dello Stato spa" possa cadere
sotto il controllo proprietario di "Infrastrutture spa" che, a sua volta,
può essere controllata da azionisti privati. Inoltre, anche senza arrivare
a tali estremi, si ha che l'attuale patrimonio statale di più rilevante
valore artistico è acquistabile da "Infrastrutture spa", ossia da una
società a possibile proprietà privata, ed è utilizzabile come ricchezza a
garanzia di titoli che sono emessi da questa stessa società e che sono
scambiati nei mercati finanziari. Infine, si ha che una parte del
patrimonio statale può diventare "patrimonio separato" rispetto a
"Infrastrutture spa" così da coprirne l'indebitamento. Ne risulta che
"Infrastrutture spa" può svolgere il proprio ruolo "sussidiario" di
finanziamento delle opere pubbliche per infrastrutture e per sostegno allo
sviluppo economico dando in garanzia o cedendo di fatto ai privati anche la
parte di più elevato valore artistico e storico del patrimonio statale.
La mia generazione ha sorriso nel vedere, al cinema, il povero ma
intraprendente "italiano" del dopoguerra che cercava di vendere il Colosseo
al ricco e ingenuo "americano". Il rischio è ora che mio figlio debba
pagare un'ingente "tassa" per fare sì che la ricca Italia del XXI secolo
cancelli l'ipoteca sul Colosseo, accesa dal governo Berlusconi a favore di
grandi intermediari finanziari internazionali per finanziare un piano di
opere pubbliche e non meglio precisati investimenti per lo sviluppo,
ottemperando così al suo "patto" elettorale con gli italiani.


C'era una volta una famiglia, che il nonno spendaccione aveva indebitata
con mutui e ipoteche su casa e orto. Però aveva conservato un bel
patrimonio in quadri, argenti, arazzi e oggetti di grande valore. Un giorno
il padre, celebre viveur, riunisce i figli e dice loro: "Ragazzi, per farmi
perdonare da vostra madre qualche spesa extra (ho falsificato i suoi
bilanci per farmi un gruzzoletto segreto tutto mio) e tutte le promesse che
le ho fatto e non mantenuto di grandi lavori in casa, voglio prendere a
prestito altri soldi". "Ma dove li troverai, che casa e orto sono già
risucchiati dai debiti?" dice la saggia figlia maggiore. "Mi è venuta una
grande idea. Ipoteche sulla casa non ce ne danno più. Allora io ipoteco
quadri, argenti e tutto quanto!". Salta su il figlio, studente di legge:
"Papà, non si possono ipotecare beni mobili!". Il papà sfoggia il suo
famoso sorriso a tutta mascella: "Eh, mio caro, io ne invento una più dei
tuoi professoroni. Io costituirò una società per azioni, che diventerà
proprietaria di tutti quei tesori, di quell'immenso patrimonio. A sua volta
la società emetterà dei titoli che ci procureranno i soldi per tutte le
nostre spese". "E la mamma? Che cosa dirà la mamma, che ci tiene tanto ai
suoi quadri e ai suoi tappeti?" chiede la figlia piccola. "Sei proprio
piccola e ingenua", dice il padre, "alla mamma non diremo niente, perché
della società e del prestito non deve sapere, altrimenti mi caccia subito
fuori di casa; occhio non vedeŠ ecc.,  così non si preoccuperà". L'altro
figlio allora: "Ma dopo, quei soldi, bisognerà bene restituirliŠ". "Sono
questioni che non ci riguardano! Se i nostri eredi non avranno racimolato
sudando la somma enorme che ora stiamo prendendo a prestito, peggio per
loro! Non potranno più recuperare il tesoro della famiglia!".
La figlia grande, che era saggia, si mise a piangere e disse: "Sarà meglio
che né io né voi, fratelli, facciamo figli, altrimenti saranno rovinati e
ci malediranno per intere generazioni!".
Esopo 2002